Paul George (Photo by Ron Hoskins/NBAE via Getty Images)

Paul George (Photo by Ron Hoskins/NBAE via Getty Images)

Dopo la celebrazione in memoria di Martin Luther King, ci permettiamo di prendere in prestito la sua celebre frase, anche se per scopi meno nobili: “I have a dream”. Fa caldo, siamo a giugno all’interno della Bankers Life Fieldhouse per gara 6 delle Finals, si sente la sirena finale e i coriandoli giallo-blu scendono dal soffitto.

Ecco, diciamo che la fantasia finora è stata tanta, ma è davvero così improbabile vedere gli Indiana Pacers arrivare al titolo in pochi anni? La strada intrapresa sembrerebbe quella giusta e gli ostacoli saranno tanti, ma non corriamo troppo, non siamo qui a parlare del futuro, bensì del presente. Nello stato dell’Indiana la stagione è iniziata con un cauto ottimismo vista la reputazione di possibile contender a est guadagnata dalla squadra di casa. Il draft ha un po’ deluso (Miles Plumlee così in alto non è stata una mossa azzeccatissima) ma il mercato sembra aver tappato una delle lacune della passata stagione cioè la mancanza di punti da parte di quelli che escono dalla panchina. Questo buco però si riapre improvvisamente e diventa una voragine dopo l’infortunio di Danny Granger al ginocchio. Il capitano dei Pacers è costretto a star fuori più di tre mesi e l’inizio di stagione diventa un incubo per Indiana che si ritrova 3-6 dopo le prime nove gare. Come se non bastassero le diverse sconfitte, nella testa di Vogel sorgono tanti quesiti.

Infatti, non si riesce a trovare qualcuno capace di sostituire Granger nel quintetto base, prima viene provato Gerald Green ma le garanzie offerte non sembrano sufficienti e anche i risultati di squadra non brillano. Successivamente è il turno di Sam Young che garantisce più difesa ma, con lui da titolare, arriva uno 0-3 e il conseguente obbligo a far giocare Paul George da guardia non sembra convincere nessuno. A questo punto si prova con un giocatore che è nato pronto (il soprannome infatti è “born ready”) ma che, fino a questo momento, non l’aveva mai dimostrato: Lance Stephenson. Con lui in quintetto la squadra sembra avere più equilibrio, lo dimostra la vittoria contro Washington ma i problemi continuano ad essere in attacco. L’episodio chiave è nella gara contro Toronto che, nonostante segni solo cinque punti nell’ultimo periodo, vince di due (74-72) con Indiana che difende alla grande ma non segna (ventinovesima per punti segnati in quel momento). Tutto questo perché le percentuali sono piuttosto basse, le palle perse sono troppe, così come troppo pochi sono i rimbalzi offensivi catturati e i viaggi in lunetta. Inoltre Roy Hibbert, su cui si era puntato fortemente in estate, sembra essere un altro giocatore rispetto alla passata stagione, pochi punti, basse percentuali, pochi tiri liberi guadagnati e troppo soft a rimbalzo (più o meno i problemi che poi si riscontrano nell’intera squadra). Il giocatore dominante dell’anno scorso sembra essere sparito. I problemi del lungo dei Pacers sono probabilmente dovuti all’infortunio al polso destro accusato gli scorsi playoffs, tant’è che lui stesso dichiara di sentire il polso ancora debole. Questo ha condizionato particolarmente il pivot che aumenta i tentativi dalla media distanza (25% la passata stagione) preferendoli agli “hook” shot (62% l’anno scorso). Non una grande idea visto che, comunque, le percentuali dalla media rimangono basse.

George Hill, Paul George, Roy Hibbert, Danny Granger, David West (AP Photo/Matt Slocum)

George Hill, Paul George, Roy Hibbert, Danny Granger, David West (AP Photo/Matt Slocum)

