Dopo l’annuncio del ritiro il campione codognese si confessa in una lunga intervista in esclusiva. Dalla Fulgor Codogno alla Korac, i 40 anni di basket di Mario Boni.

 

CODOGNO SuperMario Boni che soffia sulle candeline della torta dei 49 anni e decide, basta, di chiudere la sua quarantennale carriera di giocatore di basket è un po’ come immaginare Peter Pan che tira giù di botto la saracinesca dell’isola che non c’è. Niente più svolta alla seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino: la ragione lo ha proprio preso per mano chiudendo una lunga “gioventù” sportiva, probabilmente irripetibile, iniziata da bimbetto di 9 anni sul campetto all’aperto dell’oratorio San Luigi di Codogno e proseguita anno dopo anno, coach dopo coach, fino a spingerlo in un cammino, non favola né fantasia, culminato nel titolo di cannoniere di Serie A1 (1992/1993) rompendo tre decenni di dominio straniero e, primo italiano in un club estero, alla Coppa Korac vinta con l’Aris Salonicco (1997). Una crescita incredibile del ragazzo che giocava nella Fulgor Codogno diventato uomo con una palla a spicchi arancione in mano, capace di conquistare nove promozioni tra Montecatini (quattro), Roseto, Teramo, Virtus Bologna e Piacenza (due), nei vari campionati nazionali italiani, e una Coppa di Grecia più una Coppa Italia di A Dilettanti (2007) con l’Assigeco e di C Dilettanti con Piacenza. Undicimila punti e spiccioli segnati ad alto livello: chiude con la media punti più alta di tutti tra gli italiani («È un dato oggettivo a cui tengo»).

La scelta del ritiro apre l’album dei ricordi e delle emozioni sportive: da dove partiamo?

«Mi vengono subito in mente quelle vissute con Montecatini, la mia città che amo in modo viscerale. Sono stato bene in Abruzzo, a Roseto e Teramo, a Salonicco, a Bologna. Ho vissuto in maniera profonda ogni posto dove ho giocato dando sempre il massimo di me stesso in campo, al di là dei risultati più o meno soddisfacenti, però Montecatini rimane al”top: le vittorie avevano un sapore pazzesco».

A Montecatini avresti vinto a mani basse ogni elezione a sindaco, ma anche i tifosi dell’Aris ti hanno idolatrato fin dal primo giorno: come è stata l’esperienza in Grecia?

«Beh, non a caso hanno il pubblico più caldo d’Europa, pareggiato dagli amici di Vigevano, detta la “Salonicco d’Italia”: migliaia di persone che seguono e cantano e fanno rumore ore prima della palla a due. C’è stato grande feeling con loro, emozioni pazzesche».

Quale tra i tanti successi ha il primo posto nel tuo album dei ricordi?

«Di sicuro la promozione con la Sharp Montecatini nel 1988/1989 conquistata ai play out, che allora si facevano tra le prime di A2 e le ultime di A1, propiziata anche dalla nostra vittoria sul parquet della Neutro Roberts Firenze con una tripla pazzesca, il “tiro”, davanti a 7000 persone, di cui 1500 venuti da Montecatini. Mamma mia che roba...».

Quanto ha fatto male la squalifica per doping (nandrolone) del 1994?

«Il basket mi ha dato tantissimo, qualcosa ho dovuto concedere. È stato un neo che ho vissuto in modo positivo: mi ha dato la forza di affrontare l’esperienza negli Usa, molto formativa sotto ogni punto di vista, utile a rafforzare la mia volontà cestistica e a tornare molto più forte e motivato di prima».

Hai giocato nelle serie minori statunitensi: anni fa l’Nba sembrava inaccessibile...

«Se capitasse ora ci proverei di certo. Se ci gioca Belinelli non pensi che potrei trovare spazio anche io? Non sono certo Gallinari, che è più molto alto e riveste un ruolo diverso, però ci proverei con molta determinazione. È un rammarico che ho insieme a quello della Nazionale».

Il capitolo della Nazionale, persa per una distorsione la chiamata di Sandro Gamba per l’amichevole al “PalaTerme” del 1991 contro la Francia, segna una sola riga, l’11 febbraio 1992 a Siena contro la Cecoslovacchia: 7 punti in 12 minuti. Poco azzurro in una carriera così?

«Mi rimane il commento di Ettore Messina, uno dei più grandi coach italiani, che disse che il suo più grande errore fu di non convocarmi agli Europei in Germania del 1993. Ora? Il basket è cambiato, è molto diverso. Diversi giocatori convocati adesso ai miei tempi avrebbero fatto salti di gioia solo per essere in lista come riserve a casa. Agli Europei sarà dura, confidiamo in Danilo Gallinari».

Diversi giocatori chiamati da Pianigiani sono “free agent”, eufemismo che significa senza squadra...

«Cambiano le regole. L’anno prossimo in A1 ci saranno solo cinque italiani su dodici del roster, di fatto solo tre. Hanno costi più alti degli stranieri e dei passaportati e una qualità che non è poi così alta. Di veramente buoni ce ne sono in giro pochi, e quei pochi se li prende chi può, vedi Milano».

Le varie leghe studiano regole ad hoc per spingere i giovani...

