UPS

Oklahoma City – Inizio stratosferico, cinque partite e cinque vittorie. Hanno già vinto due volte in trasferta, a Minneapolis e Memphis, e lasciato nei guai Dallas con il clamoroso canestro allo scadere di Kevin Durant. KD (27.0 punti, 7.0 rimbalzi e 4.2 assist) è sempre il trascinatore del gruppo di Scott Brooks, che ha un livello di fisicità e atletismo spaventoso, gioca con enorme fiducia e sta trovando contributi preziosi anche da uno scatenato Harden (16 di media in uscita dalla panchina), da Ibaka (2.2 stoppate) e Perkins che stabilizzano la difesa, senza dimenticare Sefolosha e Cook che non disdegnano i canestri importanti. La precisione al tiro sta tradendo invece Westbrook (37.5% dal campo, 12.5% da tre), comunque 16.0 punti e 5.2 assist di media, seppur con una convivenza – come si è già visto – non sempre semplicissima con Durant. Quest’inizio avvalora l’ipotesi avanzata da molti che li vede – se non avranno problemi interni – come i favoriti assoluti ad ovest.

Miami Heat – Forse ancor più che l’anno scorso, in questa stagione Miami punta decisamente al titolo, viste anche le difficoltà di Dallas (di cui si parla sotto), e inizia come meglio non si potrebbe, con un 5-0 facilitato anche dal calendario non proibitivo: dopo la vittoria natalizia proprio contro Dallas e quella contro Boston (priva di Pierce), infatti, gli Heat hanno battuto, ma di misura e con una certa fatica, Charlotte (+1) e Minnesota (+2), prima di dilagare la scorsa notte ancora contro i Bobcats (+39). Al di là di avversari e risultati, quello che conta davvero è la classifica, oltre al fatto che gli uomini-chiave su cui la squadra è stata costruita stanno facendo esattamente ciò che è loro richiesto: oltre allo spettacolare LeBron James (29,6 punti, 7,8 rimbalzi, 6,6 assist, 2,4 recuperi, 1,2 stoppate e solo 2,8 perse finora), Bosh e Wade stanno facendo la loro parte, pur tra alti e bassi, Haslem sta prendendo rimbalzi (10 di media), Jones segna da fuori (57% da tre), Anthony fa il lavoro sporco e Chalmers al momento sta resistendo (con 9,4 punti e 4,2 assist a gara e un irreale 9/12 da tre) agli assalti del rookie Norris Cole, vera sorpresa di questi Heat (12 punti e 3,6 assist, ma solo il 16% da tre), per il ruolo di play titolare. Unica nota dolente è il principale acquisto estivo, Shane Battier, che sta facendo più fatica del previsto ad ambientarsi (0,8 punti e 1 rimbalzo di media in 14 minuti, con un orrendo 1/13 al tiro); ma i risultati, per ora, stanno arrivando comunque e la stagione è appena cominciata.

Gregg Popovich – Negli ultimi anni si tende spesso a considerare gli Spurs più indietro rispetto alle altre grandi. Si dice che il nucleo storico ormai sta invecchiando e non è più pericoloso ad altissimo livello. Probabilmente è vero, manca qualcosa per valere ancora il titolo ma quest’inizio non deve lasciare troppo tranquille le rivali. 3-1 il record di una squadra che il 31 dicembre contro Utah ha consegnato a Gregg Popovich la vittoria numero 800 della carriera (è il 14° a tagliare questo traguardo). Coach “Pop”, 2° ogni epoca per numero di vittorie con una singola franchigia (dietro a Jerry Sloan) e 3° più vincente tra i coach in attività, sta trovando un grande Ginobili ma soprattutto risposte inaspettate a questi livelli da DeJuan Blair: anche se “undersized”, è un “animale” da rimbalzo, a proprio agio nella lotta sotto i tabelloni, e sta guadagnando fiducia anche in attacco (2° realizzatore di squadra a 16.3 di media col 59% su azione).

