Il pubblico presente agli allenamenti ci fa capire l'attesa intorno a questo evento(nola.com)

Il pubblico presente agli allenamenti ci fa capire l’attesa intorno a questo evento (nola.com)

Questo Torneo NCAA sarà stato privo di quelle Cinderellas sconosciute a cui ci siamo abituati in passato (George Mason, Butler, VCU etc.), ma non è stato per questo meno appassionante e coinvolgente, anzi: se i quattro programmi pronti a giocarsi il titolo hanno scritto ampie pagine di storia recente -e non solo- del basket collegiale, è anche vero che quest’anno più che mai siamo di fronte a gruppi straordinari in quanto fuori da quello che è l’ordinario, il banale, nonostante almeno tre delle squadre che vedremo in campo fossero ampiamente attese a questo appuntamento. Posto che rispettare le attese è sempre una delle cose più difficili per chiunque ed in qualunque contesto, dobbiamo poi ricordare che lo stupore e la meraviglia non devono essere solo frutto dell’inaspettato, ma anche e soprattutto dell’eccezionale, che talvolta può risiedere anche in qualcosa che si dà scioccamente per scontato, ma che così non è, come da definizione.

La gioia dei Wildcats dopo il tiro fuori misura di Grant (time.com)

La gioia dei Wildcats dopo il tiro fuori misura di Grant (time.com)

Pensiamo in primis alla protagonista assoluta della stagione: Kentucky non ha un giocatore di rotazione che abbia superato i 21 anni di età eppure è solo a due passi da una stagione perfetta, priva dell’amaro sapore della sconfitta. Qualcosa come la perfezione, che richiede un processo il più delle volte lungo tutta una vita per non essere mai neppure avvicinata, è alla portata di un gruppo di giovani fuori dalla norma: non che Kentucky sia una squadra priva di difetti o imbattibile, chiunque può cadere e lo stesso Calipari ha più volte sottolineato tale evidente realtà, ma è probabilmente proprio in questa stessa consapevolezza che risiede la forza dei Wildcats, in grado, nonostante la giovane età, di capire quanto la perfezione sia un concetto inafferrabile, ingannevole e fluttuante, come il pallone di Jerian Grant che ha fesso l’aria sopra il canestro dei Wildcats allo scadere della partita delle Elite Eight, ma a cui al contempo sanno di poter anelare, almeno per quello che sarebbe un momento infinito, un’illusione resa reale almeno per un istante che però risulterebbe eterno, dato che riscriverebbe la storia di questo sport. Non sarebbe forse qualcosa di eccezionale, seppur da molti atteso? Lo sarebbe di certo e sarebbe la conclusione più calzante di un processo iniziato già lo scorso anno: i Wildcats erano da molti attesi ad una stagione perfetta che presto non si rivelò tale, ma proprio questo permise loro di farsi un bagno di umiltà e raggiungere una finale inaspettata, fermando lungo il loro cammino il sogno di perfezione di un’altra squadra, ovvero Wichita State. Le sconfitte e l’amara finale contro UConn hanno permesso a molti di quelli che sono i protagonisti di oggi di plasmare il proprio carattere e le proprie capacità intorno ad un unico obiettivo, per il quale hanno trovato l’importantissimo supporto di un gruppo di freshman dall’immenso talento, come da copione per le squadre di Calipari.

(espn.com)

Payback: dopo anni di eccellenza nelle ultime due stagioni Bo Ryan sta raccogliendo i frutti del suo lavoro (espn.com)

Come lo scorso anno in semifinale proverà a fermarli Wisconsin, sulla cui panchina siede uno dei protagonisti anagraficamente meno giovani di queste Final Four, ma che per l’ennesima volta si è dimostrato di una freschezza mentale con pochi pari nel panorama cestistico: per anni professore di un basket paleolitico ai cinquanta punti – ma di perfetta esecuzione – spesso disprezzato dalle grandi masse con il palato abituato a grandi abbuffate di All-Star Game e simili, Bo Ryan è alla seconda Final Four consecutiva coi Badgers anche grazie alla sua brillante intelligenza che lo ha portato ad adattarsi senza tradirsi, facendogli guidare alle Final Four per il secondo anno consecutivo una Wisconsin ora capace di segnare 55 punti in un tempo contro una difesa come quella di Arizona, plasmando il suo gioco intorno ad un giocatore offensivamente straordinario come Frank Kaminsky (fresco giocatore dell’anno), protagonista come se ne trovano pochi a livello collegiale anche in decenni di lavoro, cosa di cui Ryan è ben consapevole. I Badgers però sono oggi più che mai anche la squadra di Sam Dekker: atteso per tre anni all’esplosione definitiva, il ragazzo di Sheboygan ha raggiunto il proprio zenit proprio nel momento più importante della sua carriera, limando il proprio career high nelle due partite contro UNC e Arizona (23 punti e poi 27) che hanno portato i suoi alle Final Four. C’è qualcosa di più bello dello sbocciare di un fiore in primavera? Il fiorire di una persona, forse, e probabilmente solo con lo sport possiamo vederlo dipanarsi così chiaramente davanti ai nostri occhi.

