Un’emblematica immagine di Dwight Howard, protagonista di una stagione alquanto discussa (Foto Sam Greenwood/Getty Images)

Il record. La stagione probabilmente più strana nella storia dei Magic si è chiusa con 37 vittorie e 29 sconfitte, un non brillantissimo 6° posto ad est e l’eliminazione al primo turno dei playoffs – nonostante la crescita di Glen Davis – per mano dei più convincenti Pacers. Ma più dei numeri, rimarranno nella memoria le difficoltà a gestire il caso-Howard, che ha tenuto in scacco tutta la franchigia con la sua riluttanza ad estendere il contratto, poi con la decisione di uscire al termine della stagione e quindi alla fine del mercato, dopo un lungo tira e molla, la scelta di rinunciare all’opzione e rimanere legato ai Magic ancora per 12 mesi. Quest’incertezza ha condizionato tutta la stagione di una squadra che, se libera mentalmente, avrebbe avuto le potenzialità per fare di più. Invece, pur con una buona partenza da 4 vittorie nelle prime 5 e 10 nelle prime 13, i meccanismi si sono inceppati nella parte centrale della stagione e il finale è stato sostanzialmente solo una lenta agonia. Con alcuni sussulti, generati però soprattutto al di fuori del parquet, ad esempio quando Van Gundy aveva riferito ai giornalisti che Howard era andato a chiedere il suo licenziamento alla dirigenza, lasciandolo subito in pasto ai microfoni inconsapevole delle parole dette dal suo coach. Episodi come questo – e quelli probabilmente accaduti dietro le quinte – hanno solo rovinato la stagione di Orlando, finita con Howard fuori per un infortunio alla schiena, l’operazione e la rieducazione svolta a Los Angeles senza neppure tornare a seguire la squadra nei playoffs contro i Pacers. Un segnale del distacco del giocatore nei confronti della franchigia, che ha letteralmente buttato via una stagione in questo modo. E non può permettersi di buttarne via altre.

MVP. Numeri alla mano, il migliore deve essere considerato il solito Howard. DH12 è probabilmente tra i primi cinque giocatori in assoluto a questo livello, è il miglior centro della lega e già ora uno dei migliori di tutti i tempi, anche se per atteggiamento è stato a lungo dannoso. La sua produzione è stata comunque notevole, con 20.6 punti e 14.5 rimbalzi di media, conditi da 2.2 stoppate e 1.9 assist, ma non ha dominato come e quanto avrebbe potuto, ha segnato meno dell’anno passato (22.9) e soprattutto stabilito il record negativo in carriera dalla lunetta con un inguardabile 49.1%, ben distante dal pur non esaltante 59% attorno a cui aveva girato nelle ultime sei stagioni. Anche da questo si è visto che la testa non era del tutto interessata e coinvolta nelle vicende di squadra.

Ryan Anderson

La sorpresa. Non può che essere Ryan Anderson, che ha saputo sfruttare la sua prima vera stagione da titolare nella NBA trasformandola in un biglietto da visita da 16.1 punti e 7.7 rimbalzi col 39.3% da tre. Visti i notevoli miglioramenti, quest’ala grande “moderna” ha incorniciato la sua annata col premio di “Most Improved Player” e ora proverà a passare alla cassa, visto che sarà free agent con restrizione e si augura di cominciare a riscuotere, anche se rimangono perplessità su quello che può fare con e senza un giocatore come Howard in mezzo all’area. In ogni caso, per farsi trovare in salute e al riparo da infortuni, su consiglio dell’agente, si è tirato fuori dalla selezione americana che farà da “sparring partner” alla squadra olimpica a Las Vegas ad inizio luglio.

La delusione. Non particolarmente brillante la gestione di Jameer Nelson, né il rendimento complessivo di Jason Richardson, ma è mancato completamente il contributo di Hedo Turkoglu. Dopo un passaggio tra Toronto e Phoenix, è tornato ad Orlando, dove era già stato per cinque stagioni, risultando molto prezioso nel raggiungimento della finale nel 2009. Ma la sua capacità di essere incisivo e decisivo è rimasta a quella stagione, perché in questa è sembrato decisamente in declino.

Prospettive Future. Ufficializzata la separazione da Otis Smith e Stan Van Gundy, è in corso la ricerca di nuove figure per il ruolo di g.m. e di head coach, finora proseguita senza successo. Per la poltrona di general manager vengono dati ancora in lizza Jeff Bower, Rob Hennigan e Dennis Lindsey. Da uno di loro deve partire l’impronta (concordata col proprietario Alex Martins, che ha promesso maggiore fermezza e decisione) sulla strada da seguire in vista della prossima stagione. Il primo obiettivo deve essere quello di non vivere un’altra annata da incubo, o un altro “Dwightmare”. Cioé la situazione di Howard va chiarita una volta per tutte. Se resta e firma l’estensione, si può ragionare per mettergli attorno un paio di pedine di qualità in più, in primis una guardia-ala da quintetto. Altrimenti, se va via – come sembra probabile – bisogna ricostruire, e decidere di conseguenza cosa fare di Anderson e Nelson, che ha avuto una proroga di 15 giorni per decidere se esercitare la propria opzione sul prossimo anno di contratto. Avrà tempo fino al 29 giugno, il giorno successivo al draft. Secondo molti non è un caso, perché forse per quella data si potrebbe conoscere il destino di Superman.