San Antonio Spurs, 24W-10L (Giordano Goggioli)
Anche quest’anno non solo gli Spurs si sono confermati squadra solida e compatta, ma attualmente sono in possesso del secondo miglior record ad Ovest e del quarto miglior record della Lega. A dire il vero, San Antonio pare aver fatto il salto di qualità proprio nel mese di febbraio, riuscendo a portarsi nella parte alta del tabellone grazie a una serie di 11 vittorie consecutive, 7 delle quali avvenute in trasferta. Come spesso accade, le “imprese” dei ragazzi di coach Popovich tendono a passare un po’ in sordina, e l’exploit che la squadra texana ha avuto in questo mese è passato in secondo piano rispetto ad argomenti più “attraenti” come, ad esempio, la grande stagione che stanno avendo gli Heat o i problemi offensivi mostrati dai Lakers. Come è accaduto per altre squadre, anche gli Spurs stanno attraversando una stagione tormentata dal punto di vista degli infortuni, con Ginobili costretto a entrare e uscire dall’infermeria senza poter lasciare un’impronta costante sulla squadra e Tiago Splitter, la rivelazione di quest’anno, che dovrà osservare un periodo di riposo di due settimane a causa di un problema al polpaccio destro. Proprio l’ala brasiliana può essere considerata una delle pedine più importanti per il successo degli Spurs e la convocazione all’All-Star Weekend per giocare nel “Rising Stars Challenge” ne è una conferma. Per sua stessa ammissione, Splitter ha sofferto molto la stagione passata, non riuscendo ad adattarsi alla fisicità della Lega. Tuttavia, rispetto all’anno scorso, quest’anno il numero 22 in maglia nero-argento è riuscito a raddoppiare la produzione in punti, rimbalzi e assist, tirando con il 60% dal campo rispetto al 50% fatto registrare in precedenza. Anche se non è necessariamente una sorpresa, c’è ancheda menzionare la stagione di Tony Parker, che sta trascinando gli Spurs grazie alle sue eccellenti prestazioni. Dopo un avvio di stagione zoppicante, il francese pare aver recuperato il massimo della forma e, soprattutto nel mese attuale, è andato diverse volte sopra i 30 punti segnati, inanellando 4 doppie-doppie consecutive nelle ultime partite disputate. Come ormai accade da un paio di anni, invece, Tim Duncane pare dare sempre più segnali di debolezza, dando luogo per la seconda volta consecutiva a una stagione sensibilmente sotto i suoi standard in carriera. È rimarchevole come un giocatore ritenuto prossimo al ritiro metta comunque a referto 14 punti e 8.5 rimbalzi a partita; tuttavia, rispetto alle stagioni di dominio assoluto che Duncan ha disputato, queste cifre impallidiscono e perdono di valore. Nonostante sulla carta Duncan sia in netto declino, non va assolutamente sottovalutata la sua leadership e le sue qualità di uomo-squadra, ragion per cui Popovich non si priverebbe mai dell’utilizzo del centro caraibico e motivo per cui gli Spurs fanno ancora grande affidamento sui suoi “intangibles”, capaci di influenzare gli umori e le prestazioni di tutta la squadra. Considerando l’età e lo stato di salute dei vari Duncan, Ginobili, Parker e Jefferson, pare difficile auspicare una stagione da titolo per gli Spurs, anche se la squadra texana sta riuscendo ancora una volta a stupire per la qualità del proprio gioco e delle vittorie ottenute. Sicuramente San Antonio sarà una squadra ostica da affrontare ai playoffs, ma alla lunga, avversari “giovani” come i Thunder, i Clippers e i Nuggets potrebbero avere la meglio. Resta da capire se gli Spurs stiano effettivamente puntando al titolo, che, in effetti, sembra un traguardo abbastanza arduo da raggiungere. Piuttosto, pare che San Antonio stia conducendo con estrema cura la transizione che li sta portando nell’era post-Duncan, cercando di mantenere un alto livello di competitività pur gradualmente facendo sempre meno affidamento sul loro uomo franchigia. Come sempre però, scommettere contro Duncan, Ginobili, Parker e Popovich lascia un po’ di inquietudine addosso, quindi, nella seconda metà di stagione… occhio agli Spurs!

