Emozioni, sensazioni, riflessioni ed appunti sui quattro giorni passati a Barcellona, durante il weekend nel quale Barça e Real si sono affrontate per la 32esima giornata della stagione regolare della Liga Endesa. 

I problemi che sussistono quando lo sport viene accostato, affiancato, contaminato dalla politica sono sotto gli occhi di tutti, ma ci sono situazioni in cui non ci sia modo di poter distinguere dove inizi e dove finisca ciascuna di queste due componenti. Sia ben chiaro, ci sono casi e casi, come quando le idee politiche spaccano tifoserie e città o quando, semplicemente, ci si trovi di fronte allo scontro tra due mentalità, tra due culture, tra due mondi completamente diversi.

Queste tre righe messe in croce non rendono nemmeno lontanamente l’idea, ma possono forse aiutare a comprendere il sentimento che anima la rivalità più storica di Spagna, arrivata a toccare, ora come mai nella storia, il suo apice. foto 5A dire il vero, non ci vuole molto a rendersene conto, perché l’ondata nazionalista che sta animando la Catalunya si può chiaramente percepire nell’aria, nei locali, dove le persone conversano, leggono, pensano in catalano. Basti pensare che l’87% degli abitanti lo comprende ed il 75% lo usi come prima lingua, comprese anche le zone di quella Barcellona turistica costretta forzatamente all’uso della lingua inglese. Il tripudio di bandiere alle finestre, unite ai manifesti pro-referendum, lascia intendere solo una cosa, che una della quattro regioni considerate “il motore dell’Europa” desideri al più presto l’indipendenza. E qual migliore occasione se non il clásico per dare l’ennesima dimostrazione di unità? Al primo timeout dei blancos, così come nel secondo tempo, le curve si oscurano per un minuto, lasciando spazio a quello che potete vedere nelle immagini:

foto 2

foto 3

A tutto questo, si aggiunge un dettaglio che, seppur agli occhi di molti possa sembrare ininfluente, alla fine rivela ancora una volta l’attaccamento della gente alla propria terra: distinguere tra un turista che esce dal Camp Nou, a pochi metri dal Palau, ed un aficionado del Barça è molto semplice, perché i primi vestono la camiseta blaugrana, i secondi, indossano rigorosamente la seconda maglia (usata nel calcio), fatta eccezione per i fortunati con le canotte autografate da capitan Navarro. La giallorossa è quasi un obbligo, come ha spiegato un tifoso, “perché ha i colori della mia bandiera“.

foto 4La consacrazione arriva in sala stampa, con la conferenza di Xavi Pascual, rigorosamente in catalano. La domanda a questo punto sorge spontanea: il 9 novembre come potrà tutto questo non trasformarsi in un plebiscito? Ed invece, a discapito di quanto i segnali possano far intendere, parlare con i meno giovani, con chi affronta il problema con cervello e non cuore, fa capire i mille problemi che la separazione porterebbe. “Se tu mi chiedi di dove sono, ti risponderò che sono catalano, ma ciò non mi impedisce di pormi domande importanti. Se dovesse accadere, che ne sarà, ad esempio, delle pensioni e della sicurezza? Nessun politico mi ha ancora dato risposte chiare e certe, dunque cosa dovrei pensare?” Anche il collega seduto alla mia destra è della stessa opinione: “Mi sento catalano e sono orgoglioso di esserlo, ma non farti un’idea sbagliata nel vedere il Palau. Il clásico è un occasione per dimostrare chi siamo, di far valere la nostra cultura e le nostre tradizioni, ma da qui all’indipendenza, ti posso assicurare che c’è ne di distanza in mezzo, non solo a livello burocratico“. Sembra un po’ di rivivere le sensazioni provate nel mio mese di permanenza a Bilbao, altro storico luogo dove per anni l’indipendenza è stata al centro del pensiero di molte persone e dove la storia, la cultura, le tradizioni e alle volte la lingua sono innegabilmente diverse da quello dello stato centrale. In conclusione, nel mezzo di questo caos tra politica e sport, cosa resta davvero? Resta una partita disputata, prescindere da ogni tipo di astio, in una cornice meravigliosa come le tante che la pallacanestro riesce a generare, nella quale prima Ante Tomic, poi Kostas Papanikolau ed infine Alex Abrines hanno avuto il merito di fungere da miccia per incendiare un’atmosfera già rovente, regalando emozioni davvero indescrivibili. Resta la consapevolezza di aver assistito in prima persona ad una partita unica al mondo, così come può esserlo il derby di Atene o quello di Belgrado. È come Assen per i motociclisti, lo Zoncolan per i ciclisti, il Maracanà per i calciatori. Restano gli assist di Marcelinho Huertas, il coraggio del Chacho e di Llull, l’eleganza di Mirotic, l’odio per Rudy Fernàndez e la sua frustrazione, che lo ha tolto dalla partita a metà della terza frazione. Restano i sorrisi di chi sa di non aver vinto una partita qualsiasi, vista l’abbondante mezz’ora dopo la sirena finale nella quale i Dracs hanno continuato a cantare, riportando più volte i giocatori in campo per rendere omaggio ai propri tifosi. Resta la sensazione di essere stato partecipe di un momento di sport che va ben oltre lo sport, che chiama a raccolta il sentimento di una terra che, nel proprio statuto, si definisce nazionalità. Resta la sensazione di aver compreso perchè il Barcellona è Mes que un club.


Dailybasket.it - Tutti i diritti riservati Foto: Andrea Furlan