Dal nostro corrispondente
BERLINO – “Non è solo una città, è casa nostra. Non è solo uno sport, non solo un gioco. Non si tratta solamente di lanciare una palla in un canestro”. Con queste parole inizia il Saisontrailer dell’Alba Berlino, il video promozionale e motivazionale proiettato prima di ogni gara interna degli “Albatrosse”. Parole che riassumono in buona sostanza lo spirito della storica società berlinese, otto volte campione di Germania (sette di fila tra il 1997 e il 2003), altrettante volte campione di Pokal (la coppa di Germania) e unico club tedesco a fregiarsi di un titolo europeo, la Coppa Korac del 1995, vinta in finale contro la Stefanel Milano.
Una realtà davvero unica, quella del club fondato a Charlottenburg nel 1989, anno di per sé pregno di significato per la città che lo ospita: una metropoli multietnica, cosmopolita, con un’identità umana e architettonica indefinita, sfumata, frantumata dalla Seconda Guerra Mondiale che l’ha devastata fino alle sue viscere più profonde. Un luogo che è poi stato palcoscenico “principe” della Guerra Fredda, ha vissuto decenni di mal digerita divisione, fisica prima che ideologica; di isolamento per Berlino Ovest, che si vide improvvisamente tagliare tutti i ponti, in quella surreale tarda estate del 1961, e dovette ricorrere a quello “aereo” ideato dal generale Lucius D. Clay, che si appoggiò all’aeroporto cittadino di Tempelhof (ora scampato alle speculazioni edilizie e convertito in un enorme parco pubblico, pur se le strutture dello scalo rimangono quasi intatte, conferendo all’area una strana atmosfera post-apocalittica) per rifornire l’”isola” occidentale circondata dal “mare” filo-sovietico.
Una città che ha saputo però rinascere, in particolare dalla caduta nel muro (prima simbolica e poi al ritmo delle ruspe) nel novembre di quel 1989, combattuta tra la “normalizzazione”, l’oblio – volontario e istituzionalmente forzato – di ciò che fu, e la voglia di non dimenticare, talvolta quasi valorizzare il recente passato. Una città in cui tutto si muove, tutto si trasforma, ma alcune cose rimangono immutate nel tempo. Ed è a queste cose che i berlinesi vecchi e nuovi si aggrappano per trovare quel senso di identificazione, di appartenenza, altrimenti sfuggente. Cose come la squadra di basket.
ALBA – Alba non è il nome originario della società (fondata come come BG Charlottenburg e confluita nella nuova società nel 1991), ma dello sponsor. Se la squadra è conosciuta unicamente così è perché dal 1991, senza soluzione di continuità, l’azienda cittadina che si occupa di riciclaggio (termine legato a doppio filo anche al basket italiano – verrebbe da dire – ma con un’altra accezione…) è costantemente a fianco del club, senza contributi faraonici ma con un corposo sostegno che non è mai venuto a mancare. Tanto che nel 2006, quando si è deciso di fare un ulteriore passo avanti nel progetto imprenditoriale e sportivo, l’azienda è diventata proprietaria di maggioranza della nuova Alba Berlin Basketballteam GmbH (il corrispondente tedesco di una SPA). “L’Alba Group è anche proprietaria della GmbH al 75%, il restante 25% è di proprietà della società sportiva”, specifica Marco Baldi, storico Geschäftsführer (più o meno equivalente all’Amministratore Delegato) del club, 52enne di padre toscano ma cresciuto in Germania, dove è anche stato cestista a ottimi livelli. Tornando ad Alba Recycling, non si tratta, come si potrebbe pensare, di un’azienda pubblica o partecipata: “L’Alba Group è un’azienda totalmente privata, che contribuisce con il 15% del nostro budget. Il 40% proviene dagli incassi delle biglietterie, il 45% circa da vari altri sponsor e il restante dal merchandising. Non abbiamo un euro di contributi pubblici”.
