La stagione è ormai iniziata da una decina di giorni, un lasso di tempo che, se ovviamente non permette di fare bilanci, ha già dato qualche spunto interessante da analizzare.

Contro i Warriors, bene Bryant, male Howard (Foto: sports.yahoo.com)

Los Angeles Lakers. Anche stavolta, è impossibile non iniziare dai Lakers. La striscia negativa è pressoché proseguita, interrotta dalla sola vittoria contro i Pistons (di cui parleremo più avanti), ed è diventata inaccettabile al punto che ieri coach Mike Brown è stato sollevato dall’incarico, con la promozione ad interim di Bernie Bickerstaff. Manco a farlo apposta, anzi, come spesso succede, nella notte i gialloviola hanno vinto contro degli spenti Warriors, alimentando, se possibile, ancora di più il fuoco delle polemiche. E mentre il pubblico cantava in coro “We want Phil” (e alcune voci riferiscono che coach Zen ci stia seriamente pensando), in campo era la vecchia guardia a vincere la partita, con Nash in borghese per infortunio e Howard fermo a soli 6 punti segnati: Bryant ne ha messi 27, Gasol 12 più 16 rimbalzi e, dalla panchina, molto bene Jordan Hill (14) e il secondo anno Darius Morris (10 punti, 5 rimbalzi e 5 assist, per lo più non nel garbage time), una delle poche note liete dei Lakers di questo avvio di stagione.

Jeff Green sta faticando più del previsto dopo un anno di inattività (Foto: sports.yahoo.com)

Boston Celtics. Tra le grandi che faticano meritano una menzione i Celtics, partiti con un record di 2-3 “falsato” dal fatto che le due vittorie sono arrivate contro i Wizards (e anche di loro parleremo più avanti). I motivi di questo avvio zoppicante sono ovviamente molteplici, ma il principale è forse il “buco” in ala grande: Brandon Bass sta rendendo meno dell’anno scorso, mentre Jeff Green, rientrato e coperto d’oro dopo un anno d’inattività per problemi cardiaci, sta faticando più del previsto (7 punti e 2,4 rimbalzi con il 41% al tiro); inoltre, il presunto “steal of the draft” Jared Sullinger, che parte in quintetto ed è stato ricoperto di elogi da Garnett per la sua attitudine difensiva, al momento in attacco fatica più di tutti i pariruolo (4 punti di media).Così come faticano anche altri nuovi arrivati, come Courtney Lee (6 punti a gara, con un massimo di 11 contro gli Heat all’esordio) e soprattutto Leandro Barbosa (16 punti contro gli Heat, 9 in totale nelle altre quattro partite). E il calendario non è particolarmente amico dei Celtics, che nella prossima settimana affronteranno i Bucks (contro cui hanno già perso), i Bulls, i Jazz e i Nets e dovranno dimostrare di essere saliti di livello.

Wizards e Pistons. Rimanendo a Est, spendiamo due parole sulle uniche due squadre della Lega a non aver ancora vinto una partita. I Wizards hanno attualmente un record di 0-4, che da una parte conferma la franchigia della capitale come una delle squadre-materasso della NBA, dall’altra un po’ sorprende, perché, tra scelte al draft e buoni movimenti di mercato, in molti si aspettavano qualcosa di diverso. Certo, è presto per giudicare, e bisogna considerare gli infortuni di Wall e Nené, che ancora non sono scesi in campo; ma è anche vero che i nuovi arrivi Ariza, Okafor e Webster non stanno brillando, e anche il rookie Bradley Beal, paragonato a Wade, deve ancora ambientarsi al meglio al piano di sopra, come testimonia il 35% al tiro.
Che dire invece dei Pistons? Semplicemente, che sono forse la più seria candidata al ruolo di cenerentola della stagione, con un record iniziale di 0-6; pensate che sono riusciti a perdere addirittura contro i… Lakers. Scherzi a parte, a Detroit stanno puntando forte sui giovani, soprattutto Monroe, Knight e la scelta di quest’anno Drummond, ma oltre a loro non c’è molto: tanti giocatori di contorno (Maxiell, Jerebko, Bynum), qualche buon giocatore a fine carriera (Prince, Villanueva) e una promessa mancata (Stuckey). La strada è lunga e, soprattutto, in salita…

