Penso che alla fine sia giunto il momento di dire anche la mia sui Mondiali appena finiti. Mi scuso per il ritardo, ma ero impegnato anche  con la mia rubrica sul Primorski dnevnik e in più proprio in questo periodo ho avuto in una sola settimana ben tre serate di presentazione (Llandre, ti è piaciuto l’aneddoto sul pattinaggio veloce?).

Comincio con una cosa molto semplice e cioè con la traduzione del mio ultimo pezzo di commento apparso oggi (12/9) sul Primorski, nel quale penso di aver fatto una buona sintesi dell’ultima giornata. Spero che il mio amico Jan, responsabile dello sport del giornale, non mi denunci per plagio, ma penso che siamo abbastanza amici perché non lo faccia, tanto più che, oltre a citare la fonte, questa mia traduzione apparirà quando l’articolo sarà già del giornale del giorno prima. Allora:

Mentre domenica mattina seguivo il match per il terzo posto ai Mondiali fra Stati Uniti e Canada continuavo a chiedermi inorridito cosa sarebbe successo se quella partita fosse valsa per il titolo di campione del mondo di basket. I canestri fioccavano da tutte le parti, negli ultimi secondi gli statunitensi sono riusciti miracolosamente a recuperare quattro punti di svantaggio, c’è stato il supplementare, insomma la partita è stata altamente equilibrata e drammatica. Pensavo a che effetto avrebbe potuto avere una partita del genere sulla percezione che hanno le nuove generazioni del basket, imbevute come sono dalla propaganda radicale e fatta a tappeto dall’NBA e dunque sono convinte che il basket sia quello messo in scena dai nord americani in quella partita. Ovviamente quello che ho visto con miei occhi è stato la completa distorsione, parodia oserei dire, di tutto quello che rende così bello il basket, l’intelligenza, la reazione giusta a quello che l’avversario fa in ogni dato momento, non solo, ma una volta queste reazioni erano anche direttamente collegate con quanto sapevamo del singolo che ci stava davanti, quali erano i suoi pregi e i suoi difetti, e le tentavamo tutte per fargli fare le cose che meno gradiva sia in difesa che in attacco. Questo per quanto riguarda il lato “psicologico” dell’approccio alla partita. Altrettanto ovviamente accanto a tutto questo bisognava possedere una ben imparata e assimilata capacità tecnica, bisognava sapere palleggiare, come, e soprattutto quando, passare la palla, quale momento scegliere per la giusta scelta di tiro, come e dove mettersi in difesa, come fare il tagliafuori, come e secondo quali direttrici geometriche condurre il contropiede e tutto quanto il resto. Di tutto ciò in quella partita non ho visto esattamente nulla. Ho visto 45 minuti di un match fra due gruppi di caproni imbizzarriti. Gli statunitensi a un dato punto mi hanno fatto quasi pena quando hanno tentato di difendere, cosa per loro del tutto sconosciuta, visto che evidentemente nessuno gliela ha mai insegnata, col risultato che erano sempre dove esattamente non avrebbero mai dovuto essere.

