Jamal Crawford (AP Photo/Morry Gash)

Jamal Crawford (AP Photo/Morry Gash)

In una stagione NBA così lunga ed impegnativa, è fondamentale anche saper gestire le energie, per arrivare più freschi degli avversari quando le partite si decidono e soprattutto per avere ancora maggiore benzina nel serbatoio quando arriveranno aprile e maggio. Per questo una delle armi più importanti per le squadre che vogliono fare strada è la lunghezza del roster, con una panchina che deve essere piena di elementi di qualità. La cosiddetta “second unit” è sempre più importante non solo per poter gestire il minutaggio dei titolari, ma anche per trovare quella scintilla che fa vincere le partite, ad esempio con la marcatura difensiva che frena la stella avversaria, o il tiratore che mette qualche conclusione in pochi minuti e propizia l’allungo decisivo.

Non tutti gli allenatori sono concordi nel ritenere utile una rotazione a 10 giocatori – praticamente impossibile trovarne di più lunghe – specie per timore di veder calare troppo l’intensità con un eccessivo numero di cambi. Ce ne sono diversi che già abitualmente in regular season impiegano stabilmente solo 8 o al massimo 9 uomini, un numero che in maniera naturale tende a contrarsi quando arrivano i playoffs, per la necessità di mantenere l’intensità e la concentrazione, che sarebbero danneggiate da un frequente dentro-fuori, ai massimi livelli possibili e perché le serie di partite ravvicinate contro una stessa avversaria tendono ad esporre maggiormente i difetti di alcuni elementi che così vengono limitati al ruolo di armi tattiche in particolari situazioni.

Al di là delle differenti scuole tecniche di pensiero, non si può negare che avere più soluzioni possibili tra i cambi, in un roster assemblato con i giusti equilibri, sia un vantaggio. Si potrebbe dunque discutere su quale sia la panchina migliore della NBA in questa stagione, un argomento che non troverebbe probabilmente una soluzione univoca anche perché diversi possono essere i punti di vista e i metri di valutazione, ma se andiamo a vedere la qualità e l’incisività degli elementi del secondo quintetto viene da scegliere quella dei Clippers, lievitati in classifica grazie ad una serie di 17 vittorie consecutive che ha riscritto il record di franchigia e l’ha portata ai vertici della lega. Non sempre il gioco è brillantissimo, ma in un roster costruito su Chris Paul e Blake Griffin poter mettere in campo un realizzatore come Jamal Crawford, al momento il principale candidato al premio di “Sesto Uomo dell’Anno” coi suoi 16.3 punti in 29 minuti di media, o una giovane ed emergente point-guard con grandi doti atletiche e difensive come Eric Bledsoe (8.6 punti e 2.6 assist), sarebbe già un discreto lusso.

Manu Ginobili (Photo by Ronald Martinez/Getty Images)

Manu Ginobili (Photo by Ronald Martinez/Getty Images)

Ma la dotazione diventa clamorosa se si aggiungono anche Lamar Odom, decisamente più convincente negli ultimi tempi dopo un inizio dedicato a recuperare la condizione, e Matt Barnes (11.1 punti e 5.2 rimbalzi), che pare avere finalmente trovato la propria dimensione nella lega dopo una decina d’anni da girovago, riuscendo a portare pressione ed aggressività difensiva sulla palla, atletismo nelle due metà campo e anche un fatturato in doppia cifra media, tanto da essersi guadagnato un minutaggio superiore a quello dell’ala piccola titolare, Caron Butler. Non va dimenticato neppure Chauncey Billups, che fa parte della rotazione ma, rientrato dopo il grave infortunio (durante il quale il suo posto in quintetto è stato preso da Willie Green), è riuscito a giocare solo 3 partite prima di fermarsi nuovamente, ed a gennaio si dovrebbe rivedere anche Grant Hill. E sotto canestro possono arrivare pure minuti, seppure più marginali, per almeno uno tra Ronny Turiaf e Ryan Hollins. I grandi vantaggi di questa rotazione si vedono soprattutto nella metà campo difensiva, dove i Clippers sono quarti per punti subiti e percentuale concessa e i migliori in assoluto per palle rubate (unica squadra in doppia cifra a 10.8), determinando così un gran numero di canestri facili che dunque spingono fino al 4° posto assoluto nella precisione su azione (47.7%). E coach Del Negro può permettersi di non usare nessuno per più di 33 minuti di media.

