Iniziamo oggi su DailyBasket un nuovo appuntamento fisso, che avrà cadenza mensile (o almeno lo speriamo). Cos’è Busts&Steals? Semplificando, all’interno del mondo del Draft NBA, un bust è un giocatore che, a dispetto delle alte aspettative su di lui nel momento in cui viene scelto, fallisce poi (più o meno) clamorosamente sul campo, scomparendo in tempi (più o meno) brevi dal panorama NBA. Uno steal invece è, per certi versi, l’esatto contrario: un giocatore su cui, al momento del draft, nessuno avrebbe puntato un centesimo e che poi, spesso sfruttando occasioni e situazioni propizie per mettere in mostra il suo talento, stupisce tutti costruendosi un ruolo (talvolta di primo piano) nella Lega. Insomma, il draft non è una scienza esatta, è risaputo, ma proprio qui sta il suo fascino.

Ripercorreremo quindi la storia di quindici draft recenti alla ricerca di busts e steals: che fine hanno fatto le prime scelte sparite quasi subito dai parquet NBA? E chi sono quei giocatori che invece, scelti al secondo giro ed entrati nella Lega in punta di piedi, ne sono poi diventati protagonisti? È questo lo scopo di questa rubrica, che inizierà, qui sotto, con il Draft 1998. Buon divertimento!

Draft 1998

draft98In generale non è stato un draft molto ricco di talento, quello del 1998, anche se qualche scelta al primo giro si è poi rivelata di alto o altissimo livello, come Dirk Nowitzki (n. 9), Paul Pierce (n. 10), Vince Carter (n. 5), Antawn Jamison (n. 4) e Mike Bibby (n. 2), ma anche Jason Williams (n. 7), Larry Hughes (n. 8), Bonzi Wells (n. 11), Al Harrington (n. 25) e Ricky Davis (n. 21).

1º giro

Flop totali: sono scomparsi dalla NBA

1. Michael Olowokandi (C, 213 cm, Los Angeles Clippers)
Semplicemente uno dei più grandi flop della storia del draft. Non ancora cestisticamente maturo al momento della scelta, ma con notevoli (si presumeva) margini di miglioramento (e soprattutto con un bel corpaccione da piazzare a centro area), non ha mai soddisfatto le speranze che si avevano su di lui. Visto brevemente anche alla Virtus Bologna durante il lockout del 1998, ha poi giocato cinque stagioni ai Clippers con medie non particolarmente esaltanti per una prima scelta assoluta: la sua migliore annata (l’ultima ai Clippers, nel 2002/2003) è stata chiusa a 12,3 punti, 9,1 rimbalzi e 2,2 stoppate, ma giocando solo 36 partite per alcuni guai fisici. Gli infortuni hanno continuato a tormentarlo anche a Minnesota (due stagioni e mezza con cifre ancor più mediocri) e poi a Boston (una e mezza con cifre irrisorie); dopodiché, non ha più trovato posto nella NBA, ritirandosi a soli 31 anni. Le sue finanze sono state praticamente prosciugate dalla ex moglie Suzie Ketcham dopo la separazione.

Robert Traylor in tutta la sua ampiezza (Foto: espn.com)

Robert Traylor in tutta la sua ampiezza (Foto: espn.com)

6. Robert Traylor (PF, 203 cm, Dallas Mavericks)
Famoso soprattutto per i suoi 140 kg (quando andava bene) e per essere stato immediatamente scambiato da Dallas a Milwaukee in cambio del futuro MVP Dirk Nowitzki, il Trattore, dopo sette stagioni in NBA tra Bucks, Cavaliers e Hornets (a 4,8 punti e 3,7 rimbalzi), nel 2005 è andato a giocare a Vigo, nella seconda serie spagnola, per poi passare alla lega portoricana, con brevi apparizioni anche in Messico, Turchia e Italia (7 partite a Napoli nel 2009), prima di morire per infarto nel maggio 2011 proprio a Puerto Rico.

