CHARLOTTE BOBCATS 4W-28L (Angelo Francesco Cerbone) Disastro. Basta una sola parola per riassumere l’inizio di stagione dei Bobcats, team più che mai bisognoso di ricostruire. 16 sconfitte consecutive, striscia interrotta solo grazie allo scontro con i Raptors dove quelli del North Carolina hanno potuto riammirare una W. Il roster non è irresistibile anzi, e quindi non si può chiedere poi molto, ma di sicuro a deludere le aspettative ci sono due giocatori su tutti: Corey Maggette e Boris Diaw. I due dovrebbero essere due perni del team ed invece insieme combinano solo poco più di 20 punti di media a partita, veramente un’inezia. Altro giocatore da qui ci si poteva ragionevolmente aspettare il salto di qualità è Tyrus Thomas che guadagna come un giocatore di media-alta fascia ($7,3 milioni a salire di anno in anno) e non sta dimostrando di valere nemmeno la metà dello stipendio. Al di là degli scarsi risultati e delle delusioni, alcune note liete su cui ripartire ci sono. Il reparto play (Walker e Augustin) offre buone garanzie anche in chiave futura e tra i lunghi l’acerbo Biyombo lentamente sta crescendo.  Il più positivo comunque è Gerald Henderson, che non trova però la giusta continuità per fare il salto di qualità. Le uniche prospettive che i Bobcats hanno davanti a sé sono il draft ed il mercato free agent. Pescare tra le prime tre se continuasse  così la stagione, sarebbe praticamente scontato. Da lì si potrebbe ripartire scegliendo uno dei tanti talenti cristallini che albergano quest’anno al college e crescerlo per renderlo uomo franchigia. Mentre per quanto riguarda gli agenti liberi, Charlotte ha spazio salariale per provare ad inserire qualche buon elemento in rosa, sia un titolare che qualche buona riserva.

MIAMI HEAT 27W-7L (Massimiliano Zanato) : in moltissimi si chiedono se sia arrivato finalmente il momento del “Prescelto” e della squadra della American Airlines Arena. Dopo un inizio di stagione passato ad inseguire i Chicago Bulls, nelle ultime settimane gli Heat hanno ultimato il sorpasso sulla franchigia della Windy City e, arrivati alla pausa per l’All Star Game, guidano la Eastern Conference con mezza partita di vantaggio. Sono l’unica squadra NBA ad avere due giocatori tra i Top Ten della classifica marcatori (James è 3° con 27.4 p.ti, 8°  Wade con 22.4), sono la prima squadra per punti segnati in casa (103.7) e sono secondi per differenza tra punti segnati e subiti dietro ai Chicago Bulls. La squadra di coach Spoestra al momento di scrivere è all’ottava “W” consecutiva e sta dimostrando di avere la grande dote della continuità, da sempre tallone d’achille di questi Heat.
Il terzo dei Big-Three, ovvero Chris Bosh, sembra essere uscito dal limbo nel quale era scivolato la scorsa stagione, nella quale non era mai riuscito a metabolizzare fino in fondo il trauma del passaggio da uomo franchigia dei Raptors a membro di supporto con gli Heat. Soprattutto nelle partite senza James o Wade, il numero 1 di Miami ha dimostrato si saper a tratti prendere in mano la squadra e segnare canestri decisivi. Rispetto all’anno passato è migliorata la qualità del supporting cast, grazie agli inserimenti dello specialista difensivo Shane Battier e del rookie da Cleveland State Norris Cole: il numero 30 degli Heat è il quinto marcatore della squadra, sta viaggiando con 8.7 p.ti di media e un ottimo 42% dal campo.
Tra quelli che invece l’anno scorso erano già nel roster della squadra, in netta ascesa le quotazioni di Mario Chalmers (passato dai 6.4 p.ti di media della scorsa stagione agli 11.1 di quest’anno) e Mike Miller, con quest’ultimo che ha migliorato nettamente le percentuali dal campo e dall’arco (40% da due e 36% da tre nella scorsa stagione, quest’anno 51.4% da due e 51.7% da tre).
Come l’anno scorso, anche quest’anno l’unico obiettivo resta il titolo NBA. I ritmi serrati della stagione in corso hanno tolto parecchia concorrenza ad Est (Boston e Orlando sembrano due gradini sotto, mentre Phila e Indiana non avranno probabilmente la forza di arrivare fino in fondo) e, al momento, l’unica alternativa credibile agli Heat restano i Chicago Bulls in ottica finale. Resta invece ancora da testare la consistenza di questo gruppo nel momento di massima pressione, quando la posta in palio sarà alta e il clima playoffs entrerà nel vivo.