Dallas Mavericks, 21W-13L (Marco Pirri)
I campioni in carica, dopo un avvio lento certificato da quattro sconfitte nelle prime cinque gare, hanno ripreso un ottimo ritmo, come testimoniano le sette vittorie ottenute nelle ultime nove partite. Mai come in questa stagione lo sforzo degli uomini di esperienza di coach Carlisle sembra essere misurato, come dimostrano le medie  in ribasso rispetto allo scorso anno di Nowitzki (19.6 punti e 6.8 rimbalzi), Terry (14.8 e 3.8 assist) e Kidd (5.1 punti e 5.5 assist). L’approdo in Texas, inoltre, di Carter (10.9 punti) e West (8.3 punti e 3.4 assist), attualmente fermo per una frattura a un dito della mano, e la conferma dell’arrembante Beaubois (anche lui nell’ultimo periodo ai box) sembrano poter compensare le partenze di Barea e Stevenson nel reparto esterni. Il dubbio più grande legato ai Mavs resta, però, la situazione sotto canestro. Il pur buon rendimento di Haywood (6.8 rimbalzi e 1.03 stoppate), infatti, non sembra garantire lo stesso grado di intimidazione dentro l’area che l’anno scorso garantiva Tyson Chandler. Sotto quest’aspetto neanche Mahinmi e Wright possono pareggiare la situazione. Situazione che potrebbe essere sensibilmente migliorata dall’uomo che fino a oggi ha deluso di più, ovvero Lamar Odom. Al di là dei numeri (7.7 punti, 4.5 rimbalzi e 1.7 assist), l’ex Lakers non sembra ancora perfettamente inserito nella sua nuova squadra, ma una sua attesa e auspicabile crescita potrebbe dare alla franchigia di Mark Cuban un’imprevedibilità pari a poche altre franchigie. Imprevedibilità che, unita all’esperienza dei senatori, potrebbe rendere non impossibile un’incredibile e in parte inattesa doppietta.

Houston Rockets, 20W-14L (Davide Moroni)
Prima parte di stagione da incorniciare per i Rockets, che vantano il sesto record a Ovest a pari merito con i Lakers (che sono quinti) e a una sola gara di distanza dai Mavs, che sono quarti. Che Houston fosse una squadra con delle buone potenzialità era evidente, ma che riuscisse a giocare con questa costanza, specie in una Conference piuttosto competitiva come la Western, forse in pochi se lo sarebbero aspettati. Merito soprattutto dei tanti giovani a disposizione di coach McHale, che hanno saputo supplire alle serate negative di quelli che avrebbero dovuto essere le star della squadra. Parliamo di Kevin Martin e Luis Scola, che stanno vivendo una stagione piuttosto altalenante: il primo, oltre a segnare “solo” 18 punti a partita (contro i 23,4 dello scorso anno), dopo una discreta partenza ha vissuto un mese di febbraio piuttosto difficile, con sei partite sotto la doppia cifra, compresa la “virgola” nella sconfitta con i Grizzlies e i 2 punti con 1/10 al tiro nella sconfitta con i Timberwolves. Anche la stagione di Scola è ricca di alti e bassi: in generale, segna meno dell’anno scorso (15,1 punti contro 18,3), prende meno rimbalzi (5,9 contro 8,2), serve meno assist (1,6 contro 2,5) e perde più palloni (2,7 contro 1,9); e anche l’argentino alterna partite da protagonista ad altre in cui la sua presenza in campo è a dir poco impalpabile. Per fortuna i tanti buoni giocatori di cui il roster dei Rockets è ricco hanno saputo prendere spesso il loro posto: da Chandler Parsons, sorprendente rookie che ha saputo conquistarsi lo spot di ala piccola titolare, a Courtney Lee (quasi 10 punti a gara), da Patrick Patterson (7,3 punti e 4,2 rimbalzi) a Chase Budinger (8,3 punti, 40% da tre), fino ad arrivare alla vera sorpresa stagionale, Kyle Lowry, letteralmente esploso con medie di 15,6 punti 7,6 assist e 5,3 rimbalzi a gara, con in più quasi 2 recuperi. Il roster è lungo e la qualità media è alta, ma le stelle stanno un po’ deludendo: le prospettive di questi Rockets, se dovessero continuare così anche nella seconda parte della stagione, sarebbero comunque piuttosto basse per quanto riguarda la post-season.