13. Keon Clark (PF-C, 211 cm, Orlando Magic)
Questo strepitoso atleta è stato rovinato dalla sua vita fuori dal campo di gioco: nel 2007, arrestato per possesso di droga, detenzione illegale di arma da fuoco e guida con patente scaduta, e condannato a 30 mesi di carcere, ha dichiarato di essere un alcolista e di non aver mai giocato una partita NBA da sobrio, bevendo addirittura di nascosto negli intervalli tra secondo e terzo quarto. Alcool o no, nei suoi sei anni in NBA (8,2 punti, 5,9 rimbalzi e 1,6 stoppate a gara) ha girato quattro squadre (Denver, Toronto, Sacramento e Utah) prima di essere ceduto ai Suns. A Phoenix però non ha giocato nemmeno una partita, essendo stato subito tagliato una volta emersi i suoi problemi extracestistici, che sono addirittura peggiorati una volta conclusa la carriera, dato che nel 2013 è stato condannato a otto anni di carcere per possesso illegale di armi.

16. Bryce Drew (PG, 191 cm, Houston Rockets)
Dopo una buona carriera a Valparaiso, culminata con il famoso episodio del tiro della vittoria contro Mississippi sulla sirena (conosciuto semplicemente come “The Shot”), Drew è stato scelto piuttosto in alto dagli Houston Rockets, in cui, diciamo, non ha proprio brillato (due stagioni da 5 punti in 16 minuti a gara). Ceduto ai Bulls e poi agli Hornets, dopo sei stagioni NBA alquanto mediocri (4,4 punti e 2,2 assist) ha passato un altro mediocre anno tra Italia, a Reggio Calabria, e Spagna, a Valencia, prima di tornare al suo college d’origine come assistente allenatore (dal 2011 ha preso il posto di suo padre come capo allenatore).

18. Mirsad Turkcan (PF, 206 cm, Houston Rockets)
Solo una breve apparizione nella NBA per questa ala turca specialista dei rimbalzi, nella stagione 1999/2000, con sette partite a New York e dieci a Milwaukee, per un totale di 1,9 punti e altrettanti rimbalzi a gara. Dopodiché, ha girato l’Europa: Paris Basket Racing, CSKA e Dinamo Mosca, Montepaschi Siena, per poi tornare in Turchia (prima della NBA aveva giocato per otto anni nell’Efes Pilsen) a chiudere la carriera: dopo una stagione al Trabzonspor è passato al Fenerbahçe, dove è rimasto per sei stagioni (vincendo quattro campionati) prima di ritirarsi nel 2012. Ha anche vinto un argento mondiale con la Nazionale turca, nel 2001.

20. Roshown McLeod (F, 203 cm, Atlanta Hawks)
Ala piccola senza nemmeno una parvenza di tiro da fuori, dopo una prima stagione difficile ad Atlanta (4,8 punti in 10 minuti circa), è salito lentamente di livello fino ai 9,9 punti del 2000/2001, prima di essere ceduto a Philadelphia, dove però ha giocato una sola gara. È stato quindi ceduto a Boston, dove però non ha nemmeno messo piede in campo a causa di un grave infortunio che ne ha chiuso anzitempo la carriera; nei suoi tre anni in NBA non è comunque mai andato oltre le 44 gare in una singola stagione. Dal 2002 al 2010 ha fatto l’assistente in NCAA, prima alla Fairfield University e poi alla Indiana University, per poi passare alla St. Benedict’s Preparatory School, dove è rimasto una sola stagione.

