Los Angeles Clippers, 20W-11L (Eugenio Simoni)
È iniziata una stagione che ha dello storico per quella che fino a quest’estate era considerata come la franchigia più perdente della storia della Lega. L’inversione di tendenza è stata rappresentata soprattutto dall’acquisizione del pezzo più pregiato del mercato, ovvero quello che probabilmente è al momento il miglior playmaker del campionato, Chris Paul; ma sarebbe riduttivo considerare il solo numero 3 come motivo della vertiginosa posizione di classifica acquisita da quella che ormai sembra la prima squadra di Los Angeles: precedentemente alla sua firma infatti la dirigenza s’era impegnata a mettere sotto contratto Caron Butler, Chauncey Billups e a rinnovare a cifre inimmaginabili DeAndre Jordan. La prima metà di regular season ha confermato il potenziale offensivo della squadra, che in diverse occasioni è riuscita a cavarsela solamente con il talento dei singoli, nascondendo una meccanica offensiva ancora da rodare. La sorpresa più lieta, mettendo da parte la coppia delle meraviglie Paul-Griffin, è stato l’utilizzo innovativo di Mo Williams (13,5 punti con il 38,7% da tre), che, liberato dai gravosi impegni in regia, s’è riscoperto come uno dei migliori giocatori provenienti dalla panchina dell’intera Lega. Gli inserimenti in corsa di Reggie Evans e Kenyon Martin hanno dato consistenza difensiva ad una squadra che sa ben poco come comportarsi nella propria metà campo. Il problema è che ci sono diversi dubbi sull’efficacia di questo gruppo quando sarà il momento di affrontare i playoffs e la perdita per il resto della stagione di Billups non aiuta di certo da questo punto di vista. L’altro inconveniente che s’è creato con l’infortunio del giocatore con maggiore esperienza in squadra è il buco nella posizione di guardia, dove Foye (8,4 punti con il 37,3% dal campo) non può certamente cavarsela per tutto il resto dell’anno da titolare (e l’acquisto di J.R. Smith è stato soffiato dai Knicks). Diciamo che per puntare al bersaglio grosso sembra ancora troppo presto, ma sicuramente questa stagione sarà fondamentale per mettere le basi di quella che potrebbe diventare una delle principali contender negli anni a venire.

Los Angeles Lakers, 20W-14L (Marco Multari)
Una stagione clamorosamente da alti e bassi in casa gialloviola, dove gli alti sono venuti principalmente dalle gare casalinghe (record da rullo compressore allo Staples Center con 14 vittorie e sole 2 sconfitte) e i bassi dal pessimo andamento esterno (anche se vanno escluse le vittoriose trasferte di Dallas, Denver e Boston). Nonostante tutte le turbolenze interne ed esterne, Mike Brown sta decisamente dando la sua impronta a una squadra abituata a un tipo di gioco completamente differente come quello della Triangolo, anche se le difficoltà in zona offensiva sono palesi e i 93.1 punti a partita segnati dalla squadra (22esima in questa statistica) sono lì a dimostrarle. I miglioramenti più evidenti sono sul lato difensivo, dove i gialloviola sono la sesta squadra della NBA, ma purtroppo questo non può bastare quando i cugini dei Clippers, pur con tre gare in meno, sono in vetta alla Pacific Division e la corsa ai playoffs, in una conference cosi competitiva, risulta essere davvero difficile. Come al solito il miglior giocatore della squadra è Kobe Bryant, che ha da poco superato Shaquille O’Neal al quinto posto fra i marcatori di tutti i tempi. Kobe sta giocando una delle sue migliori stagioni in un contesto praticamente nuovo per lui, ma lo sta facendo con la solita voglia di vincere e questa sua “cattiveria” lo sta portando a registrare medie, invidiabili per un 33enne, di 28.4 punti, 4.9 assist e 1.3 palle rubate a partita. Ma più delle sue performance, hanno fatto discutere le sue dichiarazioni, rivolte verso la dirigenza, finalizzate a migliorare l’aria che si respira nello spogliatoio: infatti Kobe si è lamentato dell’immobilismo della dirigenza sul mercato e di tutte le voci che hanno riguardato un eventuale scambio per Pau Gasol, diretta causa secondo lui, e secondo la gran parte degli addetti ai lavori, dello scarso rendimento del catalano. Rendimento che dopo queste parole è sicuramente migliorato, visto che abbiamo assistito a due grandi vittorie contro Portland e a Dallas, prima della sconfitta cocente di Oklahoma City. Un accenno lo merita certamente il centro titolare della Western Conference all’All-Star Game: Andrew Bynum sta disputando una grande stagione e, finalmente libero da problemi fisici, sta registrando una media di 16.3 punti e 12.8 rimbalzi a partita. Il miglior rimbalzista della squadra nella giornata di venerdi 24 si è sottoposto, in Florida e sotto la cura del capo dello staff medico dei New York Mets della MLB, a un inienzione al ginocchio, che dovrebbe essere in grado di garantirgli un finale di stagione senza alcun problema. Da martedi in poi, quando i Lakers giocheranno in casa contro i Timberwolves, il finale di stagione losangelino potrebbe contare su un elemento in più: quel Rasheed Wallace che sembra in procinto di firmare con i gialloviola, dopo il ritiro di due stagioni fa. Ma tutti i tifosi dei Lakers attendono il vero colpo, simile in proporzione a quello negato a fine Dicembre dal famoso veto di David Stern. Riusciranno i Lakers a tornare protagonisti e a dare parecchio fastidio alle conclamate “contenders”?

