Sergio Tavčar

L’ amico Ferrari da Cremona mi ha mandato una mail con un richiamo all’articolo di Aldo Oberto apparso su www.dailybasket.it in cui parla del pick and roll. Con uno stile più asciutto, didascalico e sicuramente più comprensibile dice esattamente quanto ho detto io la settimana scorsa. Ovviamente, visto che la pensiamo esattamente allo stesso modo, non potrei essere più d’accordo. E dunque, se non credete a me (visto che ero un coach di giovanili e categorie infime), credete almeno a lui. E su questo argomento penso basti.

Piccola chiosa, comunque: sono violentemente in disaccordo e sono pronto a morire per la causa con coloro che sottovalutano, o addirittura trascurano, la correttezza tecnica dell’esecuzione di questo fondamentale di squadra che, come tutti i fondamentali, meglio è fatto, meglio riesce. Dunque un pick’n’roll fatto alla carlona non serve. E, ripeto, il timing di tutta la sequenza deve essere assolutamente impeccabile. Su questo non accetto discussioni e sono pronto al duello all’arma bianca, o quella che sceglie il nemico. E nessuno ha detto che il bloccante deve sempre tagliare a canestro. Deve però obbligatoriamente essere la prima opzione, la quale viene omessa se la difesa si adegua in anticipo. Sono due cose totalmente diverse. E un’altra cosa che si vede sempre meno, praticamente mai: quando, dopo la consueta patetica escursione a metà campo del lungo in funzione spaventativa di aiuto (movimento che non capirò mai: il mezzo passo per togliere il tempo è ovvio, come insegnava Bobby Knight, ma l’escursione ben sopra la linea della palla mi sembra semplicemente idiota), il bloccante, rimasto solo, ha la geniale idea di tagliare a canestro senza rimanere fermo lì e arriva l’aiuto in rotazione di un terzo difensore, non vedo mai scarichi brevi all’uomo lasciato solo dall’aiutante, ma solo scarichi in angolo per un tiro da tre. Ma due punti con un facile tiro dalla media, magari di tabella, fanno veramente tanto schifo?