Felipe Lopez e Mike Bibby, le due prime scelte dei Grizzlies nel 1998 (Foto: sotsg.com)

Felipe Lopez e Mike Bibby, le due prime scelte dei Grizzlies nel 1998 (Foto: sotsg.com)

24. Felipe Lopez (SG-SF, 196 cm, San Antonio Spurs)
Considerato uno dei migliori talenti d’America quando era al liceo, la sua carriera non è stata di sicuro all’altezza delle aspettative che si avevano su di lui. Scelto dagli Spurs ma subito mandato ai Grizzlies (all’epoca ancora a Vancouver), questa guardia di Santo Domingo ha iniziato fin da subito a fare il giramondo. Dopo un discreto esordio (9,3 punti in quasi 26 minuti d’impiego) e un mediocre secondo anno in Canada, è stato ceduto prima a Washington e subito dopo a Minnesota. Dopodiché, non è più riuscito a trovare spazio nella NBA e ha ripiegato su squadre di tutte le parti del mondo: dalle leghe minori americane alla Germania, dalla Spagna (seconda serie) al Brasile, fino alla natia Repubblica Dominicana, dove ha chiuso la carriera nel 2008 non prima di riprovare, vanamente, a rientrare nella NBA: nel 2005 ha svolto qualche allenamento con Magic e Clippers, ma non è riuscito a ottenere un contratto; le sue cifre globali nella Lega parlano di 5,8 punti, 2,4 rimbalzi e 1 assist a gara. Dopo il ritiro ha costituito una Fondazione a scopo benefico ed è ambasciatore per NBA Cares.

26. Sam Jacobson (SG-SF, 193 cm, Los Angeles Lakers)
Solo tre stagioni nella Lega per questo specialista nel tiro dalla lunga distanza: una ai Lakers, una ai Warriors e l’ultima ai Timberwolves (4,2 punti e il 36% da tre per 68 partite in totale). Poi, un grave infortunio ai muscoli addominali e la nascita di una figlia con un serio problema cardiaco l’hanno tenuto lontano dal parquet fino al 2006, quando ha giocato 13 gare in Legadue, all’Andrea Costa Imola (15,3 punti e il 34% da tre), prima di essere tagliato e di finire la stagione, e la carriera, allo Cholet, in Francia.

27. Vladimir Stepania (C, 213 cm, Seattle Supersonics)
Primo georgiano nella storia della NBA, vi è rimasto per sei stagioni, ma lo spazio a sua disposizione è sempre stato minimo: a parte il secondo anno a Miami, al suo quinto in NBA (5,6 punti e 7 rimbalzi in 20 minuti), non è mai andato oltre i 13 minuti di impiego. Ha giocato due stagioni a Seattle, una ai Nets, due a Miami e l’ultima a Portland, nel 2004. I costanti problemi al ginocchio l’hanno portato a molteplici operazioni, ma dopo due anni di vani tentativi di riabilitazione è stato costretto ad arrendersi e ad annunciare il suo ritiro dal basket giocato. Dopo il ritiro, ha fondato la Silk Road Flavors, una società di importazione di generi alimentari coltivati in Ucraina, Georgia, Turchia e Spagna.

28. Corey Benjamin (SG-SF, 198 cm, Chicago Bulls)
Guardia-ala atletica ma senza molto tiro da fuori, è durato quattro anni (non consecutivi) nella NBA, tre a Chicago e uno ad Atlanta (2003). Le sue cifre totali dicono 5,5 punti in 14,3 minuti (la seconda è stata la sua annata migliore, da 7,7 punti). Tra l’esperienza ai Bulls e quella agli Hawks ha girovagato per le minors americane, ma poi ha preferito emigrare, passando per Francia, Cina, Venezuela, Puerto Rico, Portogallo e Corea del Sud, dove ha giocato la sua ultima stagione nel 2008. Celebre, suo malgrado, il video in cui, ai tempi dei Bulls, il già ritirato Michael Jordan si faceva beffe di lui in 1vs1, spiegandogli prima i movimenti con cui lo avrebbe battuto azione dopo azione.