Dalla partita contro Toronto però, si ha una sorta di reazione dalla squadra e dal giocatore più atteso questa stagione che capiscono che possono e devono fare di più. Stiamo parlando di Paul George che finalmente sembra aver fatto lo step tanto atteso. Il prodotto di Fresno State schierato finalmente da ala piccola inizia improvvisamente a giocare partite straordinarie aumentando percentuali, rimbalzi e assist di media e battendo anche un record di franchigia (contro gli Hornets segna 9 triple superando nientemeno che Reggie Miller). George inizia a mettere su cifre da All-Star (20.1 pts a partita più 8.6 reb) e di conseguenza i Pacers cominciano a vincere. Ma non è tutto. Oltreoceano si usa dire che l’attacco vende i biglietti e la difesa vince le partite, ed è proprio qui che George dà l’impressione di avere qualcosa in più rispetto agli altri. Il suo rendimento infatti non si ferma solo ai punti ma sul campo mostra anche un eccellente impatto difensivo, probabilmente il migliore swingman della lega nella propria metà campo. E per questo non può che essere gradito a coach Frank Vogel che chiede sempre di più ai propri giocatori su quel lato del parquet. Ed è grazie alla difesa (le statistiche al 22 gennaio dicono che la difesa dei Pacers è quella che subisce meno punti di tutte, 88.4 pts a gara, ed è quella che fa tirare peggio gli avversari concedendo solamente il 41.3% a partita) che inizia la risalita della squadra di Indianapolis che, dopo un inizio in sordina, vincono 22 delle successive 32 gare raggiungendo quello che è l’attuale terzo posto ad Est col record di 26-16.

Ma a cosa è realmente dovuto questo improvviso cambiamento di rotta? A parte le prestazioni di Paul George, una delle sorprese più liete è sicuramente Lance Stephenson (fino a quest’anno famoso soprattutto per il gesto del “choke” fatto a LeBron James durante gli scorsi playoffs). Il giocatore di Brooklyn ha impressionato parecchio non tanto per le cifre (comunque buone per la quarta/quinta opzione della squadra, 7.8 pts col 48% al tiro) quanto per la faccia tosta che ha dimostrato di avere (un newyorkese doc appunto), tant’è che coach Vogel ha già manifestato la propria stima nei suoi confronti perché sa che, quando c’è bisogno di prendere un tiro, lui è pronto a farlo senza paura.

Stephenson a inizio carriera sembrava poter essere un predestinato. Ai tempi dell’high school (ha frequentato la Abraham Lincoln di Brooklyn) era uno dei migliori playmaker in giro per la nazione a livello liceale) e dopo aver scelto di iscriversi alla University of Cincinnati è stato scelto dai Pacers al draft del 2010 con la scelta n°40. Purtroppo per lui fino all’anno scorso ha trovato spazio solamente durante il garbage time ma, anche grazie all’infortunio di Granger, in questa stagione è riuscito a ritagliarsi un ruolo maggiore, diventando un giocatore indispensabile per le rotazioni di Vogel. Una delle cose più apprezzabili di lui è il fatto che aggiunga playmaking alla squadra, cosa che i suoi predecessori nel quintetto non erano capaci di dare al team.

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Altre sorprese sono Ian Mahinmi che è capace di dare una grossa mano nei 16 minuti in cui sta in campo (5.3 pts, 3.9 reb), già diverse volte in campo nei finali specie nelle apparizioni più spente di Hibbert, e Orlando Johnson che, anche se finora poco impiegato, sta pian piano dimostrando di poter essere un buon giocatore da rotazione. Nessuna sorpresa invece per quanto riguarda Tyler Hansbrough capace di dare un energia pazzesca uscendo dal pino e dai titolarissimi David West e George Hill entrambi in grado di essere giocatori totali e con quella dose di esperienza che in un roster giovane spesso manca.

Danny Granger

Danny Granger

Quelli che hanno un po’ deluso sono invece Gerald Green e DJ Augustin. Il primo ha dimostrato di essere un giocatore da highlights e poco più (anche se qualcosa di buono l’ha fatta vedere, ci si aspettava di più) mentre il secondo è rimasto decisamente al di sotto delle aspettative (a un certo punto è stato anche retrocesso a terzo play a favore di Ben Hansbrough, fratello di Tyler) sbagliando spesso cose basilari ma ha talento e potrebbe ancora uscire dal clima negativo in cui è entrato nell’ultima disastrosa annata a Charlotte.

Il quesito che sorge ora è se e come cambierà il tutto con il rientro di Danny Granger. È stata più di un’idea quella di “tradare” il giocatore ma, visti i problemi fisici, a meno che non venga svenduto non si ricaverebbe granché, quindi ormai quell’ipotesi sembra da escludere. George ha dichiarato che l’unica cosa che cambierà sarà l’aumento dei suoi assist, e su questo ne siamo quasi certi visto che oltre a segnare e difendere sta spesso mettendo in ritmo anche i compagni. Magari Granger diventerà il sesto uomo perfetto che spacca le partite uscendo dalla panchina o magari condizionerà il rendimento di Paul George. Per avere certezze, ci potrà rispondere solo il campo. Ma in ogni caso per questa stagione, sembrano esserci i presupposti per ambire alla finale di conference. E una volta che si arriva a quel punto, “sky is the limit”…