Ryan Anderson – I Magic per il momento non sembrano risentire dell’incertezza che avvolge il futuro di Dwight Howard (24.0 rimbalzi di media in un back-to-back) e la ragione sta soprattutto nel rendimento di Anderson. Il nativo di Sacramento è il prototipo della moderna ala forte perimetrale, che ama tirare da fuori (1° per triple tentate e segnate) e riesce – come si sono accorti anche i Raptors e Bargnani – a creare parecchi problemi in termini di accoppiamenti difensivi. In una squadra, come i Magic, che punta molto sui ritmi alti e sul tiro da tre anche in transizione sta trovando la sua dimensione ideale. Come confermato dalle cifre: 20.4 punti, 6.2 rimbalzi, con 9 tentativi da tre di media trasformati con un ottimo 46.7%.

Ricky Rubio –  Lo spagnolo scelto con il numero 5 al draft del 2009 ha iniziato meglio di quanto in molti si aspettassero, con 6 punti e 6 assist contro i Thunder e 6 punti e 4 assist contro i Bucks, ma ha continuato ancora meglio, con una doppia doppia (12+12) contro Miami e 14 punti e 7 assist (compresa la ciliegina di un “tunnel” a sua maestà Dirk Nowitzki per armare la mano di Tolliver da tre) contro Dallas la scorsa notte. Che fosse un giocatore molto più adatto al gioco NBA piuttosto che a quello europeo era ben evidente, ma l’impatto che sta avendo a Minneapolis (9,5 punti e 7,3 assist; da non sottovalutare anche i 4,3 rimbalzi e le buonissime percentuali al tiro) probabilmente va al di là anche delle aspettative dei dirigenti dei T-Wolves.

Andrea Bargnani23.0 punti e 6.0 rimbalzi di media tirando col 51.5% dal campo non sono cifre da tutti. Anche se sono collezionate in una squadra partita ancora male (1-3), ma che è giovane e può crescere sia a livello tecnico che in termini di tenuta mentale, il “Mago” non sta deludendo le attese. Anzi è il punto di riferimento assoluto in attacco dei Raptors. Gioca stabilmente da ala forte, questo gli permette di avere molte soluzioni più adatte alle sue caratteristiche e limitare le escursioni in post basso solo a determinate situazioni. Pur senza mai manifestare le proprie emozioni, ha già mostrato giocate di assoluto livello, come il trentello che ha fatto tremare Dallas o i 28 punti che hanno messo seriamente a rischio l’imbattibilità interna dei Magic.

Kyle Lowry – Se Houston ha cominciato la stagione con un discreto record di 2-2, gran parte del merito va al sorprendente inizio di Kyle Lowry, che, oltre a mantenere i 13 punti a partita segnati lo scorso anno, ha quasi raddoppiato il numero degli assist (da 6,7 a 11,5) e aumentato notevolmente le sue cifre a rimbalzo (6,3, ed è un playmaker…) e nei recuperi (2,5). Nella vittoria contro San Antonio ha sfiorato la tripla doppia (16+9+8), mentre nell’altra vittoria, contro Atlanta, è riuscito comunque a essere decisivo, nonostante la cattiva serata al tiro (0/6, solo 2 punti segnati), smazzando la bellezza di 18 assist (record carriera). La stagione è lunga, ma se il buongiorno si vede dal mattino…

Portland Trail Blazers – Partenza a razzo per i Blazers, che confermano di avere parecchie frecce al loro arco se sono riusciti ad infilare un iniziale 3-1, nonostante il ritiro di Roy e la perdurante assenza di Oden. Ed infatti McMillan ha trovato trascinatori diversi nei tre successi: Aldridge contro Philadelphia, Wallace contro Sacramento e Matthews con i Nuggets. La squadra ama correre e segnare tanto (l’unica volta che non ha superato i 100 è arrivata la sconfitta con i Clippers) e sta mandando ben 6 uomini in doppia cifra di media (compreso Batum a 11.5 col 42.9% da tre), capeggiati da un Aldridge che vale 20.3 punti e 7.3 ad intrattenimento. Da verificare strada facendo la tenuta in trasferta, dove finora ha perso l’unica gara disputata, e da limitare le palle perse ma, considerate le difficoltà, l’inizio di stagione è più che positivo.