Mezze delusioni: hanno reso molto meno del previsto

3. Raef LaFrentz (PF-C, 211 cm, Denver Nuggets)
Intendiamoci, questo lungo bianco e tiratore non è stato un pessimo giocatore, ma di sicuro da una terza scelta era lecito aspettarsi molto di più, anche considerando il fatto che nello stesso draft è stato scelto Dirk Nowitzki, giocatore dalle caratteristiche per certi versi simili, alla nona posizione. Scelto da Denver dopo una carriera spettacolare a Kansas, finché è rimasto in Colorado ha avuto cifre discrete (13,2 punti, 7,7 rimbalzi, 2,2 stoppate e il 37% da tre in totale). Poi, complici alcuni infortuni, iniziati in realtà già nella stagione da rookie (solo 12 gare giocate), è cominciato il declino, prima a Dallas (una stagione e mezza attorno ai 10 punti a gara in cambio di un contratto da 70 milioni in sette anni), poi a Boston (tre stagioni di cui solo una in doppia cifra) e infine a Portland, dove è rimasto due stagioni in cui ha messo piede in campo solo 66 volte, producendo la miseria di 2,5 punti e 2,1 rimbalzi in meno di 10 minuti a gara. Dopo il ritiro, ha acquistato una fattoria in Iowa.

12. Michael Doleac (C, 211 cm, Orlando Magic)
Di livello notevolmente più basso di LaFrentz, ha la “scusante” di essere stato scelto dopo e di aver quindi suscitato meno aspettative. Nonostante questo, la posizione n. 12 a cui è stato scelto non è mai stata davvero onorata, dato che questo centro bianco con un discreto tiro dalla media non ha mai superato i 7 punti e 4,1 rimbalzi della sua seconda stagione a Orlando. Dopo tre anni in Florida ha girato per New York, Denver, Miami e Minnesota, sempre come “solido” elemento da rotazione (4,9 punti, 3,3 rimbalzi in 15 minuti a partita) e nulla più, ritirandosi nel 2008 dopo dieci anni di carriera. Oggi insegna fisica all’University of Utah, lo stesso college in cui ha giocato prima di entrare nella NBA.

14. Michael Dickerson (SG, 196 cm, Houston Rockets)
Non si può certo dire che questa talentuosa guardia da Arizona abbia fallito nella NBA, ma la sua carriera si è dovuta chiudere anzitempo a causa di una sfortuna tremenda. Dopo una buona stagione da rookie (quasi 11 punti a gara), viene ceduto da Houston a Vancouver in cambio di Steve Francis; in Canada Dickerson risponde alla grande con 18,2 punti, 3,4 rimbalzi e 2,5 assist. L’anno successivo le sue cifre calano lievemente; l’anno dopo ancora, la squadra si trasferisce a Memphis, ma Dickerson scende in campo solo dieci volte in due anni, per poi ritirarsi a causa di serissimi e persistenti infortuni a un tendine del ginocchio e all’inguine, a soli 28 anni. Dopo aver viaggiato per India e Tibet e aver provato a tornare in NBA nel 2008 (tagliato al training camp dai Cavs), si trasferisce in Spagna nel 2009 per motivi familiari (è cugino di Josh Fisher, ai tempi in forza al Gran Canaria) e prova di nuovo a tornare al basket giocato. Ottiene un contratto di un mese nella seconda serie spagnola, con il Faymasa Palencia, ma giocherà solo quattro partite senza accettare l’offerta di rinnovo da parte della società, ritirandosi definitivamente alla fine della stagione.

Pat Garrity ai tempi di Orlando (Foto: exnba.com)

Pat Garrity ai tempi di Orlando (Foto: exnba.com)

19. Pat Garrity (F, 206 cm, Phoenix Suns)
Lungo atipico con un ottimo tiro da fuori come unica arma, dopo una mediocre prima stagione ai Suns viene ceduto ai Magic, dove gioca discretamente i primi anni (fino agli 11,7 punti e 4,2 rimbalzi del 2001/2002), per poi perdere gradualmente spazio, sia a causa di un infortunio che gli ha fatto saltare l’intera stagione 2003/2004, sia, poi, per il ritorno sul parquet di Grant Hill, che gli ha inevitabilmente rubato spazio. Ha chiuso la carriera proprio a Orlando, dove ha trascorso nove dei suoi dieci anni in NBA; le sue medie parlano di 7,3 punti con quasi il 40% da tre in carriera, ma bisogna distinguere tra le sue prime cinque stagioni (9,1 punti) e le ultime cinque (3,8 punti). Oggi lavora nel campo della finanza dopo essersi laureato alla Duke University una volta ritirato.

