Paul George

Paul George

Le immagini del terribile infortunio di Paul George (se non le avete viste e siete particolarmente sensibili, potete tranquillamente evitare di cercarle) hanno scosso gli spettatori sul posto al Thomas & Mack Center di Las Vegas, i tifosi che hanno seguito l’esibizione in diretta tv e gli appassionati di basket (e sport in genere) di tutto il mondo. Sono gli inconvenienti e i rischi del mestiere, possono avvenire in qualunque posto e momento, si dice, ed è vero, ma la dinamica di quest’incidente è davvero cruenta in uno sport dove è raro assistere a situazioni simili.

Il ricordo più recente porta a quanto accaduto, durante il Torneo NCAA 2013, a Kevin Ware. La guardia di Louisville – ora trasferita a Georgia State – fu costretta a rimanere ferma per 9 mesi, prima di rientrare nel corso della stagione 2013/14, salvo decidere, dopo solo 9 presenze, di fermarsi senza perdere l’anno di eleggibilità (applicando la cosiddetta “redshirt”, possibile avendo giocato meno del 30% delle partite) per permettere la completa guarigione dell’arto infortunato. Per Paul George i tempi di recupero stimati sono circa gli stessi: il leader degli Indiana Pacers infatti è già stato operato per riparare la frattura di tibia e perone e con ogni probabilità sarà costretto a saltare l’intera prossima stagione.

Anche qualora riuscisse a rientrare in tempo per giocare qualche partita, comunque l’impatto su Indiana sarà clamoroso. Non avere il leader della squadra arrivata alle ultime Finali di conference, già privata di Lance Stephenson sul mercato dei free agent, significherà ridimensionare gli obiettivi per la franchigia di Larry Bird: “Non c’è dubbio che sia un danno pesante per la nostra squadra, ma il nostro obiettivo è rimanere forti e determinati. Nella storia dei Pacers ci sono già state difficoltà e passi indietro, ma c’è anche sempre stata la voglia di recuperare. Paul ci darà l’esempio da fuori campo, agli altri toccherà darlo sul parquet”.

Se George sarà valutato fuori per l’intera stagione, Indiana riceverà dalla NBA la cosiddetta “disabled player exception”, che sarà pari alla somma più bassa tra il salario del giocatore e la mid-level exception che spetta alle squadre sotto la soglia della luxury tax. Dato lo status di George e il relativo contrattone da 15 milioni per la prossima stagione, ai Pacers potranno dunque arrivare al massimo 5.3 milioni. Ma difficilmente la franchigia li userà tutti, perché il monte salari si colloca solo ad un paio di milioni dalla temuta soglia della tassa di lusso. E con una cifra del genere, è molto difficile trovare qualcuno in grado di fare la differenza.

Ma l’infortunio subito con la maglia della nazionale, peraltro in una semplice esibizione “in famiglia”, ha riportato alla luce domande già emerse più volte in passato. Secondo molte voci di addetti ai lavori, infatti, questo finirà per risultare un episodio chiave nel rapporto tra NBA e FIBA, perché in molti proprietari e general manager stanno tornando forti le perplessità relative agli obblighi di dover concedere i giocatori, in particolare le stelle con i loro contratti multimilionari, alle nazionali per le manifestazioni internazionali.

Un personaggio che riesce sempre a farsi ascoltare come Shaquille O’Neal (peraltro anche socio di minoranza di Sacramento), ad esempio, su Twitter si è espresso chiaramente: “Penso che le squadre NBA faranno ciò che gli Spurs stanno facendo a Ginobili e non permetteranno alle loro stelle di giocare in campo internazionale”. La storia di Manu è nota: ha una leggera frattura da stress alla gamba destra, con cui ha giocato anche le ultime Finali, gli è stata diagnosticata nei controlli di fine stagione a San Antonio ed è stato fermato dagli Spurs, che hanno sfruttato quelle che sono le basi dell’accordo NBA-FIBA.

Le squadre NBA infatti al momento non possono impedire alle loro stelle di partecipare ai tornei internazionali a meno che non esistano “ragionevoli preoccupazioni di natura medica”: l’ex guardia della Virtus Bologna aveva espresso l’intenzione di indossare la maglia dell’Argentina, nella probabile ultima corsa insieme ai vari Scola, Nocioni e Prigioni, ai Mondiali e lo staff della nazionale ne aveva dichiarato la probabile recuperabilità. Ma gli Spurs non si sono convinti, Buford alla summer league di Las Vegas ha parlato di due mesi per la guarigione di un infortunio allo stadio iniziale e quindi con rischi di aggravamento, un tempo che avrebbe portato oltre la data del mondiale spagnolo. Quanto i neroargento abbiano spinto sul pedale della prudenza per imporre la loro volontà al giocatore è difficile saperlo dall’esterno, ma, viste le differenti visioni con i medici argentini, qualche dubbio resta. Un comportamento comprensibile, dato che sono gli Spurs a pagargli il contratto e la storia di infortuni che ha già caratterizzato la carriera di un giocatore fenomenale e sempre generoso come l’ormai 37enne Manu. Gli Spurs l’hanno spuntata, perché c’erano le condizioni per riuscirci.

Ma dall’infortunio di Paul George potrebbe “passare la voglia” a molte altre franchigie di lasciar andare le rispettive stelle in nazionale – magari a meno che queste non si prendano i rischi del loro contratto –, a prescindere dalle condizioni fisiche di partenza, semplicemente per non rischiare di veder svanire in un lampo qualche investimento multimilionario ed essere costretti a cambiare di conseguenza il loro futuro. Per farlo, però, i proprietari dovranno spingere in modo che la NBA freni le sue mire espansionistiche verso gli altri continenti e inizi a ridiscutere gli accordi con la FIBA, ad esempio garantendo la presenza in nazionale solo dei giocatori under 22. E non sarà un’operazione semplice. Però appare chiaro che un grave infortunio – che ha colpito molto anche i giocatori stessi -, in una partita senza valore, in un parquet col sostegno del canestro troppo vicino al campo, può cambiare la storia di USA Basketball.