Questa ultima annotazione mi porta direttamente alla domanda dell’amico Walter che mi chiede (in modo che suppongo falsamente ingenuo) se io sia d’accordo sul fatto che l’arresto e tiro sia il fondamentale più importante del basket. Allora, prendiamola così: con buona pace di coloro che ritengono il basket uno sport da masturbazione mentale per difensivisti cervellotici, io ribadisco una verità che mi sembra solare ed inoppugnabile. E’ solo ovvio che il fondamentale decisivo nel basket sia il tiro a canestro. No tiro, no basket, dicevano gli jugoslavi ed invitavano le mani quadre a dedicarsi ad altri sport. Attorno al tiro a canestro ruota tutto. Tutte le azioni che sono state inventate da Naismith in poi hanno il precipuo compito di portare la squadra a quello che giustamente viene chiamato un buon tiro. Il quale tiro però poi bisogna segnarlo. Tutto qua. I tiri sono ovviamente di varie categorie: i tiri in corsa, i tiri piazzati ed i tiri che vengono effettuati dopo un’azione di 1 contro 1 nella quale si batte l’avversario diretto. Nell’ottica di cui sopra bisogna saper fare bene tutti questi tipi di tiro. Ora: i tiri in corsa (entrate, nella maggior parte) presuppongono doti anche e soprattutto atletiche nonché di coordinazione e percezione spaziale che non tutti hanno, per cui è in questa categoria di tiri che esce di prepotenza la capacità atletica del giocatore. Gli altri tiri no: sono questione di tecnica ed allenamento e praticamente tutti, con la dovuta dedizione ed il tempo necessario, possono acquisire la tecnica giusta per effettuarli. Poi sta ovviamente alle capacità personali, a quello che in un precedente post ho definito talento specifico per il basket (il pensiero corre sempre in questi a ricordare Kićanović o anche Lombardi, Recalcati o Brumatti – a cui fra l’altro più che giustamente intitolano domani la palestra in Campagnuzza a Gorizia, luogo mitico di tante partite delle categorie giovanili, cioè mie) a decidere chi sia più o meno tiratore. Che però un giocatore di basket debba obbligatoriamente, anche a costo di allenarsi 15 ore al giorno, imparare la corretta tecnica di tiro mi sembra assolutamente imprescindibile. Ripeto: se non la impara non gioca, simple as that. In questo contesto l’arresto e tiro è l’unico modo di trasformare un vantaggio ottenuto grazie ad una buona azione di 1 contro 1 o per aver riempito lo spazio giusto tagliando in modo opportuno ed aver ricevuto la palla dal nostro sagace playmaker in un tiro a canestro. Cioè per finalizzare in modo decisivo l’azione, nel senso che o il tiro entra e allora l’azione è riuscita, o non entra ed allora è esattamente uguale come se avessimo buttato la palla in out o commesso passi. Nessuno ci darà 5,9 per l’espressione artistica. E dunque l’arresto e tiro è un gesto tecnico assolutamente cardine di qualsiasi giocatore di basket che voglia definirsi tale. Imparare la tecnica giusta vuol dire trasformare l’energia cinetica orizzontale data dalla corsa in energia cinetica verticale, cioè in salto, al culmine del quale si potrà tirare. Bisogna dunque avere la corretta posizione dei piedi, il giusto bilanciamento del corpo (il famoso “ritmo” che altro non è che tecnica corretta) e la palla messa in posizione il più possibile sulla linea spalle (perpendicolari)-gomiti-polso-canestro per poter effettuare il rilascio nella direzione giusta e con la forza giusta. Tutto deve dunque essere fatto in perfetto equilibrio e col timing giusto, oltre che, particolare che spesso si dimentica, col movimento più breve e raccolto possibile che serve a due scopi: il primo, soggettivo, si riferisce alla necessità di automatizzare movimenti più semplici e dunque meno votati all’errore ed il secondo, oggettivo, che si riferisce al fatto che un tiro raccolto è anche molto più veloce e può costituire il vantaggio decisivo di quei pochi decimi di secondo che impediscono al difensore di arrivare in tempo per la stoppata. Difficile? Molto più di quel che sembri, ma niente che non si possa acquisire con l’allenamento assiduo guidato da un buon istruttore. Infatti, se il tiro piazzato è in sé una questione soggettiva, ed uno ricorda ottimi tiratori che avevano tecniche pessime, tipo Paspalj (anche se, ribadisco, avere la tecnica corretta anche in questo caso aiuta moltissimo), l’arresto e tiro deve essere continuamente corretto e migliorato da un bravo istruttore che, se è capace di insegnare bene, è il tecnico assolutamente più prezioso che una società possa ingaggiare. Anche se sa fare solo quello: basta e super-avanza. Per concludere: l’arresto e tiro è il fondamentale individuale più importante del basket? Senza il minimo dubbio, con l’avvertenza però che il tiro bisogna poi anche segnarlo. E che è comunque il fondamentale che arriva stranamente per ultimo, perché è quello che finalizza l’azione, dunque per arrivarci bisogna anche saper palleggiare, passare bene la palla e saper giocare di squadra.

Miscellanea: io ieri nel mio commento sull’Eurolega avevo contato Siena a più 30 (non 32) nei confronti diretti e ho detto che le bastava perdere con 29 o meno per qualificarsi o meno 23 per essere prima. Sbagliavo? Probabilmente sì, anche se punto più, punto meno, perdere di 20 o più in casa col Real mi sembra improponibile. A proposito, volete sapere la mia sulla gestione finale di una partita punto a punto? Se lo volete, leggete avanti, se no aspettate il prossimo post per la descrizione della mia sciagurata esperienza della sera nella quale ho voluto violentarmi e vedere una partita dell’NBA col risultato di aver visto in pochi secondi di gioco di una disgraziata partita Clippers-San Antonio (a proposito, perché sono Chaps? Non sono più Spurs?) più puttanate di quante ne abbia viste in tutta la mia carriera di allenatore di squadre giovanili, a volte molto, ma molto sfigate.

