Sergio Tavčar

Non so se sono più scioccato, deluso, meravigliato o incazzato nero dopo la finale di ieri dell’Eurolega. Io sono uno che in ogni sport ha sempre fatto il tifo per quelli che giocavano meglio. Volevo sempre che la giustizia sportiva trionfasse ed anche quando la mia squadra vinceva immeritatamente mi lasciava sempre un retrogusto amaro, come se in realtà non avessimo vinto, o meglio avessimo vinto solo sulla carta, ma non moralmente. Per questo mi piange il cuore per Andrej Kirilenko, uno che se ce n’è di giocatori meritevoli di vincere una Coppa Campioni, questo è proprio lui. E’ da tempo immemorabile che non vedo uno che è una stella e che potrebbe comodamente comportarsi da tale approcciare una partita con una tale disponibilità a rendersi utile in tutti i modi, a fare tutti i lavori sporchi, a fare insomma assieme da gregario e da campione. E se poi penso che quest’anno ha abbandonato l’NBA proprio per vincere l’ Eurolega ed ha avuto questo risultato dopo che lui ha fatto ben di più del suo dovere (ricordatevi che la semifinale l’ha vinta da solo) e poi in questo modo straziante, solo perché era circondato da imbecilli senza palle, allora veramente verrebbe da imprecare altamente al destino cinico, crudele e baro, ma soprattutto sommamente ingiusto.

Ma vi rendete conto di chi ha vinto l’Eurolega? Una squadra senza un centro vero (sì, Dorsey, giocatore di peso, modesto, capace di fare molti lavori ma non certamente di metterla in canestro), con Acie Law in regia (il suo palleggio sul piede con palla in out è stato uno dei momenti più esilaranti della partita), con tutta una serie di giocatori che non sono né carne né pesce, con lo stesso Spanoulis che è un classico giocatore da campetto, sopraffino, intelligente, tutto quel che volete, ma che pretende che la squadra giochi tutta per lui, nel senso che o fa quello che vuole, oppure non rende. E’ bastato che un giocatore che, credetemi, non è certamente un campione, vedesse nel fine settimana tutte le Madonne del mondo, da Loreto a Lourdes a Fatima per finire con Međugorje, parlo ovviamente di Papanikolaou, per affondare una squadra che aveva un tasso tecnico di ben altra levatura. Se si vuole una sorpresa del genere entrerà nella storia del basket, ci faranno dei film, tipo quello della vittoria degli USA di hockey sull’URSS a Lake Placid (chissà perché al centro di queste storie nel ruolo di vittime ci sono sempre russi o comunque squadre slave), sarà una storia da raccontare per lustri a venire, ma ciò nondimeno rimane che il risultato di ieri è uno schiaffo al gioco del basket, inteso come intelligenza applicata al gesto tecnico ed atletico con annesso gioco di squadra.

E di tutto ciò la colpa è di quell’accozzaglia di decerebrati (scusate, ma ho già detto che sono incazzato nero, anche?) che è riuscita nella sublime impresa di perdere una partita che avrebbe dovuto vincere agevolmente proprio perché era straordinariamente più forte. Ero convinto che i russi fossero alle dipendenze dell’asse play-centro serba della squadra e che dunque gli equilibri caratteriali e di leadership fossero stabiliti e garantiti contro ogni possibile sorpresa. Ed invece ho visto i due serbi farsela addosso nei momenti chiave, o per meglio dire uno, Krstić, che nel finale proprio non saltava (già salta poco) a causa della zavorra che aveva nelle mutande, ed un altro che dopo aver vinto lui la partita, Teodosić ovviamente, riusciva ad andare in tale marasma, giocando in modo presuntuoso e confuso, da mandare alla deriva tutta la squadra. Delusione alla massima potenza. Di Kirilenko già detto e degli altri russi c’è solo da dire che si sono comportati da tali in modo quasi stereotipato, palle lesse alla massima potenza, per non dir nomi Hrjapa, Šved, Voroncevič (a proposito, scusate se li scrivo con la grafia slava, ma è la forza dell’abitudine e proprio non ce la faccio a scriverli all’inglese), per non parlare dei due lituani Lavrinovič e soprattutto Šiškauskas che in tanti anni passati in Russia devono essersi russizzati nel peggior modo possibile. Giocatori cioè che sono tanto belli da vedersi, bravi quanto si vuole, che però quando arrivano al momento del dunque spariscono nel nulla come se la nebbia del Baltico fosse improvvisamente dilagata nelle loro teste. Lasciamo stare i tiri liberi di Šiškauskas (qualcuno ricorderà che a Sydney, nella semifinale olimpica contro gli USA, dopo aver segnato alle Olimpiadi tutti -!- i tiri liberi tentati fino a quel momento nel torneo fece uno su tre a 30 secondi dalla fine facendo perdere ai lituani una partita che Jasikievičius aveva già vinto per loro), ma sull’ultima azione vedere Krstić che riceve una palla in area solo da mettere a canestro ed è tanto cagato da volerla dare a Kirilenko che, poverino, già guardava verso il canestro per vedere dove mettersi per fare il tapin, fa venire una rabbia da spaccare tutto. Ed in questo marasma Teodosić, che avrebbe dovuto tenere dritta la barra ed organizzare i suoi per giocare un basket umano andando a cercare penetrazioni e tiri liberi, provava a giocare da solo per essere il salvatore della patria. Forse è maturo per andare nell’NBA. Non so cos’altro dire. Sono senza parole.