Memphis Grizzlies, 19W-15L (Marco Pirri)
L’analisi della prima parte di stagione dei Memphis Grizzlies non può non partire dall’infortunio del loro leader Zach Randolph. La rottura del legamento collaterale mediale del ginocchio destro, subita nella gara del primo gennaio a Chicago dal numero 50, ha costretto coach Lionel Hollins e lo staff dei Grizzlies a ridisegnare i piani e a cambiare, almeno in parte, il profilo della squadra. Dai 76ers, infatti, è arrivato Marreese Speights, ma, com’era prevedibile, l’ex Philadelphia non ha dato lo stesso contributo offensivo di Randolph (8.6 punti e 6.5 rimbalzi di media contro rispettivamente 14.8 e 7.5) e la differenza di media punti realizzati in questa stagione rispetto alla scorsa (93.4 contro 99.9) si può quasi interamente spiegare in questo modo. A tenere a galla i Grizzlies, però, è stata una maggiore tenuta difensiva (92.2 punti concessi contro i 97.6 del 2010/2011), grazie alla quale, insieme a un Marc Gasol in crescita (15 punti, 10.1 rimbalzi e 3.1 assist di media) e convocato per il suo primo ASG, il team del Tennessee è ancora in zona playoffs. Va rimarcata, inoltre, la costanza di rendimento di Gay (18.9 punti e 6.6 rimbalzi), Conley (13.2 punti e 2.47 recuperi a gara) e Mayo (11.9 punti) e il buon bilanciamento offensivo di Memphis, che può contare su sei uomini in doppia cifra di media. Le incognite riguardano le rotazioni a disposizioni di coach Hollins. Sia tra gli esterni, con Jeremy Pargo fermo a una media di 3.2 punti a partita, che nel reparto lunghi, con Haddadi (1.9 ppg) e Cunningham (5 ppg) e l’assenza per l’intera stagione di Arthur, la panchina non dispone della qualità necessaria a un eventuale e ulteriore salto di qualità. È altrettanto vero, comunque, che nessuno chiede ai Grizzlies di vincere il titolo e la poca pressione unita al ritorno di Randolph, previsto per marzo dopo una terapia conservativa grazie alla quale ha evitato l’intervento chirurgico, e di un buon elemento come Sam Young, potrebbero riproporre Memphis come mina vagante di una competitiva Western Conference.

New Orleans Hornets, 8W-25L (Davide Moroni)
Fino a questo momento, è stata una stagione a dir poco fallimentare per gli Hornets, che hanno il terzo peggior record della Lega (nonché peggiore a Ovest); soprattutto, non sembra intravedersi una luce in fondo al tunnel. Certo, la sfortuna ha giocato la sua parte: Eric Gordon, potenzialmente il miglior giocatore della squadra, ha potuto giocare solo due partite e starà fuori almeno fino all’inizio di aprile, mentre sono attualmente fuori Landry, Okafor e Jason Smith. In più, Jarret Jack ha recentemente saltato 6 gare, Ariza ne ha saltate 8 e Chris Kaman, arrivato in estate più che altro per motivi “salariali”, dopo che era stato messo fuori squadra in attesa di essere ceduto è stato richiamato in causa, appunto, per la decimazione del reparto lunghi, anche se potrebbe comunque partire prima della trade deadline. Ma proprio gli infortuni dei lunghi titolari hanno permesso di far emergere una delle poche note liete della stagione degli Hornets, Gustavo Ayón. Il lungo messicano, ex Fuenlabrada, si è fatto trovare pronto e al momento ha medie di 5,8 punti e 5 rimbalzi a gara, con il 58% dal campo e, guardacaso, ha giocato le tre sue migliori partite nella striscia di tre vittorie consecutive della scorsa settimana. Anche Greivis Vasquez sta dando il suo contributo (8,5 punti e 4,8 assist), mentre stanno deludendo non poco Trevor Ariza (che segna 11,8 punti a partita, con il 41% dal campo) e il nostro Marco Belinelli, che per ora è in doppia cifra di media (10,8 punti) ma con percentuali rivedibili (41%). L’abbondanza di giocatori mediocri e la discontinuità dovuta agli infortuni di certo non aiuta, ma sette vittorie sono proprio poche: l’impressione è che le mancanze degli Hornets, più che dal poco talento, derivino dalla mentalità perdente di una squadra che non ha saputo reagire alla partenza di Paul e alle prime uscite negative di questa stagione.