Golden State Warriors, 13W-17L (Carmine D’Amico)
La notizia che ha fatto più discutere nella pre-season dei Warriors è stata la discutibile firma di Kwame Brown per un annuale da 7 milioni di dollari, cifra che ha reso la prima scelta assoluta del Draft 2001 uno dei giocatori più sovrappagati di tutta la lega. Per la verità Kwame non ha deluso nell’inizio di stagione, giocando abbastanza bene e mettendo su cifre (6 punti e 6 rimbalzi in 20 minuti di utilizzo) e impatto difensivo di tutto rispetto, prima di infortunarsi gravemente al pettorale destro ed essere costretto a perdere il resto dell’annata. Altra novità nella Baia è stata la firma di Mark Jackson come allenatore. L’ex giocatore dei Knicks ha apportato diversi cambiamenti in una squadra che veniva da anni di gestione Don Nelson, abbassando il ritmo  di gioco e cercando di portare più ordine nella fase difensiva rispetto al passato. Monta Ellis è il fulcro della squadra, anche se continua a pestarsi i piedi con il compagno Stephen Curry, con cui forma un’ottima coppia di backcourt, che probabilmente però è poco affine nonostante la quantità di talento, oltre che troppo leggera per avere anche solo un minimo di credibilità difensiva. I Warriors fin da inizio stagione dimostrano di essere una squadra di tutto rispetto sul proprio campo (9-9 in casa), che trova tantissime difficoltà in trasferta (4-8), ma continua a mantenere un record non disastroso, nonostante l’annata difficoltosa di Curry, che sta entrando e uscendo dall’infermeria a causa dei soliti problemi alla caviglia. Ottimo come al solito l’impatto offensivo di David Lee (20 punti a partita nelle ultime 10 gare) e discreto il contributo dalla panchina dei vari Brandon Rush, Nate Robinson e Klay Thompson. La squadra è da migliorare ancora dal punto di vista difensivo e necessita di rinforzi sotto canestro, dove l’assenza di Kwame Brown ha portato a serate disastrose come quella in cui Dwight Howard ha fatto 45 punti e 23 rimbalzi. I playoffs sembrano una chimera, soprattutto ad Ovest, ma le voci di mercato soprattutto su Monta Ellis sono molteplici, e, se sfruttato a dovere, la contropartita può essere molto valida e cambiare il volto della franchigia.

