Il logo dei Pittsburgh Pipers

Il logo dei Pittsburgh Pipers

Il nostro percorso tra le franchigie della ABA inizia nella Steel City parlando di una delle più talentuose dei primi anni, andata poi in rapido declino per scelte societarie alquanto rivedibili. Ma andiamo con ordine. E’ l’inverno del 1967 quando Gabe Rubin, proprietario di alcuni teatri nella città di Pittsburgh diventa il primo azionista di una cordata che creerà i Pipers, messi immediatamente nelle mani di coach Vince Cazzetta, ex allenatore di Seattle University e University of Rhode Island. Il roster aveva la sua stella in Connie Hawkins, giocatore coinvolto al primo anno della Iowa University in un caso di corruzione, in cui venne accusato di aver preso dei soldi per truccare alcune partite, nonostante nulla fu effettivamente provato. Hawkins venne cacciato dal college e inserito nella lista nera della NBA, andò allora a giocare con la maglia dei Pittsburgh Reinassance della defunta American Basketball League per un paio di anni e in seguito viaggiò per gli States con gli Harlem Globetrotters, fino alla chiamata di Rubin e Cazzetta. Tanti soldi, la possibilità di giocare per un team professionistico, insomma un’offerta non rifiutabile. Sin dalla prima partita divenne l’ala di riferimento della lega intera: un giocatore creativo e spettacolare che, grazie a lunghe leve ed enormi mani, aveva un controllo perfetto della palla tra i polpastrelli e, volando spesso sopra il ferro, divenne rapidamente l’MVP della lega, come miglior marcatore con 26.8 punti a cui aggiungeva 13.5 rimbalzi e 4.6 assist. Al suo fianco ben figuravano Charlie Williams, point guard prolifica da oltre 20 punti e 5 rimbalzi a partita che si trovò in passato in una situazione simile a quella di Hawkins e venne “bannato”dalla NBA, Chico Vaughn, shooting guard esperta con trascorsi tra Hawks e Pistons e Art Heyman, Blue Devil preso nel corso della stagione dagli Americans, ala piccola versatile e combattiva, fondamentale sui due lati del campo grazie a 20 punti, 7 rimbalzi e 4 assist di media. Grazie a questo nucleo, Cazzetta riuscì ad orchestrare il miglior attacco dell’intera ABA e ad ottenere ben 54W, il miglior record della lega, e il premio di coach dell’anno. La cavalcata ai playoff fu inizialmente agevole: 117 punti segnati di media con Hawkins incontenibile nel netto 3-0 ai Pacers e nel 4-1 ai diretti rivali di Minnesota, fino alla finale contro i New Orleans Buccaneers, sorprendentemente in salita con i Bucs in vantaggio 3-2 con gara-6 da disputarsi a New Orleans. Connie prese la squadra sulle spalle e con una grande prova ripetuta poi davanti agli 11.457 spettatori della Pittsburgh Civic Arena, i Pipers riuscirono a vincere il titolo e Hawkins fu eletto meritatamente MVP dei playoff con 30 punti, 12 rimbalzi e 4 assist di media.

Ma la storia d’amore tra i Pipers e Pittsburgh andò in rapido declino. Infatti, poche settimane dopo i festeggiamenti per la vittoria finale, Bill Erickson divenne azionista di maggioranza e da uomo di affari di Minneapolis decise di spostare la franchigia nel Minnesota prendendo il posto dei Muskies che con sempre meno seguito si erano spostati a Miami. Una scelta incomprensibile, a Pittsburgh i Pipers godevano di un seguito medio di oltre 3000 spettatori a serata con apici sopra i 10 mila nel corso delle partite più importanti, mentre a Minneapolis fu un fiasco totale. Sul rettangolo di gioco Hawkins divenne ancor più prolifico viaggiando costantemente sopra i 30 punti di media con 11 rimbalzi e 4 assist, ma fu limitato da un infortunio al ginocchio che gli fece saltare oltre 40 partite; stesso discorso per Williams, Vaughn e Heyman fermi per decine di partite per problemi fisici. A questa situazione contribuì in parte anche il nuovo coach Jim Harding che prese il posto di Cazzetta, deluso dal cambio di location che avrebbe stravolto le abitudini della sua grande famiglia (moglie e 6 figli), e spinse i propri giocatori fino allo stremo con estenuanti allenamenti e scarsi tempi di recupero. A metà stagione Harding e Rubin vennero addirittura alle mani dopo una furiosa lite, il coach fu licenziato in tronco e Gus Young subentrò nel ruolo, non riuscendo però a risollevare le sorti della franchigia con il record che fu ampiamente negativo (36W-42L) per l’ultimo posto disponibile ai playoff, utile per essere eliminati al 1° turno in 7 gare dai Floridians, proprio la squadra che pochi mesi prima aveva abbandonato Minneapolis. Senza pubblico e in crisi di gioco, i Pipers tornarono a testa bassa a Pittsburgh senza il loro leader Hawkins che abbandonò la comitiva con destinazione Phoenix Suns, dopo la decisione della NBA di togliere il veto sul suo approdo. In questo difficile contesto, complice anche l’infortunio al ginocchio di Williams che viaggiava a quasi 20 punti di media, i Pipers crollarono ulteriormente vincendo appena 29 partite a fronte di 55 sconfitte con il pubblico locale che, ancora infuriato dall’affronto dell’anno precedente, non presenziava alle sfide interne. Gli unici motivi di interesse nel grigiore collettivo furono i due rookie John Brisker, miglior marcatore di squadra con 21 punti e 6 rimbalzi a partita e George Thompson, point guard rapida e pericolosa al ferro in uscita da Marquette di cui fu leader all-time per punti segnati fino al 2009, e autore di una stagione da 13 punti e 44% al tiro, in aggiunta al centro Mike Lewis, lottatore in area con 13.5 rimbalzi e 16.2 punti di media.


Indice “DailyBasket Focus – ABA History”
Puntata 1 – La nascita e i primi passi
Puntata 2 – Tra difficoltà economiche e la fine delle ostilità


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