E’ sempre più un monologo degli Indiana Pacers lo scenario di una Central Division che, negli ultimi tempi, sta esaltando in tutta la loro gravità i problemi di tutte le altre quattro componenti. E’ vero che gli uomini di Vogel hanno perso 3 delle ultime 7 partite, dimostrando di trovare particolarmente indigesta l’esuberanza atletica e la rapidità dei Phoenix Suns, che si sono imposti due volte in una settimana e sono diventati appena i secondi in 25 partite a sbancare Indianapolis. Ed è altrettanto vero che, partendo dalla posizione di miglior difesa NBA, i Pacers hanno subito almeno 100 punti in 4 delle suddette 7 occasioni, dopo averli lasciati appena 6 volte nelle prime 40. Ma decisamente non ci sono le condizioni per far scattare l’allarme, i sintomi sembrano semplicemente quelli di un calo fisiologico, normale in una stagione così lunga ed impegnativa che, non casualmente, si presenta a pochi giorni dalla pausa per l’All-Star Weekend.

Dimostrando di voler puntare davvero in alto, i Pacers hanno intanto inserito nel motore Andrew Bynum, firmandolo per il resto della stagione. Personaggio controverso, è reduce da un’annata ai box e solo all’inizio del complicato ritorno alla condizione di giocatore NBA a tutti gli effetti, appena avviato a Cleveland prima di finire fuori squadra per motivi disciplinari e quindi spedito a Chicago, da cui è stato subito tagliato. Per certi aspetti è un rischio, ma anche un elemento su cui lavorare in attesa dei playoffs, dove può essere un corpo in più da mettere nelle battaglie sotto canestro, che significa anche sei falli da spendere e minuti di riposo in più per Hibbert, probabilmente quelli che ad altissimo livello non gli può garantire Mahinmi. La possibilità di lottare per il titolo potrebbe poi essere lo stimolo utile a tenere sotto controllo i pericolosi istinti caratteriali.

Proprio quelli che sembrano non riuscire a gestire a Cleveland, sempre alle prese con problemi ambientali all’interno del roster che inevitabilmente si ripercuotono sui risultati del campo, ingenerosi e negativi oltre ogni più razionalmente triste previsione. La serie aperta è di 5 sconfitte, che diventano 8 nelle ultime 10, molte in maniera davvero netta, tanto da aver spinto l’ultimo arrivato Luol Deng a dichiarazioni piuttosto severe su una realtà meno professionale dei Bulls lasciati da poche settimane. Ai Cavs, talmente fragili da sprecare spesso le gare con un semplice parziale negativo, servono le vittorie per acquisire maggiore fiducia ma sembra mancare la mentalità giusta, quella della squadra che vuole competere ad alto livello: sarà necessario lavorarci col tempo, ma nel frattempo da molte parti risuona come imminente qualche mossa sul mercato – con Dion Waiters primo sulla lista dei partenti – per smuovere la situazione e trovare migliori equilibri.

Il mercato, in chiusura il 20 febbraio, potrebbe vedere protagonista anche Detroit, le cui scelte estive continuano a far discutere. L’idea di inserire Josh Smith da ala piccola non sta funzionando, esattamente come la regia di Brandon Jennings, che per fare il playmaker continua sempre a pensare troppo ai propri numeri. Il talento non manca all’ex romano, che sta segnando 17 punti di media in stagione, diventati 21 (anche se tirando male, 40% dal campo e 29% da tre) nelle ultime 7, in cui però sono arrivate appena 2 vittorie e sono stati subiti circa 103 punti di media. Troppi, per una squadra in cui Datome continua a non trovare spazio e che secondo le ultime voci potrebbe spedire Monroe a Toronto in cambio di Kyle Lowry.

Milwaukee potrà guardare a qualche trade per liberarsi soprattutto di Ilyasova e Sanders, dato che non ha più molto da chiedere alla regular season, nonostante la vittoria proprio a Detroit con 56 punti della panchina e quella sui Knicks con canestro decisivo in volata di Knight. Già, perché queste due sono le uniche affermazioni sulle 17 partite disputate nel 2014. Sorprende invece la clamorosa discontinuità di Chicago, che a giorni potrebbe scambiare addirittura Taj Gibson, ne ha vinte 5 nelle ultime 9, passando con facilità da una difficoltosa affermazione a Charlotte alla caduta in casa con Minnesota, dalla pesante sconfitta con i Clippers alla vittoria sul campo di San Antonio. Ed ora è reduce dai due brutti schiaffoni rimediati a New Orleans e, soprattutto, a Sacramento, con appena 79 e 70 punti segnati. Il -29 in California ha lasciato il segno anche sui nervi dei Bulls (già alle prese col malumore di Boozer, che il g.m. Forman avrebbe preferito rimanesse in privato), con un Joakim Noah, palesemente in sofferenza nel duello con Cousins, espulso per proteste e per aver proferito parole offensive e volgari nei confronti degli arbitri.

MVP – Alla partita delle stelle i Pacers manderanno Paul George e Roy Hibbert, ma non un Lance Stephenson che continua a disputare una stagione al di sopra delle più rosee aspettative. Per lui già 5 triple-doppie e nelle ultime 7 partite la media di 15.9 punti, 9.7 rimbalzi (cifra clamorosa per una guardia) e 6.0 assist.

LVP – A Cleveland, tra i tanti punti interrogativi che circondano la squadra di Mike Brown e non risparmiano neppure il tecnico, va registrato pure il recente calo di Tristan Thompson, inizialmente uno dei più positivi, ma ora autore di 9.6 punti e 7.4 rimbalzi con un misero 37.9% dal campo nelle ultime 7 giocate.