Golden State Warriors @ San Antonio Spurs 0-1

L'aggressività della difesa Spurs(AP Photo/Eric Gay)

L’aggressività della difesa Spurs(AP Photo/Eric Gay)

La Partita. Tanti i rimpianti per i Warriors, dopo una gara condotta per quasi tutti i 48′ e dopo un altro mostruoso terzo quarto di Stephen Curry da 22 punti, 9/12 dal campo, 4/6 da 3 e 3 assist che regala il +16 alla formazione di coach Jackson a 4′ dal termine. Sembra poter essere messa la parola fine alla serie di 29 sconfitte consecutive dei Warriors a San Antonio (iniziata nel lontano 1997), ma l’attacco di Golden State si blocca, un blackout di 4′ fatto di 3 palle perse, 8 errori al tiro, 2 liberi di importanza capitale falliti dall’ex di turno Richard Jefferson e dal 6°fallo che esclude dalla gara Klay Thompson, autore di una buona prova da 19 punti, 8/15 al tiro. Mentre dall’altra parte gli Spurs, nonostante Tim Duncan costretto a tornare negli spogliatoi per un problema allo stomaco legato ad un virus influenzale dopo 35′ da 19 punti e 11 rimbalzi, vengono guidati da Tony Parker (fino a quel momento anonimo con 12 punti, 4/15 al tiro) e piazzano un parziale di 18-2 chiuso dalla tripla di Danny Green che manda la sfida all’overtime. Nel primo supplementare la squadra di Popovich mette il naso avanti per la prima volta nella partita con Green e Kawhi Leonard, ma Jarret Jack con una difficile penetrazione e appoggio di mancino contro la difesa schierata degli Spurs pareggia a quota 115 per altri 5′ minuti di overtime. Parker (28 punti, 8 rimbalzi e 8 assist alla fine) diventa incontenibile, tra penetrazioni, jumper, scarichi e grazie al suo contributo e a quello di Green (22 punti, 6/9 da 3) San Antonio si spinge fino al +5 con 1′ sul cronometro. Sembra finita, ma i Warriors con un ultimo colpo di coda approfittano di una tripla scellerata di Ginobili e dell’errore in penetrazione di Parker, rispondendo con una conclusione pazzesca di Curry in sottomano e con l’appoggio del rookie Kent Bazemore sorpassando sul 127-126 con soli 4” da giocare. Secondi più che sufficienti a Manu Ginobili per scagliare la tripla decisiva a regalare agli Spurs una soffertissima vittoria. “Ho preso un bruttissimo tiro pochi secondi prima. Ero stanco, non avevo altre possibilità di fare canestro se non tirare dalla distanza e Jack mi ha lasciato qualche metro, così ho provato. L’ultima giocata invece non era per me, ma dopo aver portato un blocco a Tony, lo hanno raddoppiato lasciandomi smarcato sul lato debole ed è andata bene” il commento di Manu Ginobili. Splendide le parole di coach Popovich riguardanti l’argentino: “Sono passato dal volerlo scambiare immediatamente al volergli preparare la colazione domani mattina”.

La serie. Il rammarico per una ghiotta occasione sfuggita in casa Warriors è tanto, soprattutto in una partita in cui gli Spurs stavano faticando molto al tiro (solo il 38% nel primo tempo) e dove di fronte ad un Duncan a mezzo servizio per l’influenza stavano dominando in area e a rimbalzo spinti dalla doppia doppia di Andrew Bogut. “Dovevamo chiuderla e vincerla. Non siamo i primi a perdere una partita del genere e non saremo gli ultimi. Questo non significa che accettiamo la sconfitta. Cercheremo di migliorare” il lapidario commento di coach Jackson. “Anche contro i Nuggets abbiamo avuto l’occasione di spuntarla in gara-1, in quel caso è stato Miller a segnare allo scadere. Siamo già stati in questa situazione, sappiamo come risollevarci, siamo una squadra che non si abbatte, abbiamo ottime chance per vincere e pareggiare la serie”, le parole di Stephen Curry dopo una incredibile prestazione da 44 punti (18/35 al tiro) e 11 assist, anche se il suo contributo è andato scemando dopo il terzo quarto, complice anche la decisione di Popovich di mettergli contro Kawhi Leonard (18 punti, 7/11 al tiro, 9 rimbalzi, 2 recuperi). Scelta azzeccata in quanto ne sono derivati soli 6 punti, tiri forzati e 2 perse nel corso del 4° quarto, dando ancor più spinta alla rimonta, come sottolineato da coach Popovich: “Volevamo cercare di fermarli con piccoli aggiustamenti difensivi, mantenendo lo stesso bilanciamento in attacco ed ha funzionato”. I Warriors sono andati in confusione con forzature e con frequenti situazioni di 1 contro 1 (ben 15 gli isolamenti nel corso del 4°quarto a fronte dei 15 dei primi 3 quarti), mentre gli Spurs hanno continuato con il proprio gioco bilanciato, fatto di pick and roll, di movimenti senza palla, post-up, di coinvolgimento di ogni giocatore, in poche parole non hanno snaturato il proprio gioco. La serie è tutt’altro che conclusa, i Warriors hanno dimostrato di poter mettere in seria difficoltà una squadra esperta e navigata come gli Spurs. Sono una squadra giovane, piena di energia, hanno molte armi dal perimetro e varianti del quintetto da cavalcare, ma è difficile pensare ad un upset, San Antonio non è Denver. Gli Spurs difendono decisamente meglio sul perimetro, hanno migliori spaziature, non peccano di egoismi, anzi sfruttano sempre l’extra pass per costruire la migliore conclusione possibile, aprendo bene il campo e hanno mostrato nelle ultime frazioni di gioco di possedere le giuste contromisure per limitare i portatori di palla avversari. Fondamentale in casa neroargento il recupero a pieno servizio di Duncan (vista la già pesante assenza di Splitter), importante nel dettare il tempo alla difesa e nel tentare di rendere la vita dura a Bogut.

Head-to-Head. Stephen Curry vs Tony Parker, la sfida tra il miglior tiratore (48% dal campo, 43% dall’arco e 100% ai liberi in questi playoffs) e sicuramente uno dei più elettrizzanti di questa postseason, contro uno dei giocatori più forti ad attaccare il ferro ed apparso finalmente in salute. Le sfuriate di Curry nei terzi quarti, la sua precisione chirurgica dall’arco, la sua visione di gioco e capacità di mettere in ritmo i compagni saranno messi a dura prova contro la batteria di esterni di coach Popovich, mentre dall’altro lato del campo coach Jackson dovrà cercare di contenere la rapidità, le proprietà di palleggio e l’esperienza di uno degli ingranaggi fondamentali dell’attacco Spurs, atteso ad una postseason all’altezza di quanto fatto vedere prima dell’infortunio alla caviglia in marzo.

 


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