Grazie a Dio è stata poi la volta della finale fra due nazionali “normali”, che provano a giocare ancora la vera pallacanestro (comunque una cosa è provare, un’altra è riuscirci, cosa riservata a ben pochi), e devo confessare che la partita mi è piaciuta. Per me la partita perfetta è quella in cui non mi interessa chi vince e dunque faccio il tifo per quelli che in quel momento giocano meglio. Diciamo così: le mie simpatie umane erano dalla parte dei nostri ex fratelli slavi del sud, ma le mie simpatie cestistiche erano sicuramente dalla parte dei tedeschi che per me sono, assieme ai paesi baltici (chi c’era nella finale per il quinto posto?) e alla Spagna, quelli che in questa fase storica scoprono e allevano meglio al mondo i giovani talenti. Per fare un parallelo con il calcio: chi alla fine del secolo scorso non aveva simpatia per gli olandesi? Mi siedo in poltrona, immediatamente zittisco gli esaltati urlatori di Sky e dunque ascolto l’audio con i suoni d’ambiente e, come sempre faccio, mi faccio il mio personale commento, cosa della quale ho acquisito in tutti questi anni una certa qual esperienza. La partita è molto equilibrata e ben giocata con l’unico problema che la Serbia deve ingoiare l’amara pillola dell’infortunio di Dobrić, uno dei migliori, se non il migliore della semifinale contro il Canada, ma in definitiva le squadre si equivalgono e non c’è dubbio che vedo la miglior partita di tutto il torneo come solo deve essere per una finale. Nel secondo tempo la difesa tedesca si adegua all’attacco serbo, il centro Milutinov, quello che aveva atomizzato i canadesi, viene difeso molto bene con continui raddoppi e aiuti dal lato debole, per cui i serbi dovrebbero urgentemente trovare qualcuno che possa essere pericoloso dalla posizione quattro in lunetta, ma non lo fanno, in mezzo c’è una voragine che nessuno riempie e alla fine non sanno che pesci pigliare. Vittoria tattica della panchina tedesca dunque. I tedeschi alla fine sono avanti, ma la partita è tutt’altro che decisa, in quanto è solo normale che le due stelle tedesche targate NBA, Schroeder e Franz Wagner, comincino alla fine a giocare all’americana, leggi a fare tutto da soli cacciandosi senza senso nel cuore della difesa avversaria, per cui ovviamente perdono un paio di palloni e la Serbia ha addirittura il tiro da tre del pareggio che Gudurić sbaglia. Dall’altra parte la Germania è in attacco. Il vostro reporter in poltrona urla: “Andate tutti su Schroeder! Lasciate stare tutti gli altri! L’uomo in tutta la sua vita non ha mai passato la palla nell’ultima azione!” Non lo fanno, lo difendono in modo normale, lui segna, vince la partita e per sovrappiù viene scelto anche come MVP del torneo. Il che dimostra ancora una volta la percezione del basket che si ha in questo momento al mondo.

Alla fine bisogna comunque dire che la vittoria è andata alla squadra che ha giocato meglio la finale e la sua vittoria è totalmente limpida come un ruscello di montagna. Complimenti di cuore ai tedeschi. I crucchi campioni del mondo di basket! E meritatamente! E’ qualcosa che mai avrei immaginato di vivere.

Ecco, questo è quello che penso di aver visto e che ho riportato sul giornale. Ovviamente ci sarebbe tanto da dire e già vi vedo opinare su molte cose che ho scritto, della serie, ma il Tal dei Tali, ovviamente tutti pensate a Gilgeous-Alexander, è uno comunque veramente bravo e non puoi metterlo nel calderone assieme agli altri, ma quando uno fa una sintesi omette per forza tutte le eccezioni che ci possono essere, e sono tantissime, per provare a dare il quadro generale dal quale poi partire per discutere sui particolari. Sul fatto che una finale Stati Uniti-Canada, per come è stata poi veramente la partita, sarebbe stata una gigantesca iattura per tutto il mondo del basket penso siamo tutti più o meno d’accordo. La prova ne è che oggi ho letto che per Parigi ’24 tutte le stelle dell’NBA, compreso Steph Curry, che mai ha indossato finora la maglia della nazionale, si sono dichiarate disponibili per lavare l’onta. Se vincevano gli USA sarebbe sembrato tutto normale e una cosa del genere non avrebbe mai potuto verificarsi.

Su questo Mondiale ci sarebbero ancora milioni di cose da dire, ma per non scrivere un libro penso sia meglio concentrarmi su due soli altri argomenti dei quali vorrei parlare, argomenti che avete fra l’altro tirato in ballo voi nei vostri commenti e che penso valgano anche una mia considerazione.