Va da sé che reputo che il livello tecnico di queste Final Four sia stato preoccupante, per rimanere sul leggero. Pensavo che nei momenti chiave venissero fuori i campioni. Che però evidentemente non ci sono stati. Direte: però i greci hanno dimostrato una grossissima capacità di ribaltare una partita già persa, hanno messo in mostra un campionario di attributi straordinario, per cui sono sicuramente dei campioni, almeno mentalmente, se sono riusciti a farlo. Che abbiano meritato per questa sola ragione di vincere è indubbio, proprio non ci piove. E dunque tanto di cappello. Non hanno sicuramente rubato niente, hanno solo afferrato il dono che veniva loro offerto. Però onestamente da una squadra che vince l’Eurolega pretenderei che fosse formata da (almeno alcuni) grandi giocatori che però l’ Olympiacos, tolto Spanoulis con tutti i suoi limiti (grandi), non ha. Per cui se per vincere basta avere gli attributi e onestamente ben poco di altro allora stiamo freschi. Fra le mie sensazioni elencate all’inizio c’è la delusione, delusione di non riuscire a vedere più del bel basket, di vedere un basket dove vince chi gioca meglio, chi ha più numeri tecnici soprattutto, ma anche atletici, perché no, di poter provare la soddisfazione intellettuale ed anche emotiva di vedere un’armonia di squadra, una logica sottintesa ai movimenti degli uomini in campo ed al modo in cui vengono fatti ruotare dalla panchina. Insomma, come detto, se oggigiorno per vincere bastano gli attributi, mentre quelli che saprebbero giocare non li hanno, allora il basket sta spegnendosi. Che malinconia.

Per finire una considerazione che per me è fondamentale e deriva dalla mia visione dei caratteri delle genti balcaniche di cui ho già parlato nel mio libro parlando dell’attitudine mentale degli jugoslavi. Però balcanici, e balcanici all’ennesima potenza, sono anche i greci che hanno esattamente la stessa attitudine mentale, rafforzata però dalla loro storia gloriosa, dal fatto di essere gli eredi dei fondatori della civiltà occidentale (voglio essere eurocentrico bieco: della civiltà tout court, o se volete, della civiltà più “civile” che mai sia stata pensata e messa in opera), per cui hanno un grandissimo orgoglio ed uno straordinario senso della dignità che al momento giusto, quando viene evocato, prorompe prepotentemente in superficie. Detto in breve, i greci non tollerano di essere presi per i fondelli. Possono perdere, ma essere perculeggiati non lo tollerano proprio. Non è nel loro DNA. Ricordo la semifinale di Atene ’87, con la Jugoslavia avanti di 15 a metà del secondo tempo ed i 12000 dell’ Eirinis Kai Filias del Pireo praticamente muti e già rassegnati. Assist per il solissimo Kukoč sotto canestro che invece di arrestarsi e schiacciare vuole fare una irridente deviazione al volo che fra l’altro sbaglia. E’ una specie di interruttore: da quel momento tutti i greci cominciano a volare per il campo, a mordere i garretti degli jugoslavi, si esaltano, si mettono a segnare dagli spogliatoi e vincono. Spagna ’07: Grecia-Slovenia, quarto di finale dell’ Europeo non lo menziono neppure, in quanto gli sloveni si spaventano da soli ed in quell’occasione i greci non sono presi in giro, ma fiutano sangue e uccidono. Stavolta è stato lo stesso: il più grave errore del CSKA è stato quello di pensare di poter fare esibizione e di poter prendere in giro gli avversari sul più 19 (53-34 se non sbaglio). Conoscendo i greci lì avrebbero semplicemente dovuto continuare a giocare duri e soprattutto a mandare un chiaro messaggio: vi stimiamo, non reputiamo affatto che la partita sia già vinta, se uno di voi pensa di aprire una striscia di tiri vincenti da metà campo se lo scordi subito, perché non glielo lasceremo fare, a costo di andare con lui nello spogliatoio. Secondo me se in quel momento, dopo la prima bomba di Papanikolaou, al secondo tentativo fossero stati su di lui in due, lasciando intendere che se proprio volevano potevano anche segnare da sotto (con chi fra l’altro? Dorsey? Papadopoulos? Hines? Contro Kirilenko? Non fatemi ridere), ma che una striscia di tiri da lunga distanza, quelli che esaltano pubblico ma soprattutto giocatori, quella proprio non avevano nessuna intenzione di concederla, alla fine avrebbero vinto se non di 30, quasi. Così invece sono stati puniti. Bel gli sta. Al basket un po’, anzi, molto meno.