2º Giro

Stelle a sorpresa: scelti per un colpo di genio (o di fortuna…)

32. Rashard Lewis (F, 208 cm, Seattle Supersonics)
Arrivato giovanissimo nella NBA, direttamente del liceo, dopo le prime due stagioni di assestamento (2,4 e 8,2 punti rispettivamente) è salito di livello in modo esponenziale, raggiungendo un massimo di 22,6 punti e 6,6 rimbalzi di media nel 2006/2007, terza stagione di fila sopra i 20. In quell’anno, dopo nove stagioni con i Sonics, è passato ai Magic, che lo hanno ricoperto d’oro (118 milioni in 6 anni). Non è mai diventato l’uomo franchigia che forse a Orlando si aspettavano, ma 14,9 punti, 5,2 rimbalzi e il 39% da tre in carriera, con due convocazioni all’All-Star Game (2005 e 2009) e un titolo vinto (da gregario) con Miami nel 2013 non è roba da poco per un giocatore scelto al secondo giro.

Rafer Alston sul suo "vero" campo di gioco, il playground (Foto: starshot.com)

Rafer Alston sul suo “vero” campo di gioco, il playground (Foto: starshot.com)

39. Rafer Alston (PG, 188 cm, Milwaukee Bucks)
Scelto dai Bucks, viene firmato solo un anno dopo (nel 1998/1999 gioca con gli Idaho Stampede nella CBA), ma non trova spazio nelle prime tre stagioni. Passa quindi a Toronto, dove inizia a mostrare lampi del suo potenziale. La stagione successiva, a Miami, raggiunge la doppia cifra media nei punti (10,2 con 4,5 assist); poi torna ancora ai Raptors, dove gioca la sua miglior stagione in carriera (14,2 punti, 6,4 assist e 3,5 rimbalzi), tanto che viene preso da Houston per diventarne il playmaker titolare. Nonostante i dubbi di molti addetti ai lavori, non è andato poi male: tre stagioni e mezza sempre in doppia cifra in maglia Rockets, e poi brevi esperienze con Magic, Nets e Heat. Nel 2011 firma per i cinesi del Zhejiang Guangsha, senza mai scendere in campo, e l’anno dopo gioca qualche partita in NBDL con i Los Angeles D-Fenders, prima di ritirarsi. La fama di Alston rimane comunque legata al mondo del basket di strada, dove è conosciuto come “Skip 2 My Lou”: è stato uno dei pochi streetballer a riuscire, in un certo senso, a sfondare nel mondo NBA (10,1 punti e 4,8 assist in undici anni di carriera tra i Pro non sono noccioline).

41. Cuttino Mobley (SG, 193 cm, Houston Rockets)
Questa guardia scelta dai Rockets al secondo giro ha stupito tutti fin dalla prima stagione, quando ha sfiorato la doppia cifra di media e i 30 minuti di impiego, raggiungendo poi i massimi in carriera al quarto anno, sempre a Houston, con 21,7 punti e quasi il 40% da tre. Ha poi giocato una stagione tra Orlando e Sacramento, prima di passare ai Clippers, dove è rimasto per quattro anni, prima di venire ceduto ai Knicks. Proprio a New York, però, finisce la sua carriera, senza nemmeno mettere piede in campo: lo staff medico riscontra infatti una cardiomiopatia ipertrofica, che gli impedisce di continuare a giocare tra i professionisti (è la stessa patologia che provocò la morte di Hank Gathers nel 1990 e di Reggie Lewis nel 1993). Chiude la carriera con 16 punti di media, più 3,9 rimbalzi, 2,7 assist e il 38% da tre. Qualche anno dopo si è vociferato di un suo possibile ritorno, forse in Europa, ma alla fine non se ne è fatto nulla, e Mobley ha preferito dedicare le sue risorse nella promozione della marijuana a scopo terapeutico. Il suo nome è poi tornato alla ribalta in estate, quando un filmato di lui in campo alla Drew League ha spopolato su YouTube.