GIOVANILI – Ma Baldi e i suoi collaboratori, a partire dal presidente Dieter Hauert, non hanno mai voluto fare il passo più lungo della gamba, facendosi prendere dall’assillo dei risultati senza guardare alla stabilità e al futuro: “Solo il 40% del budget è impiegato per i salari della prima squadra. Abbiamo un grande settore giovanile, guidato da Henning Harnisch, a cui dedichiamo il 15-20% del nostro budget (ovvero circa 1,5 milioni di euro l’anno, nrd) applicando concetti innovativi: abbiamo 100 tecnici, li mandiamo nelle scuole ad affiancare gli insegnanti di educazione fisica per insegnare la pallacanestro”. E ovviamente – aggiungiamo noi – a scovare nuove leve: ne sia un esempio la recente campagna mirata a invitare al palasport (e ovviamente ai centri di allenamento delle giovanili) gli alunni più alti delle scuole elementari della città. Mentre in Italia ci si aspetta che la montagna accorra da Maometto e si invidia la pallavolo che “ruba tesserati”, a Berlino – e non solo – ci sono decine di “profeti” in azione nelle palestre delle scuole. Ultima in ordine di tempo una scuola elementare di Prenzlauerberg, quartiere nel nordest della capitale, in cui è stata fondata la prima squadra scolastica femminile dell’universo Alba. Non sappiamo se fosse il più alto della scuola, ma è sicuramente così che è stato scoperto Moritz Wagner, 18enne già membro della prima squadra in pianta stabile, che prima di essere “reclutato” dall’Alba (e finire sui taccuini degli scout di mezza Europa) non aveva mai preso in mano un pallone da basket.
APPARTENENZA – Il senso di appartenenza, in casa Alba, non si limita a tifoseria e dirigenza. Anche all’interno della squadra, guidata per la terza stagione consecutiva dal berlinese adottivo Saša Obradović (protagonista da giocatore ai tempi dello storico primo titolo di campioni di Germania nel 1997, con Svetislav Pešić in panchina), c’è uno spiccato senso del gruppo, che ha permesso agli Albatrosse di guidare finora incontrastati la classifica della Bundesliga e di raggiungere con una giornata di anticipo il traguardo delle Top 16 di Eurolega, senza contare la sorprendente vittoria sulla sirena contro i San Antonio Spurs nella tappa berlinese degli NBA Global Games: “Al momento non potrebbe essere meglio di così. Stiamo giocando a ritmi serrati e non posso che essere contento di quello che stanno facendo i ragazzi”, afferma coach Obradović. “La stagione non è finita, abbiamo ancora molti impegni nelle Top 16 e dovremo vedere come ne usciremo, ma facendo un confronto con la stagione passata credo di poter dire che abbiamo fatto un passo avanti, siamo più continui”.
E in un gruppo così coeso anche un “taglio” può diventare un momento da ricordare, o quantomeno agrodolce: ne è un esempio l’addio di Vojdan Stojanovski, guardia macedone che dopo un anno e mezzo in gialloblù è stata sacrificata per fare spazio al rientro dell’ex canturino Jonathan Tabu e la contestuale conferma dell’ex brindisino Alex Renfroe. In una situazione in cui in altre piazze ci si sarebbe lasciati con mestizia e malcelato rancore, a Berlino non solo il vincitore del “ballottaggio”, Renfroe, ha dedicato un pensiero a Stojanovski dicendosi triste per aver perso un compagno, ma la società ha permesso anche al 27enne di Skopje di ricevere un’ultima standing ovation dal pubblico berlinese, concedendogli una passerella in borghese prima della partita di campionato contro Bayreuth.
STRUTTURE – Uno dei segreti di Pulcinella del basket teutonico – e di qualsiasi campionato che funzioni, anche in altri sport – è disporre di impianti funzionali, possibilmente nuovi e privati. Berlino, inutile dirlo, è tra i club d’avanguardia in tutto il Vecchio Continente: la “vecchia” Schmeling-Halle, nei pressi del pittoresco Mauerpark, non era poi un impianto così vetusto, tant’è vero che viene ancora utilizzato quando le partite degli Albatrosse coincidono con quelle degli Eisbären dell’hockey su ghiaccio (unica squadra con più seguito oltre all’Hertha del calcio, in una città che vanta un centinaio di realtà sportive di alto livello in ogni sport immaginabile) o con altri eventi importanti, ma nel 2008 è arrivato il grande passo: il trasferimento nel nuovissimo O2 World (da luglio 2015 sarà ribattezzato Mercedes-Benz Arena), centro polifunzionale all’altezza delle migliori arene NBA. “L’O2 World è stato finanziato dall’Anschutz Entertainment Group (azienda di entertaining del magnate americano Philip Anschutz, ndr), che tra le altre cose è è proprietaria anche della O2 Arena di Londra, dello Staples Center di Los Angeles e del MasterCard Center