L’Avvocato cantastorie

Non e’ un pezzo promozionale, giuro. E’ solo che quello che succede quando Federico Buffa racconta le sue storie che ha dell’incredibile. Passo indietro. Suppongo che la maggior parte di chi ha la bonta’ di leggermi non sia mai stata in una regia televisiva durante una diretta.

Provo a raccontarlo. In quella stanza buia, piena di monitor, ci sono diverse persone, ognuna delle quali ha un compito molto preciso: il regista e’ una sorta di direttore d’orchestra, l’aiuto regista il primo violino. Poi ci sono il mixer video (quello che manda in onda i contributi), il mixer audio, il grafico, gli operatori evs (troppo complicato spiegare cosa fanno), i datori luci, il capotecnico, il produttore e il coordinatore giornalistico. A tutto questo aggiungete chi lavora in studio, cioe’ gli operatori e l’assistente di studio. Una specie di orchestra in cui ognuno suona seguendo il proprio spartito, una babele in cui ognuno parla il proprio linguaggio. E durante le dirette tutti parlano, tutti ricevono decine di input, e per un curioso meccanismo ognuno riesce a capire quali sono i messaggi da ascoltare e quali quelli da lasciar passare come fossero rumori di fondo. E nella maggior parte dei casi nessuno (a parte me o chi occupa il mio posto) ascolta cio’ che viene detto in studio, l’importante e’ che tutto funzioni per chi deve ascoltare da casa. Questa e’ la norma. Ma poi, una volta alla settimana, in quello studio compare Federico. E improvvisamente succede qualcosa di anomalo e quasi miracoloso. Il silenzio. Mentre l’avvocato racconta le sue storie l’unica voce che si sente e’ quella della regista che chiama i cambi camera, ma lo fa sottovoce perche’ non vuole disturbare. Federico parla di Brooklyn, o di Bruce Springsteen o ancora dell’integrazione razziale nel Mississippi, e tutti ascoltano. La registrazione dura una trentina di minuti, e ad ognuno di noi sembra di essere seduti sull’autobus di Rosa Parks o al concerto dei Pink Floyd alla LA Sports Arena. Poi il racconto finisce. Giu’ le luci, buona la prima. E in regia, in quella stanza buia piena di monitor in cui nessuno normalmente si cura di cio’ che viene detto in studio, scatta l’applauso. E qualche minuto dopo sulle pagine Facebook della regista, o dell’assistente di studio, compaiono post in cui si dichiara che lavorare con l’avvocato è un onore. Roba mai vista. Forse e’ un eccesso di romanticismo, ma credo che la televisione abbia il dovere di insegnare qualcosa. Federico ci insegna, ogni settimana, che la crescita puo’ stare anche tra le pieghe di una storia di basket. Soprattutto se e’ lui a raccontarla.

PAOLA ELLISSE