Onesti mestieranti: si sono costruiti una (più o meno) solida carriera NBA

31. Ruben Patterson (SF, 196 cm, Los Angeles Lakers)
Scelto dai Lakers, ha iniziato la stagione 1998/1999 all’AEK Atene a causa del lockout, ma è tornato a Los Angeles quando la stagione è iniziata. Non ha però trovato molto spazio (24 partite e soli 6 minuti di media), anche se ha avuto il fegato di autodefinirsi “Kobe-stopper” durante gli allenamenti dei gialloviola. È quindi passato prima a Seattle, dove è rimasto due stagioni (in doppia cifra media nei punti, nonostante la sua caratteristica principale sia appunto la difesa), poi a Portland per quattro anni e mezzo (9,7 punti a partita). Dopo una breve esperienza a Denver, viene mandato ai Milwaukee Bucks, dove ha disputato forse la miglior stagione in carriera (14,7 punti, 5,4 rimbalzi e 2,9 assist) sfruttando i numerosi infortuni che hanno tenuto lontano dal parquet parecchi suoi compagni di squadra. Firma poi per i Clippers, dove però ha trovato pochissimo spazio, venendo tagliato già in dicembre per dare più spazio al rookie Al Thornton. Un po’ a sorpresa, la sua decennale carriera in NBA (chiusa con medie di 10,7 punti e 4,2 rimbalzi) finisce lì; si ritirerà definitivamente qualche mese più tardi, dopo un’esperienza con lo Champville in Libano.

33. Jelani McCoy (PF-C, 208 cm, Seattle Supersonics)
Miglior stoppatore della storia di UCLA, viene scelto dai Sonics senza troppe aspettative. In effetti nella sua stagione da rookie non brilla particolarmente (5,1 punti e 3 rimbalzi), e negli anni successivi non migliora granché, se escludiamo la stagione 2002/2003 a Toronto, da 6,8 punti e 5,3 rimbalzi. Nonostante la sua fama come stoppatore, non eccelle nemmeno in questo fondamentale, chiudendo la sua carriera con 0,7 stoppate a partita (più 4,6 punti e 3,5 rimbalzi); in ogni caso, pur con un profilo bassissimo, ha disputato otto stagioni nella Lega, tra Sonics, Lakers, Raptors, Cavs, Hawks e Nuggets; dopodiché ha girato mezzo mondo giocando in ABA, Cina, Italia, Ucraina, Spagna, Puerto Rico, Venezuela e Messico.

Jerome James ai tempi dei Sonics e il suo doppio nel 20XX, prima di venire tagliato dai Bulls (Foto: gabworthy.com)

Jerome James ai tempi dei Sonics e il suo doppio nel 2009, prima di venire tagliato dai Bulls (Foto: gabworthy.com)