Allora, gestione dell’ultimo possesso (o pochi possessi, cioè ultimo minuto): dipende. Dipende dai miei e da loro. Se ho un buon playmaker con fosforo in testa e calma nelle vene non chiamo timeout per l’ultimo attacco neanche sotto tortura. Fra l’altro mi sembra che l’abbia fatto anche D’Antoni con Lin in campo nell’ultimo attacco contro San Antonio deciso da un tiro da tre del taiwanese allo scadere. Chiamare timeout in questi casi mi sembra solo il miglior modo di organizzare la difesa, mentre l’attacco normalmente viene incasinato dalle frenetiche disposizioni del coach che vuole passare alla storia come lo stratega del secolo con invenzioni geniali che possono anche essere tali, ma che i giocatori, con l’adrenalina che monta a livelli da cartoni animati (quelli dove a Paperino sale il bollore fino alla testa) sempre più durante i secondi nei quali fanno finta di ascoltare il coach, proprio non riescono a recepire. In momenti come questi decidono l’istinto e la classe. E se ho un giocatore di classe, lascio fare a lui. Se però non ho un play di classe, ma uno “imparato”, se capite cosa intendo, allora faccio come faceva l’allenatore dello Jadran Splichal (me l’ha insegnato lui!): durante la stagione preparo un’azione che chiamo “ultimo attacco” e che sfrutto, appunto, solo ed esclusivamente per l’ultimo attacco – quando serve, perché è solo ovvio che la prima volta che mi riesce gli scout avversari lo decifrano e mettono in preventivo, ragione in più per non chiamare timeout prima dell’ultima azione. Oggi mi avrebbero complicato le cose col vantaggio che mi danno con la rimessa da metà campo dopo timeout. Penso però che a questo supposto vantaggio rinuncerei molto volentieri, a meno ovviamente che il tempo rimanente fosse tanto esiguo da impedirmi di arrivare materialmente oltre metà campo in tempo.

Interessanti le varie teorie su come comportarsi in merito ai falli tattici: ci sono allenatori, serbi in particolare, che per la loro indole (Ivković, Vujošević) di vincenti vogliono comunque avere l’ultimo attacco, dunque commettono fallo tattico anche se sono avanti di uno, e ciò solo per poter avere l’ultimo attacco che nella loro convinzione è solo ovvio che vada a buon fine (sono o non sono più forti?). A me che sono sloveno, dunque tendenzialmente perdente di natura, questo ragionamento sembra marziano, in quanto ragiono che se sono in panico io, non vedo perché non dovrebbero esserlo anche gli avversari. Però anche qui dipende. Se loro hanno il famoso play di fosforo (Bodiroga?), allora ci penserei due volte prima di difendere senza fallo sull’ultimo attacco loro, in quanto il modo di buggerarmi uno come Bodiroga troverebbe sempre il modo di escogitarlo. Se però loro sono una squadra abbastanza acefala (Milano?) o comunque reduce da una striscia di azioni senza senso che mi ha magari permesso il sorpasso in extremis non faccio fallo neanche morto e lascio che cuociano nel loro brodo. Tanto, se mi hanno regalato la palla qualche secondo fa, non vedo perché improvvisamente dovrebbero rinsavire e giocare un attacco perfetto. Per concludere penso che dipenda dalle situazioni, dall’andamento della partita, dall’inerzia momentanea, dal valore delle due squadre in campo e di quanti giocatori vincenti ci siano capaci di giocare al meglio l’attacco che vale la partita sia da una che dall’altra parte, insomma le variabili sono tantissime e non credo che ci sia una tattica migliore dell’altra. Bisogna semplicemente essere intelligenti e tentare di mettersi nella testa dei giocatori che dovranno giocare l’azione decisiva sia in attacco che in difesa. Oggigiorno penso comunque che il compito della difesa sia molto più facile, in quanto normalmente sull’ultimo attacco lo sanno tutti chi prenderà l’ultimo tiro (soprattutto nell’NBA, dove fra l’altro l’uomo designato non ha neanche per sbaglio nella mente il chip che preveda un possibile passaggio ad un compagno solo), il quale salvatore della patria palleggia per 20 secondi e poi si caccia in entrata tirando sconsideratamente. Normalmente basta difendere in cinque contro uno che l’ ultimo attacco viene fermato. Quando avete visto un’ultima azione manovrata, nella quale tutti i cinque attaccanti a turno toccano la palla? A mia memoria è da tempi immemorabili che non la vedo.

Un’ ultima considerazione, sollevata molto opportunamente da uno di voi. Avanti di tre il fallo che manda in lunetta per due tiri liberi l’avversario viene fatto sempre più sconsideratamente, addirittura ancora nella loro metà campo. Idiozia totale: non credo che dovrebbe essere particolarmente difficile per un giocatore con un po’ di sale in zucca capire quando gli avversari, dopo aver tenuto la palla per il tempo giusto (per non tirare troppo presto), iniziano l’azione “seriamente” per costruirsi il tiro. Il fallo dovrebbe arrivare , ma al momento stesso in cui il tiratore da tre designato sta per ricevere la palla. Il fallo in questo caso dovrebbe essere il classico anticipo falloso, che qualche volta potrebbe addirittura trasformarsi in anticipo pulito. Mai mettere limiti alla Provvidenza.

www.sergiotavcar.com