Phoenix Suns, 14W-20L (Davide Moroni)
Lo scorso anno  i Suns non avevano raggiunto i playoffs, pur concludendo la stagione con un record vicino al 50%. Quest’anno, con Brooks, Carter e Pietrus in meno e senza aver acquisito valide contropartite, non ci si poteva ovviamente aspettare di più. Steve Nash e Grant Hill hanno un anno in più e anche se stanno dando, come sempre, il loro contributo (specie il canadese, ancora in doppia doppia di media con 13,9 punti e 10,9 assist), non riescono più a essere costantemente determinanti come un paio di anni fa. La sorpresa della stagione è senza dubbio Marcin Gortat: il centro polacco sta disputando la miglior stagione in carriera, con medie di 15,9 punti e 10,4 rimbalzi (oltre a 1,5 stoppate e al 56% dal campo); anche Jared Dudley, pur un po’ discontinuo, non è per niente da bocciare (11,7 punti e 4 rimbalzi, entrambi career-high), mentre stanno deludendo quasi tutti gli altri membri del roster. Channing Frye segna 9,7 punti a gara (contro i 12,7 della passata stagione) e, soprattutto, tira con percentuali peggiori, specie dall’arco (fermo a un modesto 33%); anche Hakim Warrick ha cifre, e fiducia, decisamente in calo, per non parlare di Josh Childress, che dalla doppia cifra di media tenuta nelle quattro stagioni ad Atlanta è passato, dopo i due anni all’Olympiacos, ai 5 punti della passata stagione fino ai miseri 2,7 in 13,5 minuti in quest’anno. In più, i nuovi acquisti non stanno rendendo particolarmente bene, con uno Shannon Brown ormai ai margini delle rotazioni (8,7 punti ma con il 39% dal campo) e la scommessa Michael Redd che non sta dando i risultati sperati (7,7 punti ma il 37% dal campo). Una nota lieta viene dal rookie Markieff Morris, 7,9 punti e 5 rimbalzi a gara, che sta dando buoni segnali in prospettiva futura. I Suns, insomma, sono una squadra nel limbo tra più o meno glorioso passato e ricostruzione, e il loro massimo obiettivo per il prosieguo della stagione è confermare il discreto record attuale, nulla di più.

Sacramento Kings 11W-22L (Federico Cattaneo)
Al giro di boa di metà stagione il record dei Kings non è certo invidiabile, tuttavia con le dovute premesse diventa facilmente comprensibile e quindi anche prevedibile. Stiamo parlando infatti della squadra più giovane della Lega ,che delle prime 33 partite ne ha giocate ben 21 in trasferta, mentre solo 12 al Power Balance Pavilion (ai più sarà noto ancora come Arco Arena), dove come sempre riesce ad esprimersi meglio, come mostra il record casalingo sopra al 50%. Aspettarsi quindi qualcosa di diverso sarebbe stato sicuramente inappropriato. L’inizio di stagione è stato segnato dal licenziamento del coach Paul Westphal, dovuto soprattutto a problemi all’interno dello spogliatoio con buona parte dei giocatori (Cousins ed Evans in primis). L’head coach è diventato così Keith Smart e i risultati si son visti subito, non tanto in termini di record quanto di approccio da parte della squadra alle partite. Segnali incoraggianti arrivano soprattutto dal giovane centro DeMarcus Cousins, che fattura una doppia doppia da 16.4 punti e 11.3 rimbalzi in meno di 30’ di utilizzo, dal quale dipendono del fortune future della franchigia californiana. Sul talento non ci sono mai stati dubbi, le perplessità in sede di draft riguardavano peso e carattere, ma per ora la scelta sembra dar ragione a Sacramento. Sicuramente la vera sorpresa della stagione dei Kings è il rookie Isaiah Thomas, ultima scelta dello scorso draft, che sta dimostrando partita dopo partita di meritare i minuti e la fiducia di compagni più illustri, fino a diventare starter. Ovviamente se si arriva a metà stagione con il secondo peggior record ad Ovest qualcosa che non va c’è. Innanzitutto il roster mostra uno stratosferico buco nello spot di ala piccola, problema che il coach ha provato a mascherare in diversi modi. Si sono alternati Salmons, Greene e Outlaw senza tuttavia lasciare il segno. Coach Smart recentemente ha rinunciato a schierare Salmons da ala, sostituendolo con un play (Thomas). Generalizzando, è tutto il supporting cast della squadra a non rendere come ci si aspettava. Hickson, Salmons e il rookie Fredette non riescono a punire le difese concentrate su Evans e Cousins e a realizzare canestri assistiti e non su iniziative personali. Mentre a Fredette, come tutti i rookie, verrà concesso tempo per ambientarsi in una realtà nuova, a Salmons e Hickson sono già stati accostati rispettivamente i termini amnesty e trade. Il record dei Kings è destinato a migliorare leggermente nel prosieguo della stagione, dalla quale però non arriverà altro che una scelta in lotteria.