Tutta la grinta di Salvatore Parrillo (foto di Matteo Cogliati)

Più che fortuna, sarebbe meglio chiamarlo destino. E se qualcuno non ci crede, allora la parola “merito” sarebbe in questo caso quella più azzeccata. La storia di Salvatore Parrillo (per tutti Sasà, ndr) è un esempio perfetto di come i sani valori dello sport e della pallacanestro possano ancora rappresentare il mezzo perfetto per arrivare ad alti livelli. In un mondo come quello odierno, dove anche nello sport si fa fatica a trovare degli esempi da trasmettere ai bambini, dovrebbero esserci più persone del genere. Allora sì che si parlerebbe di un mondo e di uno sport migliori. Sacrifici, determinazione, dedizione, senza mai rinunciare a quei valori trasmessi dalla famiglia: tutto per il basket, al primo posto nell’elenco delle priorità di Salvatore già a 15 anni.

L’esordio in Serie A nel 2008/2009 con Caserta da giovanissimo, quando era solo sedicenne. Poi il percorso nelle serie inferiori tra Ferentino, Agropoli e Napoli: a volte anche essere buttato nella mischia fin da giovanissimo in Serie A ha i suoi benefici e può farti crescere più in fretta, no? Si può crescere in entrambi i modi, però semplicemente tante volte non ti viene data la possibilità di giocare tanto fin da subito nelle serie maggiori, anche perché magari non sei ancora pronto. Sono cresciuto tanto a Caserta nei primissimi anni dove iniziavo a vedere quello che era la Serie A, ma non mi sentivo subito pronto per poter giocare a quei livelli. Poi ho pensato che fosse meglio provare a farsi le ossa prima in Serie B e poi in A2, dimostrando il mio livello ripartendo un pò più in basso e così è stato. Gli anni successivi poi ho iniziato a giocare realmente. A Caserta, in fin dei conti, ho giocato davvero solo pochissimi minuti“.

Da Napoli a Reggio Emilia, un salto che non capita ogni giorno nella vita di uno sportivo. La fortuna, però, non arriva mai da sola: nella maggior parte dei casi bisogna guadagnarsela. Ti senti più orgoglioso o più fortunato per quella chiamata di Frosini?Sono convinto di aver avuto fortuna, ma penso proprio di essermela guadagnata. Sono stato chiamato a Reggio Emilia perché ho dimostrato di meritare tutto quello che mi è stato dato. Oltre alla fortuna c’è tanto altro“.

(credits PallacanestroCantu)

A Reggio Emilia l’esperienza è da pelle d’oca. Dalla B alla finale scudetto eppure nemmeno per un momento hai mostrato incertezza piuttosto che paura. É il tuo carattere oppure sei riuscito a mascherare bene le tue emozioni?Prima di tutto ero orgoglioso di quello che stavo vivendo. Era un pò il mio modo per onorare la chiamata di Reggio Emilia e quello che mi stavano dando sia l’allenatore che la società: sapevo che aiutare la squadra significava solo andare in campo e dare tutto quello che avevo. In una situazione del genere potevo essere solo quello che aveva più fame di tutti gli altri: nonostante la difficoltà nel sopperire alle differenze dal punto di vista fisico, io andavo in campo dando tutto me stesso. Alla fine è andata molto bene“.

Salvatore Parrillo al tiro, la specialità della casa (foto di Matteo Cogliati)

A volte la fame, la voglia di emergere e i sacrifici permettono di superare ogni avversità. Anche per questo sei diventato un po’ l’idolo di tutti, oltre che del PalaBigi anche di tutti quelli che dalle minors hanno sognato almeno una volta nella vita di fare un percorso del genere. Started from the bottom, now we here, direbbe Drake. Un motivo di orgoglio in più. Quando vieni apprezzato per quello che fai, pur non essendo un giocatore da 30 punti a partita, non può che farti piacere, ma allo stesso tempo ti dà una carica maggiore per dare sempre di più“.

Poi la firma con Cantù. Sinceramente te l’aspettavi o pensavi di rimanere a Reggio Emilia?Reggio in quegli anni era una squadra che stava provando a vincere il più possibile, tra Supercoppa e finali scudetto. Lì sono stato benissimo, ma non mi aspettavo nulla sapendo che era una squadra che puntava al massimo e magari poteva aver bisogno di giocatori diversi. Questo ha permesso, però, di arrivare a Cantù dove mi sono trovato fin da subito alla grande. É una società storica, una maglia importantissima con una tifoseria di primo livello che ha ammirato tanti campioni. Una nuova sfida e un’altra grande emozione“.

In questa stagione vi state togliendo tante soddisfazioni. Prima la qualificazione alle Final Eight di Coppa Italia, poi la batosta rifilata alla corazzata Milano ai quarti e la semifinale persa contro Brescia per un soffio. Credevate di poter arrivare fino in fondo? “Se avessimo dovuto fare un pronostico prima di iniziare la Coppa, mai avremmo immaginato un cammino del genere. Sapevamo che per entrare in campo e battere Milano dovevamo andare al 100%, nonostante comunque non fossimo al completo. Ci siamo riusciti e abbiamo dimostrato come fame e voglia di vincere fanno sempre la differenza. Peccato per la semifinale contro Brescia persa dopo un supplementare, perché era maturata in noi la convinzione di poter battere chiunque. Rimane la consapevolezza di aver dato tutto sul campo: guardando le immagini del finale di partita, tra chi zoppicava e chi era fuori per falli, è facile rendersi conto di come non abbiamo risparmiato nemmeno un granello di energia“. E ovviamente Salvatore non si è tirato indietro quando c’era da lottare:La squadra è stata brava proprio nel farsi trovare pronta. Anche chi gioca meno ha capito che c’era bisogno di una prestazione diversa dal solito e di provare a prendersi responsabilità in attacco che di solito non vengono richieste“.