ORLANDO MAGIC 22W-13L (Massimiliano Zanato):  arrivati alla pausa per l’All Star Game, gli Orlando Magic continuano la loro stagione tra alti e bassi e attualmente occupano il quinto posto ad Est. Nonostante il record positivo, sono parecchi i dubbi sulla reale consistenza del roster di coach Van Gundy. Inanzitutto i Magic si trovano alle spalle di Pacers e 76Ers nella classifica generale (seppur a mezza partita di distanza), due squadre di livello sicuramente inferiore, inoltre devono guardarsi dai Knicks (in trand positivo nell’ultimo periodo) e soprattutto dagli Hawks (che si trovano ad una partita e mezzo di distanza).
La trade estiva che ha portato i Magic a scambiare la power-forward titolare (Brandon Bass in cambio di Glen Davis ) non ha portato i risultati sperati in Florida: a Boston Bass è esploso (viaggia in doppia cifra a 11.6 p.ti e 6.1 rimbalzi di media), mentre ad Orlando Davis ha trovato difficoltà ad ambientarsi e il rapporto con coach Van Gundy rimane altalenante. Per Davis le cifre parlano di appena 7.3 p.ti di media e 4.6 rimbalzi, decisamente troppo poco come supporto al centrone Howard, tant’è che da subito nello starting five gli è stato preferito il più affidabile Anderson. La seconda vita di Hedo Turkoglu a Orlando non ricorda neanche vagamente le stagioni passate, al di la di quello che dicono le cifre. I numeri del giocatore turco sono comunque in calo: 11,5 p.ti di media (contro i 16.8 della stagione 2008/09, l’ultima passata per intero con i Magic), 4.5 assist ma soprattutto appena 3.7 rimbalzi catturati (era dalla stagione 2004/05 che non scendeva sotto i 4.0). La nota positiva porta il nome di Ryan Anderson, passato nel quintetto titolare dopo la partenza di Brandon Bass: il giocatore da California arrivato al quarto anno nella Lega ha elevato le sue cifre rispetto alle passate stagioni, diventando il secondo miglior marcatore e rimbalzista della squadra dietro ad Howard (16.1 p.ti, nel 2010/11 erano 10.6 tirando con il 44% dal campo e il 43% da tre con 7.3 rimbalzi catturati). Il faro su cui ruota la squadra resta sempre Dwight Howard, nonostante si sia dichiarato più volte scontento della sua situazione e il suo nome venga ogni giorno dato in uscita da Orlando. Howard ha mantenuto la sua media punti a livelli accettabili, seppur inferiori alle ultimi due stagioni (18.3). Nonostante ciò quello che impressiona è la percentuale dal campo, di 4 punti inferiore rispetto alla passata stagione (55.4% quest’anno, 59.3% l’anno scorso): solo nella sua stagione da rookie aveva fatto peggio. Senza una spalla solida sotto canestro come Brandon Bass, ha aumentato i rimbalzi catturati (15.3).
Nonostante alcuni problemi e un roster non più giovanissimo, soprattutto in alcuni ruoli cartine, se Howard dovesse rimanere Orlando resterebbe la terza forza della Eastern Conference. I playoffs sono assicurati, cosi come il passaggio del primo turno. I ragazzi di coach Van Gundy saranno un osso duro per chiunque se li troverà sul cammino, ma per loro sembra ormai già passato il treno che porta alle Finali NBA. Miami e Chicago restano superiori.

