Quel pomeriggio estivo del 1996 ci sono 38 gradi in Georgia quando Gary Williams si infila in una torrida palestra con il suo assistente allenatore Dave Dickerson a vedere un torneo AAU.
In campo ci sono dei giovani talenti che sudano e trasudano pallacanestro ma l’occhio del coach di Maryland cade su un ragazzo che, con la sua squadra sotto di venti punti, si lancia disteso sul parquet per recuperare un pallone. Anche Williams era quel tipo di giocatore quando dal New Jersey arrivò a College Park per diventare il point man di Maryland nel 1964 sotto coach Bud Millikan. E sono quelli i giocatori che predilige e cerca.
Nel 1989 era stato chiamato dalla sua alma mater a cercare l’impresa di rianimare un programma ferito mortalmente dopo la morte di Len Bias e per farlo Williams aveva abbandonato un lavoro comodo come quello di coach di Ohio State dove si stava lanciando come uno degli allenatori emergenti d’America.
Una scelta suicida sul piano della carriera ma Gary Williams non aveva potuto dire di no al suo cuore.
E lentamente ci stava riuscendo andando a reclutare giocatori sottovalutati, quelli che nessuno voleva o in cui nessuno credeva ma nei quali Williams vedeva covare il fuoco sacro. Il suo primo grande colpo era stato convincere Walt Williams detto The Wizard, il Mago, a non abbandonare i Terrapins dopo il licenziamento di coach Bob Wade e l’insediamento di Williams. Con lui ad illuminare il gioco era poi arrivato Joe Smith che nel 1995 era stato nominato giocatore dell’anno e poi prima scelta assoluta NBA ma che nessuno, ma proprio nessuno, aveva voluto reclutare dalla High School eccetto Gary Williams.
Per competere con le superpotenze della ACC come Duke, North Carolina, NC State e Georgia Tech Williams cercava cuore e voglia di soffrire nelle sue reclute. E le cercava nella sua naturale pipeline ovvero la zona attorno a Washington, dove spesso si scontrava con la potentissima Georgetown di coach John Thompson, e di Baltimora.
E quel ragazzo magrolino e piccolo che si lancia sulla palla vagante Gary Williams lo conosce bene perché viene proprio da Baltimora, a soli cinquanta chilometri da College Park dove ha sede l’università di Maryland, e si chiama Juan Dixon.
Non lo sa ancora ma si sta cestisticamente innamorando del giocatore più importante della storia dei Terps.
Ma solo quel giorno coach Williams capisce che Dixon gioca a basket come se si tratta di vita o morte.
E Juan conosce bene il significato di vita e morte. Lo ha conosciuto sulle sue magre spalle.
Sua mamma Juanita era cresciuta come testimone di Geova prima di conoscere l’affascinante Phil Jr Dixon alle superiori. Un bel ragazzo ma dalla pelle chiara, cosa non ben vista nelle strade di Baltimora, ed a causa della sua pelle spesso era coinvolto in risse di strada. La coppia comincia a fumare marijuana, si sposano presto ed hanno tre figli: Phil III, Juan e la sorellina Nicole. Phil è un uomo intelligente, un’intelligenza dura e di strada, ma assieme alla moglie comincia a fare uso di droghe sempre più pesanti e rapidamente arrivano all’eroina.
I tre bambini crescono in una casa con genitori tossici, spesso il padre sparisce perché arrestato per poi tornare dalla gattabuia ed il piccolo Juan a volte cerca di trovare le siringhe e la droga che la madre nasconde in cantina per buttarle via, nessuno dei bambini può entrare in bagno quando la madre si chiude dentro mentre si inietta la droga ed a volte vengono lasciati per ore in macchina mentre mamma e papà sono a trattare cogli spacciatori. A modo loro però i genitori di Juan cercano di dare ai figli una vita il più normale possibile: il padre Phil ha l’ossessione per l’ordine e la pulizia ed i figli devono mettere tutti i giochi ed i vestiti al loro posto inoltre pretende da loro un buon impegno a scuola.
Il fratello maggiore Phil III diventa per Juan un punto di riferimento importante assieme alla zia Sheila e suo marito Mark. Con Uncle Mark il piccolo Juan ha finalmente un modello maschile affidabile che segue i tre fratellini a scuola mentre il padre è in prigione ed è proprio lo zio ad allenare Juan nella squadra della Little League di baseball, la prima sua passione, prima del football americano.
Ma presto Juan comincia a seguire il fratello maggiore su un campo da basket al Garden Village “Era la nostra medicina” ricorda il fratello Phil III “qualunque cosa succedeva a casa sul campo potevamo dimenticare tutto”.
Il piccolo Juan, sempre magrolino, comincia ad eccellere nella pallacanestro e papà Phill, in un periodo di libertà dalla galera, lo va a veder giocare, Juan è emozionato per la sua presenza e combina pasticci sino a quando il suo allenatore comincia ad urlargli in faccia ed il ragazzino, allora undicenne, si mette a piangere. Il padre allora si alza e dalle tribune urla al figlio “Forza ragazzo! Devi essere duro, nessuna paura! Per cosa stai piangendo!?”
Una dura lezione appresa. Juan Dixon non sarà mai più in balia degli eventi su un campo da basket.
Grazie poi a zia Sheila viene poi preso alla Calvert Hall College High School, una rigida scuola privata cattolica, e viene allenato da Mark Amatucci col quale instaura un forte rapporto.
La tragedia però è vicina.
Phil e Juanita si erano ripuliti dalla droga, finalmente, ed il padre si era addirittura laureato, studiando in carcere, in sociologia mentre la mamma si era sottoposta ad un duro trattamento per ripulirsi dall’eroina ma l’idillio dura poco ed a Juanita viene diagnosticato l’HIV.