36. Jerome James (C, 216 cm, Sacramento Kings)
Non propriamente un gran giocatore, anche se con un fisico incredibile (in gioventù), James è comunque riuscito a ritagliarsi un suo posticino nella Lega; posticino che poi è diventato una portaerei per riuscire a contenerlo. Scelto dai Kings, vi è rimasto solo un anno (passando con gli Harlem Globetrotters i mesi del lockout), andando successivamente al KK Buducnost in Serbia e all’Asvel in Francia, salvo poi tornare nella NBA nel 2001 a Seattle, dove non è comunque mai andato oltre i 5,4 punti e 4,2 rimbalzi a partita. Rimane memorabile la sua serie playoff 2005 contro San Antonio (12,5 punti e 6,8 rimbalzi), che gli è valsa un contrattone da 30 milioni in cinque anni ai New York Knicks (uno dei tanti errori di Isaiah Thomas); contrattone, ovviamente, mai debitamente ripagato sul campo: nella Grande Mela è rimasto per quattro stagioni, giocando 90 partite (di cui 4 nelle ultime due) a 2,5 punti e 1,8 rimbalzi di media. Ceduto a Chicago, dove non metterà mai piede in campo, chiuderà poi la carriera con sei stagioni a Puerto Rico, ma rimarrà famoso per uno dei contratti più improbabili della storia e per il peso raggiunto durante le sue stagioni a New York (quasi 140 kg), che gli valse il soprannome di “Big Snacks”.

Jahidi White nella sua nuova carriera post-cestistica

Jahidi White nella sua nuova carriera post-cestistica

43. Jahidi White (PF-C, 206 cm, Washington Wizards)
Uscito da Georgetown con statistiche non proprio esaltanti, viene scelto da Washington per il fisico e l’energia, con cui cerca di sopperire alla carenza di centimetri necessaria per giocare da centro. Nella capitale ha trascorso cinque stagioni (più una partita); poi è stato ceduto ai Suns e, nella stagione successiva, è stato scelto dai neonati Bobcats all’expansion draft. Firmato dai Cavs nel 2006, viene tagliato durante la preseason per problemi fisici che ne limitano la mobilità. Decide così di ritirarsi dopo sette anni di carriera in NBA, chiudendo con medie in carriera tutto sommato oneste per un giocatore scelto a metà del secondo giro: 5,9 punti, 5,8 rimbalzi, 1,1 stoppate in 17,7 minuti. Nel 2007 diventa produttore musicale e attore, vestendo i panni di un guerriero alieno nel film Alien vs. Alien prodotto da Sci Fi Channel. Da quel momento si sono perse le sue tracce.

44. Sean Marks (PF-C, 208 cm, New York Knicks)
Scelto da New York, primo neozelandese a giocare nella NBA, anche lui è riuscito a ritagliarsi faticosamente una sua nicchia nella Lega, anche se senza molto spazio a disposizione. Dopo le prime due stagioni a Toronto (1,4 punti in 13 partite totali), ha giocato un anno allo Slask Wroclaw in Polonia, per poi tornare in America a Miami (la sua migliore stagione nel 2001/2002 a 15,2 minuti di media, con 4,6 punti e 3,6 rimbalzi) e a San Antonio (con cui, in teoria, ha anche vinto il titolo nel 2005, seppur non proprio da protagonista). Dopodiché, due stagioni a Phoenix, due a New Orleans e una a Portland. Certo, non si può dire che abbia lasciato il segno nella Lega (2,8 punti e 2,2 rimbalzi in 9,9 minuti le sue medie), ma vi ha comunque passato undici stagioni. Ritiratosi nel 2011, è entrato nello staff degli Spurs e degli Austin Toros, e due anni più tardi è stato promosso ad assistente allenatore sempre agli Spurs, dove ha vinto il suo secondo titolo, nel 2014.

Greg Buckner nelle vesti di assistente allenatore ai Rockets (Foto: usatoday.com)

Greg Buckner nelle vesti di assistente allenatore ai Rockets (Foto: usatoday.com)

53. Greg Buckner (SG-SF, 193 cm, Dallas Mavericks)
Guardia con poco tiro da fuori ma buona attitudine difensiva e a rimbalzo nonostante l’altezza ridotta, si è costruito una discreta carriera a dispetto della posizione di scelta al draft: Dallas, Philadelphia, Denver (massimo in carriera i 6,7 punti della seconda annata in Colorado), ancora Dallas, Minnesota e Memphis le sue squadre nella NBA, in cui, dopo aver iniziato la carriera ai Grand Rapids Hoop nella CBA, ha giocato per dieci stagioni consecutive, mettendo assieme cifre tutto sommato dignitose (5 punti, 2,8 rimbalzi e 1,3 assist in 19,1 minuti). Ritiratosi nel 2009, nel 2011 è entrato a far parte del coaching staff dei Rockets.