Capitolo Italia. Il basket italiano è tempo che non produce più giocatori per tutta una serie di ragioni. La più importante delle quali è che, grazie alla deregulation in campionato (e ancora molto, molto tempo fa, per l’abolizione del cartellino, origine prima di tutti i mali successivi), che permette, malgrado la foglia di fico delle varie formule x+y che lasciano il tempo che trovano (se c’è un proverbio che caratterizza il genio italico è che fatta la legge è fatto anche l’inganno), di far giocare chi si vuole, a nessuno frega più un emerito tubo di mettere in piedi un vivaio che produca giocatori. Dico giocatori veri, curati individualmente e allevati secondo le loro capacità e necessità, le “loro” necessità, non quelle della squadra in cui giocano che deve magari mettersi in mostra per vincere qualche titolo giovanile. E, se non bastasse, l’attività giovanile della Federazione è, almeno secondo me, allo sbando, basta vedere le capacità tecniche dei singoli giocatori delle varie nazionale giovanili. E infatti qualsiasi giocatore italiano, per imparare proprio le basi più fondamentali del basket, deve comunque emigrare. Magari in Germania, per rimanere agganciati al discorso di cui sopra. In questa situazione pretendere di avere ricambi all’altezza di un quarto di finale mondiale mi sembra del tutto velleitario e non realistico. Si possono sì prendere in giro giovani da naturalizzare, ma comunque i più forti li prenderanno gli altri, più avanti in tutto, soprattutto organizzazione e pianificazione (penso al Real, mi dispiace, ma nel campo rimane la realtà di riferimento), e comunque poi dovrebbero essere svezzati e sviluppati dagli attuali istruttori italiani. Sui quali non dico cosa penso per non incriminarmi.

Per cui accontentiamoci di quanto passa il convento e rendiamoci sempre conto che quanto passa il convento è molto, ma molto di più di quello che il movimento cestistico italiano merita. Ringraziamo Dio di avere figli d’arte come Melli, Fontecchio e Tonut (o anche Hackett) o bravissimi autodidatti come Aradori prima e Ricci adesso, o ancora ragazzi di livello umano e intellettuale irripetibile come Datome a cui tutto il basket italiano dovrebbe elevare un monumento per il bene (immeritato) che ha fatto per tutto il movimento (e anche lui, se non sbaglio, non è stato proprio scoperto subito dalle linci italiche), insomma rendiamoci conto che arrivare ai Mondiali davanti a Spagna, Francia e Grecia, con Turchia e Croazia addirittura non qualificate è un tre quarti di miracolo. Cosa si voleva di più da questa squadra, messa insieme nell’unico modo possibile per le caratteristiche dei giocatori che aveva (sia ben chiaro che il sottoscritto, fosse stato lui il CT, avrebbe convocato uno per uno esattamente tutti quelli che ha convocato Pozzecco, per cui il discorso era meglio quello o quell’altro lo lascia del tutto gelido), non riesco proprio a capirlo. Era bassa? Sì, perché i lunghi italiani di stazza semplicemente non sono competitivi ai livelli di una competizione internazionale (lo vedete Totè, l’unico che come fisico potrebbe reggere il confronto?) e quanto fanno nel campionato italiano, formato da due squadre e da un insieme di altre entità non meglio definibili, è del tutto irrilevante. Sarebbe come a dire che il mio centro, che ne fa 50 in Promozione, dovrebbe essere automaticamente convocato in nazionale. Ha giocato male? Sì, per varie ragioni che ho già tentato di capire prima e spiegare poi nel post precedente, ma le due partite chiave, con Serbia e Portorico, le ha vinte ed è arrivata nei quarti, dove doveva arrivare e anche restarci. L’impressione artistica, anche per quanto succedeva in panchina e per le strampalate dichiarazioni post partita che lasciavano intuire animi più che esacerbati, disturbati, non è stata delle migliori, ma, ripeto, il risultato è quello che era pronosticabile e ragionevolmente attendibile. Futuro? Prevedibilmente nero per tutte le ragioni elencate sopra. A meno che non succeda il classico miracolo all’italiana. Abbiate fede: di solito arriva, almeno in Italia. Non poniamo limiti alla Provvidenza.