Questa partita ci riproporrà i temi della scorsa stagione, ma tra due squadre sempre più consapevoli e mature, due squadre che nonostante la giovane età ci propongono altissimi livelli di talento e qualità cestistica: Kentucky con la sua difesa e la propria fisicità storicamente unica a livello collegiale, Wisconsin con un basket offensivo tra i migliori che si siano mai visti in Division I.

L'abbraccio tra Coach K e Quinn Cook alla fine della partita contro Gonzaga (usatoday.com)

L’abbraccio tra Coach K e Quinn Cook alla fine della partita contro Gonzaga (usatoday.com)

Dall’altra parte del tabellone abbiamo Duke, che ci ha insegnato come a volte il sottrarre possa significare aggiungere: l’epurazione di un elemento disfunzionale come Sulaimon nel momento più delicato della stagione e ancor prima la perdita di elementi talentuosi, ma non particolarmente funzionali al successo di squadra come Jabari Parker e Rodney Hood, hanno portato alla rinascita di un programma che veniva da una manciata di annate deludenti e che ha ritrovato l’accesso alle Final Four che si svolgeranno proprio a Indianapolis, madrepatria della pallacanestro dove i Blue Devils hanno già vinto i titoli del 1991 e del 2010, e più precisamente al Lucas Oil Stadium, teatro dell’ultimo titolo di Duke: rispetto a quella di Scheyer e co. questa è sicuramente una versione più talentuosa, ma non per questo meno operaia e intensa per quel che riguarda l’impegno mostrato sul parquet. Jahlil Okafor è stato indubbiamente l’uomo copertina della squadra: un talento immenso che però a differenza di altri freshmen-superstar non è mai risultato accentratore del gioco di Duke nel senso negativo del termine, ma ancor più è un giocatore come Winslow (e non dimentichiamo Jones) a rappresentare al meglio questo gruppo, un freshman talentuoso certo, ma soprattutto di impressionante maturità e capace di quelle giocate decisive su ambo i lati del campo che permettono ad un team di “sopravvivere e avanzare” come da mantra del Torneo NCAA. Questa è poi anche la squadra di chi è passato attraverso il Purgatorio più duro per giungere ora ad un passo dalla Candida Rosa: pensiamo in particolare al senior Quinn Cook, massimo esempio di giocatore che in quattro anni è maturato partita dopo partita, passando per umilianti uscite al primo turno, ma portando sempre sul campo quella mentalità vincente e lavoratrice che è storicamente necessaria a Duke per raggiungere i suoi massimi livelli di espressione, dai quali sembrava essersi leggermente allontanata ultimamente con delle versioni troppo sbilanciate sul talento fine a sé stesso.

La gioia di Izzo e dei suoi dopo aver conquistato l'accesso alle Final Four (o.canada.com)

La gioia di Izzo e dei suoi dopo aver conquistato l’accesso alle Final Four (o.canada.com)

A sfidare i Blue Devils vi sarà l’unica sorpresa di queste Final Four, la Michigan State del “King of March” Tom Izzo, il quale in vent’anni da capo allenatore a East Lansing ha creato qualcosa di pressochè unico nella storia del college basket, compiendo probabilmente il suo massimo capolavoro proprio quest’anno, portando di peso alle Final Four una squadra che fino a febbraio pareva l’ombra di alcune versioni del recente passato degli Spartans. Manchevole di quella dose di talento “puro” spesso necessaria per lunghi viaggi al torneo e che in misura differente possiedono abbondantemente tutte le altre tre protagoniste di queste Final Four, Michigan State sotto la guida di Izzo pare rifarsi sempre più proprio al proprio nome, ovvero agli Spartani: come se ogni stagione fosse una battaglia delle Termopili, gli uomini di Izzo scendono in campo quasi sempre sfavoriti dai pronostici e dal proprio seed, eppure nonostante ciò giungono alle Final Four con una costanza unica nel panorama odierno (sette volte dal 1999) e, sebbene la vittoria finale sia giunta soltanto una volta nel 2000, la gloria data da questi vent’anni di eccellenza sarà difficilmente dimenticata, indipendentemente dal risultato di questo ennesimo viaggio nel Pantheon della NCAA. A guidare la squadra sul parquet ci sarà il solito Cerbero composto dai Big Three Valentine-Dawson-Trice, con in particolare quest’ultimo che sta giocando a livelli forse non ancora avvicinati da nessun altro in questo torneo, come ha confermato anche Coach K nella sua ultima press-conference.

Duke parte favorita in questa sfida e in molti si aspettano una finale Kentucky-Duke, che tra le altre cose riporta alla memoria semplicemente il più importante tiro nella storia del college basket, tuttavia come abbiamo visto tutte e quattro le squadre ci hanno insegnato molto e portano in campo una diversa forma di eccellenza, tra le quali è difficile prevedere quale prevarrà: in ogni caso sarà una vittoria quantomai significativa per dei programmi, degli allenatori e dei giocatori favolosi, massime espressioni di uno sport del quale, una volta di più, possiamo ritenerci fortunati testimoni.