Un anno dopo muore di AIDS.
Poco dopo aver seppellito Juanita pure Phil confessa ai quattro figli, nel frattempo era nato anche Jermaine, di essere sieropositivo. Nel dicembre del 1995, sedici mesi dopo la morte della maglie, anche Phil Dixon jr muore per una polmonite sussurrando ai figli in punto di morte “Laureatevi…”
I ragazzi vengono affidati definitivamente agli zii e Juan miscela tutto il suo dolore col disperato bisogno di giocare a basket.
E questa passione Gary Williams la intuisce tanto da strappare Dixon a George Washington University, Providence e Xavier.
Ma il ragazzo non ha i voti abbastanza alti per poter giocare in Division I ed al SAT test ha ottenuto uno scarso 840 mentre al secondo tentativo è sceso a 690. Chiede allora alla mamma della sua fidanzata, una insegnante di marketing alla Morgan State, di aiutarlo a studiare per passare il test.
Passa l’estate a lavorare come manovale al porto di Inner Harbor ed a studiare alla sera con Miss Bragg.
Riprova a fare il SAT in autunno e lo passa con 1060 punti. Insospettiti dal miglioramento repentino però il College Board boccia il test e chiede la ripetizione. Juan ottiene 1010 punti ed a metà stagione è finalmente un Terp dove viene messo in redshirt da Gary Williams per poterlo avere in squadra come freshman l’anno successivo.
Passerà tutta la sua prima stagione a fare la riserva di quell’autentico fenomeno di nome Steve Francis , nessuno lo nota sino al suo anno da sophomore quando segna 31 punti con 14 su 19 al tiro al Cameron Indoor Stadium trascinando Maryland ad una storica vittoria su Duke. Sarà la prima di numerose grandi sfide fra Maryland e Duke, un rapporto di rivalità ma anche rispetto, almeno fra i protagonisti in campo, tanto che Dixon è ancora ricordato da Mike Krzyzewski come “il mio giocatore preferito fra quelli che non ho allenato” e lo stesso Dixon a dichiarare “Beh… oltre a G-Dub (solo lui ha ufficialmente il permesso di chiamare così Williams) Coach K è il mio allenatore preferito”.
E Coach K coi suoi Blue Devils sarà il peggior incubo per i Terrapins nella stagione da junior di Dixon.
La squadra di Williams ormai è fortissima.
Dixon è il leader in campo di una squadra che prevede al suo fianco il play Steve Blake, come cambio degli esterni Drew Nicholas, il collante Byron Mouton in ala piccola e due lunghi dominanti come Chris Wilcox ed il mini centro Lonny Baxter, un altro reclutato da Williams in cui nessuno credeva, sotto canestro.
Nel 2001 Duke darà comunque a Maryland due dure lezioni.
La prima è la famosa Minute Madness in cui Duke recupera 12 punti di deficit nell’ultimo minuto di gara a College Park, la seconda è la rimonta nella semifinale del Torneo NCAA in cui i Blue Devils rientrano dal meno ventidue del primo tempo, in cui Dixon segna 16 punti, e vanno a battere Maryland 95-84 per poi vincere il titolo NCAA contro Arizona.
Chiave della semifinale? Krzyzewski mette nella ripresa Nate James su Juan Dixon che viene tenuto ad 1-8 al tiro.
A questo punto Dixon si chiude in palestra a lavorare. Ha le chiavi del Cole Field House e resta sino alla una di notte a tirare. Ormai ha un raggio di tiro infinito. Si studia partite su partite. Ossessionato dal dover cancellare la sconfitta dell’anno prima.
Pure Williams ha un solo scopo nella vita: vincere il titolo NCAA.
Ci riesce infine nel 2002.
32 vittorie e sole 4 sconfitte.
Nel torneo NCAA Juan Dixon ne segna: 29 a Siena, 29 a Wisconsin, 19 a Kentucky, 27 a Connecticut, 33 a Kansas in semifinale ed infine 18 in finale con Indiana segnando tutti i canestri decisivi quando gli Hoosiers si portano vicini ai favoriti Terrapins.
Dixon è Most Outstanding Player del torneo 2002 ed il leading scorer dell’Università di Maryland superando finalmente l’ingombrante fantasma di Len Bias e il suo maledetto destino.
Juan Dixon va pure nella NBA, scelto alla chiamata numero 17 proprio dai Washington Wizards attirati dall’eroe locale. La sua carriera NBA è dignitosa con un career high di 35 punti in Gara 4 dei Quarti di Finale della Eastern Conference contro i Chicago Bulls. Statisticamente la sua stagione migliore è ai Portland Trail Blazers con 12.3 punti a partita e 42 presenze in quintetto, gioca anche a Toronto, Detroit e torna a Washington facendosi ovunque amare dai propri tifosi per il suo coraggio e la sua passione.
Nel 2009 prova anche ad allungare la sua carriera in Europa: sbarca prima all’Aris Salonicco e poi all’Unicaja Malaga dove viene però squalificato per esser risultato positivo al Nandrolone, lo steroide che bloccò anche Mario Boni in Italia. Rientra nel 2011 al Banvit in Turchia ma dura poco anche perchè in fondo tutto quello che poteva lo aveva già dato negli anni dei miracoli a College Park.
E proprio lì Juan Dixon è tornato. A fare l’assistente allenatore di coach Mark Turgeon nei Terps.
Ha ancora le chiavi del Cole Field House.
Se passate da quelle parti di sera lo trovate ancora a tirare.