Mentre i Clippers hanno due giocatori che, seppur di poco, superano i 30 minuti di impiego a partita, ne troviamo solamente uno nel roster degli Spurs. Si tratta di Tony Parker, cioè il più giovane dei “Big Three” e dunque quello che richiede di essere gestito un po’ meno: è il miglior realizzatore e assist-man della squadra di Popovich, che impiega ben 8 uomini tra i 20 e i 30 minuti. Riesce a stare sotto questa fatidica soglia, seppur davvero di un soffio, anche un Tim Duncan a cui comunque non si può ancora rinunciare del tutto. La panchina e la lunghezza della rotazione sono dunque armi importanti per gli Spurs, che possono contare sulle scintille accese da quel giocatore fenomenale che è Manu Ginobili. Terzo miglior realizzatore di squadra a quasi 13 di media, lui è il vero leader del secondo quintetto, molte volte, per sfruttarne l’estro e la visione di gioco, è chiamato a portare la palla e mettere in ritmo i tiratori. La qualità dei singoli è inferiore a quella dei Clippers, ma è difficile trovare altrove una simile quantità, con Gary Neal (ultimo dei quattro Spurs in doppia cifra), Stephen Jackson, Patty Mills, Nando De Colo, e tra i lunghi Boris Diaw e Matt Bonner prima di DeJuan Blair che, periodicamente, appare e scompare dalla rotazione. Non è un caso che gli Spurs siano primi per punti segnati, assist serviti e percentuale su azione da parte dei cambi.

JR Smith (AP Photo/Bill Kostroun)

JR Smith (AP Photo/Bill Kostroun)

Difficile trovare altrove panchine di livello simile. Sia Miami che Oklahoma City, finaliste l’anno passato, hanno un realizzatore efficace che entra col secondo quintetto, rispettivamente Ray Allen (11.3 punti col 45.2% da tre) e Kevin Martin (15.3 col 44.2% dall’arco), entrambi in doppia cifra con alte percentuali e la capacità di essere micidiali lontano dalla palla, ma lasciano qualcosa sul piatto della profondità specialmente tra i “big man”. E’ meno lunga del passato la panchina dei Nuggets, potrebbe esserlo di più ed essere di qualità interessante quella di Minnesota, che però sta vivendo una stagione realmente devastata dagli infortuni che hanno costretto coach Adelman più volte a cambiare quintetto base e rotazione. Quella di New York si fa apprezzare soprattutto per la scelta di coach Woodson di tenere in quintetto elementi di scarso impatto offensivo e di minutaggio, come Thomas, Brewer o anche l’ex sassarese e pesarese James White, noto come grande attaccante nel campionato italiano e ora usato soprattutto per le missioni difensive. Ma è in particolare la spettacolare stagione di JR Smith, che molti comprensibilmente vorrebbero all’All-Star Game, a far compiere uno scatto di qualità alla “second unit” dei Knicks.

Una formazione però che ha fatto quest’anno grandi progressi grazie anche alla panchina è certamente Golden State. Tornati ad essere nel giro dei playoffs, i Warriors hanno imparato a difendere, hanno beneficiato della crescita di Stephen Curry e di un David Lee sempre più determinante nelle due metà campo. Ma non hanno mai avuto in tempi recenti due elementi che, partendo seduti, si sono rivelati incisivi come Carl Landry (12.3 punti e 6.6 rimbalzi) e Jarrett Jack (11.9 punti con 5.0 assist). Il prodotto di Purdue, sotto canestro, è un combattente come pochi altri, non è un colosso ma è roccioso e sa lottare a rimbalzo, in più è diventato anche un buon attaccante sui pick-and-roll e per finire gli scarichi. L’ex Hornets invece si è ritagliato uno spazio importante da point-guard di riserva, capace di giocare anche al fianco di Curry, ed ha dimostrato di avere la personalità per essere importante e decisivo anche nei finali tirati. La panchina non è lunga in senso assoluto, ma se ci fosse anche Brandon Rush, che invece ha chiuso la stagione in anticipo per la rottura dei legamenti, e Andrew Bogut ritrovasse finalmente la condizione per riprendersi il quintetto, anche la squadra di Mark Jackson avrebbe una rotazione di assoluto rispetto, con cui fare i conti pure nei temibili playoffs ad ovest.