schrempf nowitzkiQuando rock e basket si toccano e si intrecciano puoi essere solo in una città: Seattle. Negli anni Novanta il grunge rifiutava la palla a spicchi, ma ciò non impedì ai figli più longevi del movimento, i Pearl Jam, di amare visceralmente l’espressione più alta della pallacanestro cittadina, i Sonics di Gary Payton e Shawn Kemp che misero i brividi a Suà Ariosità, nonostante gli sberleffi di Kurt Cobain e consorte.

Dei “Sonic Boom”, come li ribattezzò la stampa dell’epoca, fu elemento imprescindibile anche il più grande giocatore tedesco dell’era pre nowitzkiana: Detlef Schrempf. Ala piccola versatile, dalla mano mortifera dalla lunga distanza, il natio di Leverkusen approda a Seattle nel 1993 dopo essere stato tra i primissimi non americani a sbarcare in Nba nel 1985, dividendo la prima parte della sua carriera tra Mavs e Pacers (dove “The Grand Teuton”, come lo chiamano a Indianapolis, è sesto uomo dell’anno nel ’91 e nel ’92). Resta per sei anni ai Sonics, nel corso dei quali si consacra definitivamente all’ombra di Payton e Kemp, tanto da essere convocato per ben tre volte all’All Star Game. La sua avventura nello stato di Washington, dove aveva anche frequentato high school e college, si chiude nell’estate del 1999, quando la dirigenza lo rilascia e lui si accasa poco più a sud, ai Blazers.

I Carissa's Wierd (foto: Ondarock.it)

I Carissa’s Wierd (foto: Ondarock.it)

Il 1999 è anche l’anno nel quale Matt Brooke e Jenn Ghetto, due ragazzoni dell’Arizona trapiantati da quattro anni a Seattle, danno alle stampe il disco di esordio dei Carissa’s Wierd: “Ugly But Honest: 1996-1999”. Il disco lo produce il loro amico Ben Bridwell, anche lui approdato a Seattle dall’Arizona, che ha da poco fondato una piccola casa discografica. Il loro rock malinconico e dilatato, con suggestioni country proprie delle loro terre di origine, testimonia l’evoluzione della furia iconoclasta del grunge, che come i grandi Sonics si va progressivamente spegnendo sotto la cenere del tempo.

La band ha buoni riscontri nell’underground, tanto che nel 2001, mentre Schrempf lascia il basket giocato dopo due stagioni anonime a Portland, la Sonic Boom (nomen omen), etichetta discografica di Seattle che già distribuisce Death Cab For Cutie e Nada Surf, dà alle stampe il loro secondo album, “You Should Be At Home Here”.

Il gruppo però, nonostante anche un singolo prodotto da quella Sub Pop che lanciò i Nirvana, non decolla e si scioglie nel 2004. Fine dei giochi? Per niente. Bridwell, che suonava la batteria coi Carissa’s, convince Brooke a ripartire da zero con un nuovo progetto: la Band of Horses. Nel 2005 il primo disco, autoprodotto, passa sotto silenzio, ma nel 2006, con “Everything All The Time”, ecco il successo che li porta fino alla heavy rotation su Mtv.

In questo contesto, il disco successivo è attesissimo. Brooke, nel frattempo, lascia il gruppo, che ora è tutto sulle spalle di Bridwell. “Cease To Begin” non raggiunge le vette del precedente ma al suo interno compare una traccia dal titolo misterioso: Detlef Schrempf.

La cosa è strana perché la ballatona sinuosa di Bridwell parla del rapporto profondo con una persona che può essere quella amata o comunque una con la quale c’è un rapporto profondo. Ma Ben e Detlef non si conoscono nemmeno e farebbe strano pensare al frontman della Band of Horses dire “My eyes can’t look at you any other way” all’ex ala dei Sonics!

In realtà, l’amore c’entra, ma è quello “sportivo” di Bridwell per i Sonics ed il tedescone dai capelli a spazzola. Lo spiega lui stesso in un’intervista di qualche mese dopo l’uscita dell’album con alla traccia 4 l’ode a Schrempf.

Nessuno scherzo o significato nascosto – dice Bridwell – nel disco ci sono temi legati a Seattle che ricorrono e mentre componevo ho dato alla canzone il titolo provvisorio di “Detlef”. Quando è stato tempo di assegnare i titoli definitivi, ho preferito lasciarlo. Temi legati a Seattle necessitavano di un nome legato a Seattle e ho pensato che Schrempf funzionasse alla grande”.

Una canzone in onore di un giocatore tedesco che non gioca più nella propria squadra del cuore da nove anni. Cosa può rendere più evidente la profondità del segno lasciato da Schrempf nel cuore di Seattle? “Ora siamo amici fraterni – chiude Bridwell – proprio grazie alla canzone. Abbiamo iniziato a scambiarci delle email. Schrempf è mio amico! Il più famoso che ho, credo”.