(credits PallacanestroCantu)

Dando uno sguardo alla classifica la lotta per arrivare ai playoff è più incerta che mai. Dalla quinta (Virtus Bologna) a quota 26 fino alla dodicesima (Varese), a 20 ci sono solamente 6 punti. Da adesso in poi sono tutte finali, no?  “Il fatto che ci siano otto squadre in lotta per quattro posti rende questo finale di stagione incandescente. Ci saranno tanti scontri diretti fondamentali: la vittoria con Torino di domenica è stata vitale e, dopo la trasferta a Brescia, quella con Bologna sarà ancora più decisiva. Dovremo essere bravi ad affrontare al meglio queste ultime partite: vogliamo provare ad arrivare ai playoff“.  

Il vostro gioco a ritmi piuttosto alti vi potrebbe penalizzare ai playoff dove le partite sono molto ravvicinate e il dispendio fisico è notevole? Purtroppo da un lato sì. Si è visto anche in Coppa Italia: dopo aver dato tutto contro Milano, il giorno dopo contro Brescia eravamo molto stanchi. Adesso, però, abbiamo in più Culpepper, a breve dovrebbe rientrare anche Crosariol e la società ha aggiunto anche Ellis. Non dovrebbe essere un problema, quindi: spero, però, di dimostrarlo con i fatti, perché vorrebbe dire essere dentro i playoff a giocarcela“.

Seconda stagiona a Cantù per Parrillo (foto di Matteo Cogliati)

Estate 2017: anche in vacanza hai detto che non hai mai smesso di allenarti. Un’etica del lavoro che non si riscontra così facilmente tra i giovani. Da dove arriva tutta questa energia e dedizione?Sono i valori che mi ha trasmesso la mia famiglia, mio padre in particolare (ex giocatore che adesso allena). Per me lavorare e provare a crescere è tutto: lo faccio tutti giorni, ogni estate, potendo contare sul suo aiuto e su quello di mio fratello. Voglio sottolineare, però, che lo faccio con estremo piacere“.

Tralasciando l’aspetto atletico, tecnicamente in campo quali sono gli aspetti su cui devi lavorare? “Provo a lavorare su tutto. Devo migliorare il gioco con la palla in mano e devo riuscire ad attaccare meglio il ferro (non proprio la mia specialità)“. Da tiratore c’è un giocatore a cui ti ispiri?Stimo molto Amedeo Della Valle, un giocatore formidabile oltre che una grandissima persona: ogni anno che passa, dimostra di migliorarsi sempre di più. É una vera fonte di ispirazione“.

La vita da giocatore porta in dote non solo aspetti positivi, ma anche qualcuno negativo, come ad esempio la lontananza dalla famiglia. Mantenere i legami familiari, superando le distanze (nel tuo caso notevoli), tu come riesci a conciliare le due cose?Purtroppo la distanza non aiuta per niente, ma sento la mia famiglia quotidianamente e siamo veramente molto legati. Quando riescono, vengono spesso a trovarmi, anche se ormai ci ho fatto l’abitudine: decidendo di fare questo lavoro dando tutto me stesso e provando ad arrivare ad alti livelli, l’avevo messo in conto. A 15 anni sono andato a vivere in foresteria a Caserta: fin da subito ho messo davanti a tutto la pallacanestro e ogni sacrificio necessario per poter arrivare lontano. Non è facile, ci sono tanti momenti difficili, ma la mia famiglia mi aiuta in tutto e la presenza della mia ragazza qui con me è fondamentale. Il legame che ci unisce è molto più forte di ogni distanza: è questa la forza che mi permette di andare avanti“.

Parrillo è ormai un idolo a Cantù (foto di Matteo Cogliati)

Tra gli aspetti positivi di questo lavoro, invece, c’è anche quello di girare tante città e squadre diverse: che cosa ti sta lasciando questa esperienza a Cantù?Mi sta dando tanto, la gente che ho conosciuto qui è molto calorosa e pronta a darti tanto. In questi due anni sono riuscito anche a farmi tanti amici e sto veramente bene: al di là del basket sono riuscito a creare legami importanti e in ogni difficoltà sono sempre pronti ad aiutarmi e incitarmi“.

Adesso che hai dimostrato di poterci stare alla grande in questa categoria, quali sono i tuoi obiettivi per il futuro? Magari una maglia da titolare?Non voglio prefissarmi nulla, voglio solamente fare del mio meglio. Sono molto legato al lavoro e credo nella meritocrazia: quando mi meriterò qualcosa in più, mi verrà dato. Vediamo poi alla fine dove mi porterà il lavoro“.

E dal punto di vista personale, insegui qualche sogno in particolare?Sogni ce ne sono tanti, ma sono anche molto scaramantico: meglio non dire nulla (ride, ndr)!”.


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