E infine capitolo Dončić. L’unico che capisco è Buck, per il quale tutto quello che arriva dal Real è il male assoluto. Non solo lo capisco, ma gli do anche qualche ragione, perché quando sei piccolo avere come modello di comportamento Rudy non è particolarmente educativo, ma gli altri proprio non vi capisco. Arrogante e presuntuoso? Lo conoscete? Gli avete parlato? No? E allora come cavolo vi permettete di giudicarlo? Lasciamo stare cose che non vi interessano, come il fatto che, ogni qualvolta ha potuto, ha giocato per la nazionale e ha più volte affermato che lo farà sempre quando potrà farlo, oppure che la sua fondazione si preoccupa ogni anno di riqualificare tre-quattro campetti all’aperto nelle varie città slovene per permettere ai ragazzini di giocare gratis (lo fa anche Goran Dragić), oppure di venire copiosamente in soccorso con invio di materiale tecnico alle popolazioni duramente colpite dalle catastrofiche alluvioni di un mese fa, ripeto ancora, sono cose che non vi interessano e dunque limitiamoci al basket. Finita la stagione NBA che l’ha lasciato disgustato e che ha finito per dovere curando solo le statistiche perché del resto non gli fregava, il giorno dopo la fine dell’NBA è salito sul primo aereo per Lubiana e le mie fonti informate mi dicono tutte che si è allenato duramente da solo sul piano fisico per essere pronto per la convocazione mondiale. Questo i suoi compagni di nazionale lo sanno e dunque che lo abbiano eletto senza dubbi di alcun genere loro leader è solo ovvio. Tanto più che sanno che senza di lui non sarebbero nessuno, sarebbero giocatori (Hrovat, Čebašek, Bine Prepelič, Dimec…) di Serie B di medi campionati europei (come in effetti sono) e solo grazie a lui possono essere qualcosa di più. La Slovenia era senza il pensionato Dragić, senza Murić, con Čančar spaccatosi in amichevole, con Blažič asfaltato da Šengelija e eliminato dal resto delle partite, era insomma in formazione ocio de soto, come diciamo a Trieste. Eppure  ha battuto miracolosamente l’Australia in una partita che Dončić, volenti o nolenti, ha vinto da solo – pardon, tutti dicono che l’hanno vinta i comprimari, ma siete sicuri che senza Luka avrebbero potuto fare quello che hanno fatto, del resto perché quando non c’è lui in campo sembrano abbastanza  brocchi? – e alla fine, con la lingua per terra, la Slovenia è anche arrivata davanti all’Italia mantenendo così l’imbattibilità che risale ancora al preolimpico di Barcellona ’92. Leggo cose allucinanti: Dončić è arrogante, gioca solo per sé e non coinvolge i compagni. Ovviamente è esattamente il contrario e i fatti sono lì a confermarlo in modo lampante. In negativo: di quanto è migliorato il gioco di Grecia e Serbia quando avevano in campo Adetokumbo e Jokić rispetto a quando non c’erano? Esattamente un tubo. Com’è la Slovenia con o senza Dončić? Con lui 17-enne, decisivo nella vera finale, il quarto contro la Lettonia, vince l’Europeo, senza di lui perde nelle qualificazioni mondiali da Ungheria e quasi Austria, con lui batte al preolimpico la Lituania a casa sua e arriva a una stoppata dalla finale olimpica. Con gli altri sempre quelli, che sia ben chiaro. Per cui l’affermazione che non faccia rendere i compagni è semplicemente risibile e clamorosamente smentita dai fatti. Una domanda: quale giocatore dell’NBA attuale avrebbe passato la palla al compagno libero nell’angolo, invece di tirare lui, per il canestro decisivo della partita (contro l’Italia, se qualcuno non se lo ricordasse: pallone a Čebašek per il controsorpasso dopo il vantaggio italiano nel finale)? Non ne vedo proprio. Certo, è uno che protesta sempre con gli arbitri e li guarda storto. Oddio, dopo il pestaggio scientifico al quale lo hanno sottoposto i canadesi sarebbero saltate le valvole a molti (inciso: dopo quella partita Mazzoni si appaia in classifica a  Lamonica nella mia personale classifica dei MHR – Most Hated Referees), ma non è questo il punto, dicevo all’inizio che ha imparato, ahimè, da Rudy e rimarrà così vita natural durante, per cui continuerete a odiarlo comunque. Vi chiedo solamente una cosa: dopo che manda continuamente a quel paese gli arbitri lo avete mai, una sola volta, visto imprecare o fare gesti di fastidio o sconforto per qualcosa fatta da un suo compagno? Io mai. E a me questo basta e ampiamente avanza.