Questa volta Pick and Rock ospita Claudio Lolli. Paura, eh?

In oltre tre anni di vita Pick and Rock ha gettato, come direbbero gli amici vegani, tanta carne al fuoco. Nel nostro curriculum vitae si trova tutto e il contrario di tutto: da giocatori improvvisatisi dj a campioni di livello assoluto con un substrato da rapper mancati, da band sconosciute ai più a colonne sonore di film di cassetta. E tanto, tantissimo altro. L’importante è che tra la musica e il basket ci sia un legame di sangue, e da questo punto di vista non si transige.  Ecco, il fatto è che questa volta parliamo di Claudio Lolli. Paura, eh? Diciamolo: non avremmo mai creduto che un giorno avremmo catapultato uno come lui all’interno delle nostre sia pur scafate pagine. Già, proprio quel Claudio Lolli che aspettava che il vento si portasse via la vecchia e piccola borghesia, quel Claudio Lolli che, al massimo, passava il tempo a immortalare con le sue canzoni gli zingari, meglio se felici. Quel Lolli lì insomma, direttamente da Bologna, che se gli parli di basket-city alza le spalle, che se gli ricordi quel canestro da quattro punti cambia discorso. E non certo perché sia tifoso della Fortitudo. Claudio nostro della palla a spicchi se n’è sempre allegramente fottuto, al massimo si è sporcato le mani con le automobili, quelle che sfrecciano nei circuiti tra ali di folla deliranti, riferimento non casuale a “Villeneuve” e “Formula Uno”, due pezzi finiti nell’album “Antipatici antipodi”, anno domini 1983.
Parliamo del secolo scorso, e un disco come quello appena citato è poco più un granello di un percorso ultra quarantennale. La carriera del cantautore bolognese parte agli albori degli anni ’70 e non si è mai fermata, “Il grande freddo”, la sua ultima fatica discografica, è uscito qualche mese fa e si è già aggiudicato il Premio Tenco come disco dell’anno. È in gran forma Lolli, è facile capirlo quando ascolti le sue nuove canzoni, compresa “La fotografia sportiva”.

Un’allegoria di quella vita che non usa il freno in discesa, che fugge via veloce, mentre stai ancora cercando di dare un senso all’esistenza. Un brano delicato, bellissimo, che a un certo punto vira verso la palla a spicchi. Senza un perché, senza un percome. Almeno all’apparenza. “Eccola qui, è la fotografia sportiva, che ti prende mentre salti verso il basket e ti blocca la tua vita ancora viva. Eccola qui, ecco che ci proviamo, a sapere chi siamo, da dove veniamo”. Tecnica zero, è vero: saltare verso il basket è una frase un po’ vaga, che meriterebbe più di una spiegazione, almeno per noi che della pallacanestro abbiamo fatto, chi più chi meno, una ragione di vita. Ma poco importa, perché poi la prosa di Lolli si fa molto più chiara. “Eccola qui, è la fotografia sportiva, fermare il movimento prima della deriva, il dubbio di esistere sollevati dal parquet, meravigliosi nell’aria senza sapere perché. E fermare il pressing pazzo dell’infelicità con la grande meraviglia della novità, e trovarsi alla fine spettatori delusi: in quella foto sportiva abbiamo già tutti gli occhi chiusi”. Trovarsi sollevati dal parquet, magari per un jump-shot, il pressing da tirare fuori dopo averlo provato per ore in allenamento: in fondo, è sufficiente un segnale del coach. Potremmo continuare così ancora a lungo ma, in realtà, dovremmo limitarci a ringraziare Claudio Lolli per aver fatto ricorso alla palla a spicchi con la scusa di parlare della vita, per averla usata come una metafora dei nostri giorni passati a cercare un senso in grado di darci la forza di continuare. Che è un po’ come ricevere un assist, anche se poi “funziona tutto senza una ragione”. Ed è vero. E comunque grazie Claudio, grazie davvero!

L’immagine è tratta dal sito web blogfolk.com