WASHINGTON WIZARDS 7W-26L (Matteo Plazzi): Doveva essere un anno cruciale per la squadra della capitale, ci si aspettavano miglioramenti da molti giocatori attesi alla stagione della consacrazione dopo un 2010/11 fallimentare con sole 23 vittorie e 59 sconfitte. Ed invece il nucleo giovane e di talento che avrebbe dovuto cambiare in meglio le sorti dei Wizards ha deluso ogni aspettativa. La stagione è iniziata in maniera imbarazzante con 8 sconfitte consecutive, con difficoltà su ambo i lati del campo, con il leader John Wall in netta crisi, in calo nel playmaking con meno assist (7.1 rispetto agli 8.3) e più palle perse (4.2 a partita) e con percentuali dal campo infauste (39% dal campo con il 10% oltre l’arco dei 7.25m). Ma la involuzione offensiva è stata generale e i 91.9 punti segnati di media a partita (a fronte dei 100.8 subiti di media)sono ben 6 punti segnati in meno rispetto alla stagione precedente. Sono calate sensibilmente le medie realizzative, ogni giocatore dello starting five ha riscontrato difficoltà, peggiorando l’impatto sul gioco. Al momento gli unici giocatori dello starting five ad avere percentuali realizzative positive sono il secondo anno Trevor Booker (7.3 punti con il 56% dal campo e 5.4 rimbalzi) che sta degnamente sostituendo l’infortunato Andrey Blatche e JaVale McGee (11.9 punti con il 53% dal campo, 8.8 rimbalzi e 2.7 stoppate). Su quest’ultimo si potrebbero utilizzare fiumi di inchiostro visto l’atteggiamento strafottente e superficiale che lo rende un giocatore dedito allo spettacolo fine a sè stesso che dimentica spesso di connettere il cervello. Dopo 2 sole vittorie su 17 incontri, a fine gennaio la dirigenza ha esonerato coach Flip Saunders; cambio inevitabile, molti giocatori sembravano non rispondere più ai suoi comandi e le parole di Wall hanno  evidenziato dettagliatamente la situazione: “Chiunque riceve la palla tira. Nessuno prova a fare qualcosa di più. E’ come se ci fossimo già arresi. Scendiamo in campo senza lottare e senza voler davvero competere”. La decisione di puntare sulla soluzione interna, ossia su Randy Wittman, ha dato solo una scossa parziale all’ambiente: ne sono derivate 5 vittorie di cui 2 consecutive in trasferta sui campi di Detroit e Portland, ma anche due serie di 4 sconfitte consecutive con prestazioni indecenti, vedi i soli 76 punti segnati a Houston o gli 81 in casa contro i Clippers. In questo ultimo periodo la squadra è stata trascinata oltre che da un John Wall  più deciso e preciso in transizione, anche da Nick Young, il miglior marcatore in casa Wizards con 17.2 punti a partita (in linea con lo scorso anno, ma con solo il 40% dal campo) e Jordan Crawford. L’ex Xavier, nonostante il corposo calo realizzativo rispetto al precedente anno, è senza dubbio l’uomo più importante della panchina con i suoi 12.8 punti di media, visto anche lo scarso impatto di Rashard Lewis nonostante l’ingaggio ancora superiore ai 20 milioni di dollari. Al momento della pausa per l’All Star Game, i Wizards sono relegati ai piani bassi della Eastern Conference ed hanno il 2° peggior record dell’intera NBA alle spalle dei derelitti Charlotte Bobcats. La luce in fondo al tunnel è ben lontana, a Washington dovranno aspettare ancora molti anni prima di avere un team di nuovo competitivo.

ATLANTA HAWKS 20W-14L (Alessio Simeone): gli Hawks chiudono la prima parte della stagione al sesto posto nella Eastern Conference. Le aspettative iniziali, soprattutto dopo l’ottima chiusura della scorsa stagione, non sono state totalmente rispettate. I maggiori punti interrogativi alla partenza riguardavano Josh Smith, particolarmente dopo le sue lamentele contro la dirigenza prima dell’inizio della stagione. Argomento principale della tesi di Smith, il mancato rafforzamento del roster dopo la partenza, destinazione Portland, di Jamal Crawford. Il malcontento di Smith ha preoccupato molto l’ambiente Hawks e si temesse che questo potesse condizionare negativamente l’andamento della squadra. Le cifre per ora sono dalla sua e Smith continua ad essere un punto fermo realizzando 15,9 punti e 9,5 rimbalzi a partita di media. Bene anche il secondo perno del gioco degli Hawks ovvero Joe Johnson, per lui 17,6 punti di media ad incontro. Bene anche Marvin Williams, che si conferma giocatore duttile e adattabile a seconda dei voleri di coach Drew. Per gli Hawks, la maggior preoccupazione in chiave accesso ai playoff è rappresentata dall’infortunio di un elemento essenziale come Al Horford (3-4 mesi di stop) ed attualmente sostituito da Zaza Pachulia, ma non con gli stessi effetti. Jeff Teague, al terzo anno NBA, sembra essere definitivamente esploso e si sta rivelando sempre più importante per gli Hawks e anche le sue cifre sono in netto miglioramento (12,2 punti e 4,4 assist di media). Le delusioni per la stagione di Atlanta provengono dalla panchina. Infatti né i nuovi arrivati Pargo, Radmanovic e il vecchio Stackhouse da una parte, né i vari Collins e Ivan Johnson dall’altra, riescono a dare il giusto ricambio ai membri del quintetto base. Merita una nota a parte Tracy McGrady. T-Mac, trentaduenne e costellato da innumerevoli infortuni, resta sul parquet in media 17,5 minuti a partita con 6,4 punti e 3 rimbalzi. Sta dando un buon contributo alla squadra e non merita una bocciatura netta, anche se visto il suo talento immenso potrebbe regalare molto di più, ma ovviamente non può più essere il giocatore dominante del passato. Nonostante le incertezze, la stagione degli Hawks non dovrebbe riservare sorprese e l’accesso alla postseason dovrebbe essere garantito, anche se superare il primo turno, quest’anno sarà un’impresa ben più ardua.