di Pechino”, racconta Baldi. “L’Alba, come gli altri club che giocano qui, è un affittuario dell’impianto”. L’impianto, la cui edificazione è iniziata nel 2006 nell’ambito del controverso progetto di investimento immobiliare Mediaspree (si affaccia sulla Sprea e sulla celebre East Side Gallery, area delicata della città per via della sua recente rilevanza storica), è costato 165 milioni di euro, ma esplorandolo non si può che ammettere quanto la cifra – pur astronomica – sia stata ben spesa: catino ampio e moderno ma sufficientemente “accogliente” da permettere ai tifosi di creare un buon fattore campo, con acustica e visibilità più che accettabili per le dimensioni, l’O2 World dispone di spazi di ristorazione, di tutte le infrastrutture necessarie per i grandi eventi e dell’immancabile area hospitality per membri della società, giocatori, staff, sponsor e addetti ai lavori. Tutte cose a cui Marco Baldi&Co. sono arrivati prima di chiunque altro in Germania: ora è la BBL ad imporre standard strutturali, di accoglienza e di merchandising a chiunque voglia partecipare al massimo campionato. Per di più – cosa che non guasta – l’O2 World è obiettivamente spettacolare alla vista, splendido da fuori più ancora che dall’interno. Così splendido che, quasi a non volerlo sciupare, l’Alba non si allena nell’impianto di Friedrichshain, ma nella centralissima palestra della Schützenstraße, a due passi dal Checkpoint Charlie. Quando poi Saša Obradović e i suoi ragazzi tornano all’O2 World non lo fanno da soli, ma accompagnati solitamente da almeno 9-10 mila calorosi supporter, e per nessun avversario è facile uscire indenne dal parquet berlinese.
NUOVE STRADE – Quando un progetto sta crescendo, spesso, è sufficiente sedersi comodi e lasciare che l’inerzia faccia il suo dovere. Ma in Bundesliga, e in particolare a Berlino, sanno bene che questa crescita non si alimenterà da sola a lungo. Per questo, oltre al gran lavoro in ambito giovanile, la società sta cercando nuove strade per accrescere la portata del progetto stesso e gli introiti che lo devono sostenere. Una di queste strade ha portato l’Alba a ripercorrere parte dell’antica via della seta, rivolgendo la propria attenzione alla Cina: “Quattro anni fa abbiamo iniziato ad interessarci per il mercato cinese, e ora abbiamo un corporation agreement con la società cestistica di Pechino”, ci rivela ancora Baldi. “Non con agenzie o tramite altri intermediari: siamo andati in Cina, abbiamo giocato delle partite, instaurato collaborazioni, invitato studenti cinesi a Berlino ai nostri allenamenti… Abbiamo lavorato molto per scambi di studenti, scambi di know-how, e cerchiamo anche di generare interesse nel mercato. In Cina il basket è il primo sport di squadra: in termini generali, ci sono più tesserati che in Germania e Italia messe insieme”. E se questo non bastasse, per un club che con quasi 1000 soci è quello con le basi più solide (tra quelli cestistici) in tutta la Germania e non solo, tra qualche mese si presenterà anche l’opportunità del girone dell’attesissimo Eurobasket 2015, con la Nazionale teutonica guidata per l’ultima volta da Dirk Nowitzki. Un’occasione d’oro per rendere il basket ancor più popolare in città: “Quando la Nazionale gioca un torneo nel proprio paese offre sempre grandi possibilità promozionali. A Berlino ci sarà un girone di ferro, ma ciò rende ancor più ghiotta l’opportunità di fare leva su questo evento per promuovere la pallacanestro”.
Sta qui, forse uno dei segreti dell’Alba: percepire il club non come fine a se stesso e ai risultati più o meno effimeri che può raggiungere, ma come mezzo per intrattenere, per rappresentare la città e – forse più importante – per diffondere la palla a spicchi, passione che 25 anni fa spinse Baldi, Hauert e gli altri intrepidi fondatori a scommettere sulla pallacanestro quando da più parti si sentivano irrisoriamente dire: “In Berlin? Handball, nicht Basketball”. L’Alba Berlino ha una visione, di cui il progetto sportivo professionistico è solo la parte centrale, il perno su cui ruota un universo di progetti paralleli che si sostengono l’un l’altro. Per riassumerlo bastano le parole di coach Obradović, che ha vissuto in varie vesti l’epopea della società: “Ci vorrà ancora tempo affinché possiamo competere con i migliori club d’Europa, e anche in Germania non è come 15 anni fa, oggi ci sono società che hanno mezzi superiori, come il Bayern Monaco. Ma quello che rimane è la tradizione, l’‘anima‘ del club, i tifosi che si affezionano ai giocatori e ci seguono in massa. È una cosa che non succede ovunque. È solo questione di tempo”.