I due russi dei T-Wolves, Kirilenko e Shved, festeggiano dopo la vittoria al buzzer beater contro i Pacers (Foto: sports.yahoo.com)

Minnesota T-Wolves. (Ri)tornando a Ovest, parliamo di una delle principali sorprese della stagione, almeno fino a questo momento. La squadra di Minneapolis ha infatti il secondo miglior record della Western Conference, dietro ai “noiosi” Spurs (“noiosi” nel senso che ormai non fanno più notizia), un 4-1 ottenuto anche grazie a vittorie contro squadre di buon livello come Pacers e Nets. Anzi, fa un po’ sorridere il fatto che l’unica sconfitta sia arrivata contro i di certo non irresistibili Raptors. D’altra parte, non bisogna dimenticare che i Timberwolves stanno giocando senza i due migliori giocatori della squadra, Kevin Love e Ricky Rubio, e che sono tantissimi i volti nuovi agli ordini di coach Adelman. Ma il segreto dei lupi del Minnesota sta proprio nel fatto di aver costruito una squadra senza stelle di prima grandezza (escluso forse Love) e con tanti giocatori di buon livello (Kirilenko, Ridnour, Derrick Williams, Barea, Pekovic, Roy) o comunque in grado di portare qualcosa di utile alla causa (Budinger, Cunningham, Shved, Stiemsma): basti pensare che il miglior marcatore (Pekovic) segna meno di 14 punti a gara, ma sono ben 9 i giocatori a segnarne più di 6. Solitamente squadre di questo tipo possono fare bene in regular season, ma poca strada nei playoff… ma già pensare, appunto, ai playoff è un bel risultato per una squadra che non vi approda da anni.

New Orleans Hornets. L’altra sorpresa a Ovest è la squadra di New Orleans che, da candidata a uno degli ultimi posti nella Lega, dopo 5 gare può vantare un buon record di 3-2, dopo aver battuto anche i Bulls e aver perso di soli 4 punti contro gli Spurs. Sinceramente, non sappiamo quanto possa durare: gli Hornets hanno una squadra zeppa di scommesse e giocatori mediocri e rimane da valutare la continuità dei vari Aminu, Vásquez e Robin Lopez, assai positivi in queste prime gare. Ma, perlomeno, si intravede una luce in fondo al tunnel, grazie soprattutto al rookie Anthony Davis (17,3 punti e 8 rimbalzi) e al neoarrivato Ryan Anderson (15,2 punti e 8,2 rimbalzi), mentre sta faticando forse più del previsto l’altro rookie, Austin Rivers (5,5 punti, 3,5 assist, 22% al tiro).

Ronnie Brewer, elemento prezioso per i Knicks (Foto: sports.yahoo.com)

New York Knicks. Per chiudere, come non parlare dei Knicks, unica squadra ancora imbattuta dell’intera NBA? Certo, 4 partite non fanno primavera, ma è innegabile che il discusso mercato estivo dei bluarancio abbia comunque portato un miglioramento. O, forse, malignamente si potrebbe dire che il miglioramento è dovuto al fatto che Amar’e Stoudemire non sta giocando. Non si può però sorvolare sui 27,3 punti (più 7,3 rimbalzi) di Carmelo Anthony e sui 17,5 di JR Smith, che forse (forse) sta riuscendo a trasformarsi in un giocatore più continuo che capriccioso. Ma il vero “colpo” di mercato dei Knicks, passato molto in sordina dietro ai vari Kidd, Felton, Camby e Wallace, è forse quello di Ronnie Brewer, che, lanciato in quintetto come ala piccola titolare (con Anthony da ala grande, ruolo in cui sembra più a suo agio), sta segnando 10,5 punti a partita, con 7 rimbalzi e un inedito 54% da tre; non male per uno che ha un contratto da poco più di 800.000 dollari.