55. Ryan Bowen (PF, 206 cm, Denver Nuggets)
Scelto da Denver, vi ha giocato per cinque stagioni (4,9 punti e 4 rimbalzi la sua miglior annata) per poi passare a Houston per due anni (meno di 10 minuti giocati a partita). Dopo una stagione passata in Europa tra Tau Vitoria e Ironi Naharyia (Israele), è tornato nella NBA, due anni con i New Orleans Hornets, contribuendo con quello che è sempre stato il suo lavoro: rimbalzi, gioco sporco e tanta intensità. Nell’estate 2009 i Thunder lo firmano per un anno, ma lo tagliano a fine novembre; poco dopo decide di ritirarsi, chiudendo i suoi dieci anni in NBA con 2,6 punti e 2,1 rimbalzi in 12,8 minuti di media. Diventa prima video coordinator di quello che era stato il suo college, Iowa, e poi, nel 2011, assistente allenatore ai Denver Nuggets, passando ai Kings due anni dopo; nell’estate 2015 è tornato a Denver, seguendo coach Mike Malone.

58. Maceo Baston (PF-C, 208 cm, Chicago Bulls)
Chiamato per ultimo, dai Chicago Bulls, non viene firmato e va a giocare prima nella CBA, poi in Italia (a Montecatini) e in Spagna (Joventut Badalona). Assaggia quindi la NBA a Toronto per 16 gare (2,5 punti e 1,4 rimbalzi in 6,6 minuti) prima di tornare in Europa, al Maccabi Tel Aviv, di cui è stato una delle colonne portanti per tre stagioni (vincendo due volte l’Eurolega). Torna quindi in NBA, prima ai Pacers, poi ai Raptors, e infine di nuovo ai Pacers. Invitato al training camp dei Pistons nel 2009, viene tagliato prima dell’inizio della stagione e passa il successivo anno e mezzo giocando qualche partita tra Ucraina, Spagna e Israele. Insomma, non una carriera sfolgorante, ma 2,7 punti e 1,7 rimbalzi in quattro stagioni nella Lega (più due Euroleghe vinte da protagonista) non sono poi male per uno scelto per ultimo al secondo giro. Oggi ha una pasticceria specializzata in cupcake a Detroit.

Curiosità

Nel draft del 1998, al secondo giro, sono stati scelti tre giocatori che poi avrebbero fatto parte della storia recente dell’Olimpia Milano: Ansu Sesay (n. 30), Casey Shaw (n. 37) e DeMarco Johnson (n. 38).

J.R. Henderson, alias J.R. Sakuragi (Foto: rappler.com)

J.R. Henderson, alias J.R. Sakuragi (Foto: rappler.com)

J.R. Henderson, ala da UCLA scelta dai Grizzlies con il n. 56, ha giocato a Vancouver 22 partite e poi ha iniziato a fare il giramondo (minors americane, Francia, Venezuela, Puerto Rico e Giappone). Proprio in Giappone è diventato una star e ha deciso di stabilirsi, prendendo la cittadinanza e cambiando il suo nome in J.R. Sakuragi, ispirato al celebre protagonista del manga Slam Dunk; gioca ancora e fa parte della Nazionale giapponese.

Sono ben dieci i giocatori scelti al draft del 1998 ad aver vinto almeno un titolo NBA; pochi, però, l’hanno fatto da protagonisti (Dirk Nowitzki, Paul Pierce), o anche solo come solidi comprimari (Radoslav Nesterovic), la maggior parte era semplicemente un membro più o meno utilizzato della rotazione (Michael Doleac, Tyronn Lue, Nazr Mohammed, Rashard Lewis, Jelany McCoy, Sean Marks, Tremaine Fowlkes).