DOWNS

Dallas Mavericks – Nonostante le molte voci che elogiavano il mercato estivo dei Mavs (per gli acquisti di Lamar Odom e Vince Carter), Dallas sta avendo parecchie difficoltà, avendo già perso quattro partite su cinque: la prima nella “replica” dell’ultima finale, contro gli Heat, le altre contro Denver (pesante il -22 finale), Oklahoma City (grazie a una magia di Durant sulla sirena) e i modesti ma pimpanti Timberwolves. L’unica vittoria è arrivata contro Toronto, una delle squadre peggiori della Lega. Ma qual è il problema? Sostanzialmente, come avevamo sottolineato anche noi nel preview della Southwest Division, la partenza di Chandler ha aperto una voragine sotto canestro che né Haywood né tantomeno Mahinmi sono in grado di riempire. Inoltre, Odom ancora non è riuscito a trovare la sua dimensione (finora ha fatto registrare cifre ridicole: 4,8 punti, 4 rimbalzi, 1 assist e il 16% al tiro), mentre Carter è chiaramente sulla via del declino (8 punti a partita, con il 35% al tiro). Infine, anche la vecchia guardia sta faticando: Nowitizki è sempre Nowitzki, ma non può fare miracoli, mentre Marion e Kidd sono ai minimi in carriera (eloquenti i soli 4,2 assist distribuiti da Kidd). L’età media è piuttosto alta e in una stagione così “compressa”, ricca quindi di back to back, questi Mavs potrebbero fare ancora più fatica.

Los Angeles Lakers – Kobe Bryant ha superato quota 28000 punti in carriera, diventando il 6° miglior realizzatore ogni epoca. Ma, a parte questa, non sono moltissime le note liete in quest’avvio per i Lakers che, partiti con le sconfitte contro Chicago e Sacramento, avrebbero probabilmente un record negativo senza il regalo di Gallinari allo Staples Center nella prima delle due sfide consecutive con i Nuggets. Manca qualità offensiva (soliti problemi al tiro da tre: 28° posto col 23.4%) e devono essere ancora trovati molti equilibri per una squadra che sta pagando la cessione avventata di Odom che, pur sostituito dignitosamente da McRoberts, ha indotto a trasformare – con risultati alterni – Metta World Peace nel nuovo sesto uomo. Bryant (24.0 punti, 6.0 rimbalzi e 6.0 assist) sta tirando male (40% dal campo, 19.2% da tre) e perdendo molti palloni (4.7), forse anche per il polso infortunato, Blake potrebbe prendere il posto in quintetto di Fisher, per fortuna è tornato Bynum dopo la squalifica: 2 gare a 23.5+14.5 di media.

DeMarcus Cousins – I Kings si aspettavano grandi cose da lui in questa stagione, soprattutto una maturazione che lo portasse anche a rinforzare il rendimento offerto nell’anno da rookie. Invece sono bastate 4 partite per far esplodere un nuovo caso, culminato con una vibrante discussione nell’ufficio di coach Westphal che ha fatto da preludio alla sua esclusione dalla squadra per la partita poi vinta con New Orleans. Talento indiscusso, Cousins avrebbe il potenziale per lasciare il segno nella NBA, ma non riesce a trovare stabilità dal punto di vista caratteriale. Presenza sempre tormentata nell’ambiente dei Kings, con cui evidentemente non riesce proprio ad entrare in sintonia, tanto da aver chiesto – nonostante la smentita dell’agente, ci sono testimoni anche tra i compagni di squadra – di essere scambiato. La franchigia non vuole cedere alle sue richieste, ma questa convivenza forzata è difficile che possa continuare a lungo.

Memphis Grizzlies – Dopo quanto avevano mostrato nella scorsa stagione e, soprattutto, negli scorsi playoffs (buttando fuori al primo turno gli Spurs, testa di serie numero 1 a Ovest), ci si aspettava francamente di più che un pessimo 1-3 nelle prime quattro partite. Memphis ha perso la prima proprio con gli Spurs, perso di misura la seconda coi Thunder, vinto di 20 contro i Rockets e, infine, è affondata contro i Bulls, subendo un sonoro -40 che, a questo punto, potrebbe sortire due effetti: o spaccare definitivamente lo spogliatoio (si dice che Gay peggiori il gioco della squadra; Mayo doveva essere ceduto ma non è stata trovata alcuna squadra a cui sbolognarlo; Randolph ha un caratterino non proprio facile), oppure essere l’inizio di una “riscossa”. Gli uomini per farcela ci sono, ora la verità la dirà il campo. Per ora, le uniche note liete vengono, oltre che dal sempre regolare Marc Gasol (14 punti e 9 rimbalzi a partita), dai rookies Jeremy Pargo e Josh Selby, che hanno “approfittato” dell’infortunio occorso a Mike Conley per mettersi in mostra in cabina di regia (9,5 punti e 4 assist il primo, 6 punti e 3,7 assist il secondo).

