Gli Spurs poco dopo la consegna del Larry O'Brien Trophy (Foto: dimemag.com)

Gli Spurs poco dopo la consegna del Larry O’Brien Trophy (Foto: dimemag.com)

La stagione. Torniamo a un anno fa, a quel maledetto/fantastico (a seconda dei punti di vista) tiro di Ray Allen che fa svanire una vittoria che gli Spurs si sentivano già in tasca. Dopo una mazzata del genere, la cosa più “semplice” per una squadra che, soprattutto tra le sue stelle, non era costituita proprio da giovincelli sarebbe stata salutarsi, dirsi “Dopotutto, è stato bello” e andare ognuno per la propria strada, chi a giocare da un’altra parte, chi a giocare a bocce, chi a bersi cuba libre sulla spiaggia. Invece no. Non se ti chiami Tim Duncan, Manu Ginobili, Tony Parker (e qui ci fermiamo, ma potremmo nominare l’intero roster). Si è detto che Gregg Popovich è stato bravo a giocare sul desiderio di riscatto, ma non crediamo che, da questo punto di vista, il suo compito sia stato poi così difficile. Così, a 12 mesi di distanza, parliamo di trionfo Spurs. Un trionfo che è arrivato con dei playoffs iniziati sudando sette camicie contro Dallas e continuati poi in discesa, spazzando via Blazers e Thunder e prendendosi una dolce rivincita proprio contro gli Heat in Finale; ma è anche un trionfo che ha le sue radici in una regular season solidissima (62-20 il record), con il primo posto a Ovest ottenuto ruotando ampiamente gli uomini (nessuno oltre i 30 minuti di media) e dando fiducia a ogni giocatore del roster per quello che poteva dare, perché è così che si costruiscono giocatori affidabili e, di conseguenza, una franchigia vincente.

Kawhi Leonard, MVP a sorpresa delle Finals (Foto: blog.pe.com)

Kawhi Leonard, MVP a sorpresa delle Finals (Foto: blog.pe.com)

MVP. L’esempio più lampante di quanto abbiamo appena detto è l’MVP delle Finali, Kawhi Leonard, che in tre stagioni ha bruciato le tappe passando da “banale” 15º scelta, a importante giocatore di supporto, a uomo di quintetto, a giocatore in grado di fare la differenza; fino a diventare, appunto, un MVP, aggiungendo alla maturità degna di un veterano e alla pregevole attitudine difensiva un’efficacia offensiva vista solo a sprazzi fino a quel momento. Ma come si fa a non nominare un Tim Duncan da quasi doppia doppia di media (oltre 15 punti e 9 rimbalzi sia in regular season che nei playoffs) a 38 anni suonati? O un Manu Ginobili che a 37 anni ha aumentato la media punti rispetto allo scorso anno, sia in stagione che nei playoff? O un Tony Parker che è sempre più il leader di questa squadra, nonché la sua principale arma offensiva (16,7 punti in regular season, 17,4 nei playoffs)? In definitiva, come si fa a trovare un solo MVP in una squadra come gli Spurs?

La sorpresa. Può sorprendere che il “vecchietto” Tim Duncan sia ancora in grado di dominare in area? Certamente no. Quindi, dobbiamo cercare altrove. E andiamo sul sicuro con Boris Diaw, sempre più sovrappeso ma sempre più determinante, come testimoniano le cifre (9,2 punti, 4,8 rimbalzi, 3,4 assist nei playoffs, contro i 4,1 punti, 2,5 rimbalzi e 1,8 assist dello scorso anno), frutto di un Q.I. cestistico quasi ineguagliabile tra i pariruolo (è stato decisivo in Finale senza mai andare in doppia cifra). Ma non dimentichiamo Patty Mills, che da vice-Parker ha giocato la miglior stagione in carriera, risultando un fattore anche nei playoffs, con la ciliegina dei 17 punti con 5/8 da tre in gara 5 di Finale.

Marco Belinelli, primo italiano a vincere un titolo NBA (Foto: rantsports.com)

Marco Belinelli, primo italiano a vincere un titolo NBA (Foto: rantsports.com)

La delusione. Verrebbe da dire nessuno, ma scavando più a fondo qualcosa, purtroppo, emerge. Escludendo Austin Daye, eterno incompiuto (e pensare che è stato una 15º scelta al draft, come Leonard…) che, se non riesce a combinare qualcosa nemmeno a San Antonio (8 minuti di media), forse è meglio che cerchi squadra in Europa (ha un contratto garantito da 1 $ di dollari se non viene tagliato prima del 1º luglio), non rimangono molte alternative, se non… Marco Belinelli. Non fraintendete, stiamo cercando il pelo nell’uovo: il Beli ha giocato una stagione superlativa, chiudendo in doppia cifra per punti segnati (11,4) e con il massimo in carriera in rimbalzi e assist (rispettivamente 2,8 e 2,2), ma soprattutto in percentuale dall’arco (43%, con quasi 4 tentativi a partita). Però… c’è un ‘”però”: i playoffs. Nei quali la sua produzione offensiva si è praticamente dimezzata (5,4 punti) a causa di un utilizzo molto più ristretto (15 minuti di media contro i 25 della regular season). Popovich ha avuto le sue buone ragioni, soprattutto per le carenze difensive dell’italiano, e Marco, da grande professionista, ha continuato a dare il massimo in ogni minuto passato in campo, segnando anche alcuni canestri importanti. Ciò nonostante, ci viene naturale parlare di “delusione”. Non tanto nel senso che lui è stato una delusione. La delusione è soprattutto nostra, perché ci sarebbe davvero piaciuto vederlo trionfare da protagonista, come ha dimostrato di meritarsi in stagione regolare, piuttosto che da elemento di contorno.

Boris Diaw, probabile che rifirmi per San Antonio (Foto: airalamo.com)

Boris Diaw, probabile che rifirmi per San Antonio (Foto: airalamo.com)

Prospettive future. Sembrava il degno epilogo della squadra che più di ogni altra ha dominato la NBA negli ultimi 15 anni. Ancora una volta, la cosa più semplice per Duncan e Ginobili sarebbe stata ritirarsi da vincenti, da campioni. E invece no. Tim Duncan ha deciso di rimanere per un altro anno, per tentare un’altra impresa. Un’impresa, in effetti, ardua ma non così strampalata: Popovich, come ha dimostrato anche in questa stagione, è un maestro nell’ottenere il massimo con il “minimo sforzo”, ovvero facendo giocare tutti per permettere ai giovani di crescere e ai vecchi di risparmiarsi. Molto dipenderà da cosa faranno i free agent Boris Diaw e Patty Mills (oltre al veterano Matt Bonner e a Aron Baynes, free agent con restrizione), ma con elementi promettenti nel roster come Cory Joseph e Jeff Ayres, oltre alla 30º scelta di quest’anno Kyle Anderson (prossimo “steal of the draft”?), e all’attesa esplosione di Leonard come stabile All-Star, i vari Duncan, Ginobili e Parker potranno giocare con tranquillità, “aspettando” la post-season. Per provare a dare l’assalto a un altro titolo NBA.