American Basketball Association Logo

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Nell’articolo precedente abbiamo parlato dei primi passi mossi dalla American Basketball Association, evidenziando anche le tante problematiche di tipo economico, a cui si cercò più volte di porre rimedio tramite un accordo con la NBA, un armistizio che sembrava cosa fatta tra il 1970/71, quando i proprietari NBA si erano detti favorevoli ad una fusione tra le due leghe ed erano pronti a mettere nero su bianco. Purtroppo a causa della Oscar Robertson suit, aperta dall’associazione dei giocatori NBA con a capo proprio “The Big O”, l’accorpamento tra le due leghe fu bloccato per motivi di antitrust, in quanto i giocatori volevano porre fine a molte restrizioni e clausole che limitavano il potere decisionale dei free agent e nemmeno l’intervento del Senato fu utile a mediare tra le parti.
A causa del mancato accordo e del perpetuarsi delle difficoltà economiche, si arrivò nell’autunno del 1975 con soli 9 team rimasti, con i Denver Nuggets e i New York Nets che tentarono l’accesso nella NBA, venendo però fermati da una decisione del tribunale e facendo così aumentare il rancore tra i vari proprietari. Quella fu la prima goccia che fece traboccare il vaso, ponendo sempre più pressione sui club in difficoltà e fu così che i Baltimore Claws non riuscirono a trovare fondi sufficienti e abbandonarono nel corso della pre-season, seguiti pochi mesi dopo anche dai San Diego Sails che, oltre ad un calo repentino del pubblico, vennero a conoscenza del fatto che nel caso di una fusione con la NBA non sarebbero stati inclusi in quanto Jack Cooke, l’allora proprietario dei Lakers, non voleva competizione nella California del sud. Assieme a loro anche gli Utah Stars, una delle franchigie più vincenti nei primi anni ’70, furono costretti ad abbandonare a novembre inoltrato quando il proprietario Bill Daniels rimase al verde nella fallita campagna elettorale per diventare Governatore del Colorado e la lega si ridusse così ad un confronto a 7, con seguente eliminazione delle division. Proprio nel corso dell’ultima stagione al consueto All Star Game andò in scena per la prima volta anche un evento che da lì in poi prese sempre più piede, lo slam dunk contest (introdotto nella NBA solo dal 1984).
“Eravamo seduti in ufficio cercando un modo per attirare sempre più l’attenzione del pubblico, eravamo in guai seri e sapevamo che sarebbe stato l’ultimo anno della ABA, così dovevamo andarcene col botto e l’All Star Game sarebbe stato il nostro canto del cigno per mostrare al tutto il mondo, NBA compresa, che avevamo grandi giocatori, grandi idee e che il nostro prodotto valeva la pena di essere considerato”, il commento di Carl Sheer, executive dei Nuggets e promotore dell’evento che fu vinto da Julius Erving in una sfida avvincente contro David Thompson davanti ai 17.798 spettatori della nuovissima McNichols Arena di Denver (casa dei Nuggets fino al 1999).

I debiti di molte altre franchigie incrementarono nel corso della stagione e anche i Virginia Squires (campioni ABA nel 1969 come Oaks) furono costretti a dichiarare il fallimento a maggio. Rimasero così solo 6 squadre, pronte a giocarsi prima la vittoria, che andò ai Nets per 4-2 sui Nuggets, poi l’imminente fusione, che si concretizzò solo nel giugno del 1976 grazie al commissioner Dave DeBusschere (ex stella dei Knicks campioni NBA e in seguito anche GM dei Nets), ma non andò come tutti auspicavano.
Anzitutto non ci fu posto né per i Kentucky Colonels né per gli Spirits of Saint Louis e la NBA mostrò tutto il suo rancore accumulato in queste 9 stagioni di battaglia trattando i 4 nuovi team nel peggiore dei modi: una spesa di 3.2 milioni di dollari come tassa di espansione (nonostante si trattasse di una fusione), nessun incasso dalle emittenti televisive per i primi 3 anni e nessun riconoscimento di alcun record ABA. Queste condizioni azzopparono subito i Pacers che riuscirono a sopravvivere grazie ad una raccolta fondi tramite maratona TV utile anche ad incrementare il proprio seguito tra i fan, mentre per i Nets la situazione divenne drammatica: infatti furono aggiunti anche 4.8 milioni di dollari da pagare per aver invaso il territorio newyorkese e furono costretti a vendere Julius Erving concludendo la prima stagione post fusione con il peggior record della lega (appena 22W a fronte di 60L), prendendo la decisione di spostarsi nel New Jersey a partire dall’ottobre del 1977. Ben più positivo l’impatto per i Denver Nuggets e i San Antonio Spurs, con la squadra del Colorado capace di vincere la Midwest Division per due anni in fila e con la squadra texana, mai in grado di passare un turno di playoff ABA, che portò a casa 5 titoli divisionali nei primi 7 anni, approdando 3 volte alle finali di Conference grazie anche al contributo di George Gervin: “Sono grato alla ABA perché mi ha dato l’opportunità di diventare un giocatore professionista e sono grato ad ogni altro ragazzo della ABA che come me aveva qualcosa da dimostrare e qualche culo da riempire di calci… e lo abbiamo fatto”.
Una fusione fondamentale anche per rilanciare l’immagine e l’interesse per la pallacanestro in tutto il mondo anche perché nella prima metà degli anni ’70 si erano susseguiti i ritiri dei grandi simboli del gioco come Wilt Chamberlain, Jerry West, Oscar Robertson, Elgin Baylor, e i tanti ragazzi provenienti dalla ABA portarono talento e rinnovato interesse stravolgendo gli equilibri consolidati: nella top10 dei migliori marcatori della stagione 1976/77 quattro di loro erano giocatori ABA (Billy Knight fu 2° con 26.6 punti, David Thompson fu 4° con 25.9 punti, George Gervin 9° con 23.1 punti e Dan Issel 10° con 22.3), come leader assoluto di recuperi e assist a partita fu nientemeno che una guardia dei Pacers, Don Buse (3.47 e 8.5 a partita), nella top5 a rimbalzo vi furono Moses Malone (13.1) e Artis Gilmore (13), quest’ultimo anche tra i migliori stoppatori con 2.5 a incontro, fino a Tom Nissalke (coach dell’anno ABA a Dallas nel 1972) che fu eletto coach of the year proprio nel 1977 agli Houston Rockets.

E sebbene la fusione tra due leghe fu un procedimento necessario, c’è chi ancora rimpiange quei periodi e quei momenti, come Doug Moe (qui sopra nella foto), giocatore in molte franchigie ABA e in seguito anche head coach di Spurs e Nuggets: “Una delle più grandi delusioni della mia vita fu di andare nella NBA dopo la fusione. La lega non era gestita bene, molti giocatori se ne stavano in disparte pensando di essere troppo bravi per allenarsi e giocare seriamente. L’All Star Game poi era qualcosa di poco rilevante, i ragazzi nemmeno volevano giocarlo e i tifosi erano poco interessati. Solo negli anni ’80 quando Stern divenne commissioner la NBA tornò sui propri passi e adottarono molte innovazioni tratte dalla nostra lega. Ora la NBA è come la vecchia ABA, i giocatori giocano duro, mostrano entusiasmo e remano tutti nella stessa direzione”.


Indice “DailyBasket Focus – ABA History”
Puntata 1 – La nascita e i primi passi
Puntata 2 – Tra difficoltà economiche e la fine delle ostilità


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