Boston Celtics – Considerato il fatto che i Celtics hanno giocato le prime tre partite senza Paul Pierce, il record di questo inizio di stagione (2-3) non vale esattamente quanto indicano i numeri nudi e crudi. Il vero problema, però, è il modo in cui sono arrivate queste sconfitte: nella gara d’esordio, per esempio, i Knicks hanno dominato per i primi 15-20 minuti ma, dopo l’intervallo, sono letteralmente spariti; Boston ha recuperato e ribaltato il risultato, ma non è riuscita a dare il colpo di grazia, col risultato che Carmelo Anthony è riuscito a entrare (tardivamente) in partita e a vincerla praticamente da solo. Significativo, anche se per altri motivi, il -19 subito dai modesti Hornets, e il fatto che le uniche due vittorie finora siano state ottenute contro due squadre di bassissimo livello (Pistons e Wizards). I Celtics pagano, oltre all’assenza di Pierce (guarda caso proprio nelle tre sconfitte), soprattutto l’età che avanza per i vari Garnett (in lento ma costante declino), Allen (che comunque è ancora il primo marcatore di squadra e ha il 55% da tre) e Jermaine O’Neal (assolutamente inadeguato per il ruolo di centro titolare); inoltre, la panchina sembra dare ben poche garanzie, considerato che il positivo Brandon Bass (13,8 punti e 5,4 rimbalzi) ha un minutaggio da titolare. Insomma, ci sono numerosi punti di domanda relativi ai Celtics visti in questo inizio di stagione; forse troppi per una squadra che dichiara di puntare al titolo.

Washington Wizards – 3 k.o. piuttosto pesanti contro Atlanta, Milwaukee e Boston, più la sconfitta contro gli abbordabili Nets che faticano, in assenza di Brook Lopez, a trovare terminali offensivi. Con queste 4 sconfitte in fila i Wizards si sono presentati ad una stagione che per loro si annuncia piuttosto lunga e complessa. Neppure un calendario complessivamente benevolo ha permesso di cancellare finora lo 0 dalla casella delle W. Molte difficoltà per coach Saunders, con un Javale McGee (13.5+10.3) ormai stretto confidente della doppia-doppia in punti e rimbalzi ma un John Wall non esaltante per lettura delle situazioni e scelta delle conclusioni. Deludenti Lewis e Blatche, la panchina non offre moltissimo e, chiaro indicatore di confusione, contro i Bucks è stato  fatto entrare anche Roger Mason. Direte: cosa c’è di strano? Solo il fatto che non poteva giocare perché era in lista inattivi…

Phoenix Suns – I Suns hanno iniziato la stagione con un record negativo (1-3), e non può non far piangere il cuore agli appassionati di questo sport il fatto che uno dei principali artefici di questo pessimo inizio sia Steve Nash. Il canadese, ormai prossimo ai 38 anni e da tempo sofferente per problemi alla schiena, ha iniziato la stagione in modo tutt’altro che incoraggiante: le sue cifre non sono le minime in carriera solo perché Nash è esploso tardi (alla sua quinta stagione), ma sono, appunto, le più basse da 11 stagioni a questa parte (8,3 punti e 7,8 assist a gara, con un tremendo 30% dal campo) e peggiorano ancora di più se si contano solo le ultime tre gare giocate (nella prima era andato benino, 14 punti e 12 assist), con il minimo di 4 punti (2/11 al tiro) e 1 assist nella sonora sconfitta contro Philadelphia. Certo, il fatto di giocare in un squadra che sta cercando di ricostruire affiancando giovani non proprio di primissimo livello (Robin Lopez, Markieff Morris) a onesti mestieranti (Hakim Warrick, Marcin Gortan, Jared Dudley…) non lo aiuta, ma purtroppo il timore è che anche per il grande Steve sia iniziata la via del declino. A lui ora il piacere (per noi) di smentirci.

Davide Moroni e Davide Sardi