«I parametri alti frenano la crescita, visto il momento di forte crisi, così come i limiti di età decisi dalla Fip. Dall’anno prossimo nella Dnb o Dnc un classe 1991 è tesserabile come me, un senior: con queste regole avrei avuto difficoltà a emergere pure io che sono maturato tardi. Non c’è più la possibilità per un giovane di giocare, sbagliare e crescere liberamente. Il livello del nostro basket si sta pericolosamente abbassando».

Con il tuo ritiro rimane Danilo Gallinari a portare in giro per il mondo la bandiera cestistica del lodigiano: cosa pensi di lui?

«Danilo è forte, intelligente e corre bene per il campo. Non dico niente di nuovo, lo vedono tutti quanto di buono sta facendo nell’Nba. Ricordo di averlo sfidato in campo in LegaDue con Montecatini quando lui era a Pavia (2005/2006). Non è stato male giocare contro di lui dopo aver incrociato tante volte suo papà Vittorio».

Mentre i tuoi compagni o avversari venivano sostituiti dai figli, tu no smettevi mai...

«Beh, è vero, ho attraversato tre generazioni di giocatori. A pensarci mi vengono i brividi».

Perdendo alla “bella” un mese fa la finale promozione in Dnb sei andato vicino a chiudere la carriera con l’ennesimo successo: rimpianti?

«Se avessimo vinto probabilmente non avrei capito che era il momento giusto per smettere. La stagione con la Bakery Cortemaggiore è stata comunque ottima: le cifre sono chiare (secondo marcatore del girone con 23.5 punti di media e primo nella valutazione con 24.1, mentre nei play off 18 punti e 5.1 rimbalzi a gara, nda). Alla fine della “bella” a Cento non ho sentito dentro di me le sensazioni forti di sempre. È lì che di colpo ho compreso di essere arrivato alla fine della corsa: quasi logico per uno come me che da sempre vive il basket con cuore e passione. Ritardavo l’età che avanza (ride, ndr). È proprio finita, me ne rendo conto ma mi sento molto sereno: probabilmente questo è proprio il momento giusto».

Il forte carattere, l’indipendenza di pensiero (spinta all’estremo parecchie volte), la capacità di affrontare di petto, nel bene e nel male, ogni situazione, sempre con coraggio e voglia di giocare e vincere sono il filo conduttore della tua lunga carriera…

«Quando ho iniziato all’oratorio non pensavo certo di fare il giocatore professionista, invece ho passato anni fantastici, mi sono divertito, ho guadagnato. Chiudo soddisfatto una lunga, intensa e soddisfacente parentesi dedicata al basket: da domani farò il general manager alla Bakery continuando a rappresentare il basket a Sport24 di Sky. Il basket è la mia vita. Mi è sempre piaciuto da matti, ogni volta come se fosse il primo giorno, stare su un parquet con la palla in mano. Mi conosci bene, ho sempre tenuto lo stesso atteggiamento senza mollare mai».

Nella due stagioni vissute all’Assigeco Casalpusterlengo, dal 2006 al 2008, hai vinto la Summer Cup e la Coppa Italia di A Dilettanti sfiorando solo la promozione in LegaDue: come è stato il “ritorno a casa”?

«Più che le vittorie, a caratterizzare nei miei ricordi il periodo al “Campus” è il piacere di essere tornato nella mia città natale, rivedere e abbracciare tanti amici. Sono stati anni molto belli, sono stato orgoglioso di aver fatto parte dell’Assigeco. Il campionato? Avremmo potuto vincerlo. Mi è rimasto il rammarico di non averlo fatto: sai che bello sarebbe stato salire in LegaDue a Codogno? Questo non toglie però nulla ai bei ricordi delle annate in rossoblu».

A Piacenza hai iniziato nel 1982 il cammino da professionista, dopo la trafila nelle giovanili della Fulgor Codogno, e sei tornato (2008/2010) per stimolarne la salita in LegaDue…

«Sono contento di aver contribuito a ridare entusiasmo all’ambiente. Non ho partecipato personalmente al salto in LegaDue, però ci ho messo molto di mio nei due campionati di fila vinti per salire in A Dilettanti (quello di C senza mai perdere un solo incontro, nda). Il patron della Bakery Marco Beccari è stato travolto dalla passione proprio grazie all’Ucp».

Lunga carriera, tanti coach: chi ti ricordi di più?

«A parte Luigi Grazioli (che ebbe il merito di strapparlo al calcio, nda) Angelo e Giuseppe Bortoloni e Maurizio Fiorani, i miei allenatori alla Fulgor, devo moltissimo a tanti coach da Massimo Masini, “Cacco” Benvenuti e Franco Gramenzi fino a Paolo Piazza. Ho avuto un rapporto travagliato con parecchi allenatori, ma ho sempre giocato sotto tutti con lealtà e voglia di vincere».

La notizia del tuo ritiro sarà stata accompagnata da una valanga di messaggi...

«Tanti sms, mail, telefonate da parte di amici, tifosi, appassionati: mi sono emozionato parecchio. A Sky mi hanno dedicato a sorpresa un servizio lungo e molto bello».La giusta chiosa alla tua carriera.

Ciao SuperMario, grazie per averci fatto sognare e rimanere giovani seguendo le tue avventure per così tanti anni. D’ora in poi per tanti di noi il basket non sarà più lo stesso.

Luca Mallamaci/Il Cittadino di Lodi