Carissimo Dido,

                              scusami tanto se ti disturbo durante il tuo viaggio – verso dove? Mi piace immaginarti in ritrovata compagni di Aldo Giordani, Giancarlo Primo e Pino Brumatti – con questa ormai desueta modalità. Ma ti scrivo questa lettera aperta per ricordarti e per dare modo a chi non ti ha conosciuto di sapere, almeno in parte, chi era – mi piacerebbe dire chi è – il Prof.
Ti ho conosciuto a Milano negli anni ’70 quando, alla guida dell’allora Mobilquattro, lottavi per il predominio cittadino e proponevi un basket d’avanguardia, mutuato da quello giocato dalla nazione, gli Stati Uniti, che tanto hai amato e conosciuto e condito con la tua sapienza e profonda conoscenza tecnico-tattica. Era un piacere seguire i tuoi allenamenti e imparare da te.

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Aldo Oberto

Poi, grazie a una circostanza che solo la vita sa proporre, le nostre vite si sono incrociate. Ricordi Dido? Eravamo a San Marino, entrambi parti dello staff tecnico-organizzativo del camp organizzato dall’IBC, e già la quotidianità ci metteva faccia a faccia facendoci riscontrare affinità che, giorno dopo giorno, ci legavano sempre più. Un tuo improvviso dolore alla schiena completò l’opera. Ti furono prescritte alcune iniezioni di antidolorifico e, sfacciatamente, mi candidai come infermiere. Ti punzecchiai per alcuni giorni e ti rimettesti in sesto. Il gioco era fatto. Nell’antica terra della libertà, fra le rocche del Monte Titano era nata un’amicizia destinata a durare nel tempo.

L’Eternauta, così amavi definirti, che era in te ti ha portato poi in diverse piazze, luoghi spesso di secondo piano, cestisticamente parlando, che hai rivitalizzato mettendo in campo le tue rinomate doti umane e professionali. Il tuo gioco sempre brillante, insaporito da alchimie tattiche che tanto confondevano le squadre avversarie e pur sempre nell’ambito di un basket lineare e assai efficace, fu il marchio di fabbrica che ti seguì nei tuoi spostamenti.

Il tuo “girovagare” ci teneva lontani fisicamente ma il sentire comune ci teneva vicini. Udine, Venezia, Vigevano, Torino (tre volte), Roma e Desio sono state le tappe di una carriera che ha lasciato il segno.

Dido Guerrieri

Dido Guerrieri

A Torino, soprattutto, hai risvegliato un basket sonnolento, pigro, assestato, mai come nei tuoi anni, al vertice. Io, eporediese di nascita e quindi vicino alle sorti del basket piemontese, non potevo che essere felice. Tre semifinali scudetto nei quattro anni del tuo più lungo soggiorno torinese e una promozione in A1 dopo il tuo primo ritorno sono l’eredità che hai lasciato alla mia regione d’origine. Senza contare che, un anno prima, avevi raggiunto lo stesso traguardo in quel di Desio.

Nel corso di quegli anni fummo compagni d’avventura in quella meravigliosa e indimenticabile esperienza che fu Superbasket. Ogni settimana mi fiondavo a leggere il tuo “Taccuino” rimanendo sempre affascinato per i contenuti, l’arguzia e l’ironia. Proprio in quelle righe un giorno trovai una sorpresa: mi etichettavi come “giornalista gentleman” e alla mia richiesta di conoscere le ragioni tagliasti corto dicendomi soltanto: “Sei così, te lo meriti”.

Aldo Giordani

Aldo Giordani

A proposito di quel periodo, ti ricordi Dido le domeniche sera trascorse al “Cenacolo”, il nome dato da Giordani al ristorante milanese “Da Mico” in Via Fara, luogo di transito e sosta di un variegato mondo cestistico: allenatori e squadre in trasferta, arbitri, giocatori, dirigenti e altri ancora? Era uno spettacolo. Chiuso il giornale, andavamo a cenare e tu eri parte del gruppo ogni volta che potevi. Aneddoti, ricordi, commenti e, perché no, goliardici sfottò la facevano da padroni – tu e Giordani eravate fonti inesauribili – e alla fine in primo piano c’era sempre lui, il basket.

La fine della tua carriera e la concomitante decisione di trasferirti per la maggior parte dell’anno a Seattle per essere anche vicino a Chiara, la tua amatissima figlia, ha inevitabilmente ridotto i nostri contatti, cristallizzati in quel di Sesto San Giovanni e in qualche cena nelle rispettive abitazioni in occasione dei tuoi momentanei rientri.

Due anni or sono, infine, è arrivato un riconoscimento doveroso, strameritato: sei entrato nella Hall of Fame del basket italiano. Ci siamo visti in quella occasione e, complici le tue condizioni di salute, ti ho sentito vicino come non mai.

Ora l’Eternauta ha affrontato o sta affrontando l’ultimo viaggio (per quanto ci è dato sapere). Non so se, dove e quando ci rivedremo. Ti do comunque l’arrivederci e, per ora, come diceva il Jordan in queste occasioni – a proposito, se lo vedi salutamelo – “ti sia lieve la terra”.

Con affetto e immutata stima,

                                                                                                                      Aldo