emirrk

Emir Sulejmanovic è un ragazzone di più di due metri come se ne vedono tanti nei campi di pallacanestro di tutto il mondo. Lo scorso 6 gennaio ha vinto il titolo di MVP al torneo dell’Hospitalet, una delle più prestigiose cornici giovanili del panorama cestistico europeo. Ha 17 anni e gioca come ala forte nel team juniores dell’Olimpia Lubiana, allenandosi spesso anche con la prima squadra. Ma Emir non è un ragazzo dalla storia comune, la sua inizia infatti il 13 luglio del 1995, in un luogo tristemente famoso chiamato Srebrenica.

La famiglia Sulejmanovic abitava infatti da generazioni nella città dell’attuale Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, sede fino al 1992 di un’importante fabbrica metallurgica e di diversi stabilimenti termali che attiravano turisti da tutta l’area Jugoslava. Srebrenica si trova al vicino al confine orientale tra la Bosnia Erzegovina e la Serbia, ed allo scoppio del conflitto nei Balcani costituiva un’enclave bosgnacca in una zona  caratterizzata da una maggioranza etnica Serba. Questo provocò un progressivo accerchiamento della città da parte delle forze dell’esercito Serbo finalizzato alla pulizia etnica, nonostante Srebrenica fosse diventata nel frattempo territorio protetto sotto l’egida delle Nazioni Unite ed i caschi blu. Gli eventi degenerarono fin dai primi giorni di guerra nel 1992, ed in città iniziarono progressivamente a scarseggiare i beni di prima necessità portando le condizioni di vita della popolazione al di sotto delle soglie minime di accettabilità. L’orrore raggiunse però il suo acme tra l’11 ed il 22 luglio del 1995, quando le truppe del generale Ratko Mladic irruppero in città compiendo quello che ad oggi è unanimemente riconosciuto come il peggior genocidio avvenuto sul suolo europeo a partire dalla seconda guerra mondiale, il massacro di Srebrenica.

La famiglia di Nedzad Sulejmanovic, con la moglie incinta di Emir ed il  piccolo Semir, che all’epoca aveva 8 anni, era riuscita a rifugiarsi nei pressi del villaggio di Luka, situato a circa 40 km da Srebrenica, in un territorio controllato dall’esercito Bosniaco. In un teatro di guerra tuttavia nessuna zona poteva dirsi sicura, ed al precipitare degli eventi in quei tragici giorni del luglio 1995 i 3 si trovavano nascosti nella foresta, dove la notte del 13 luglio la signora Sulejmanovic da alla luce Emir. Nei giorni successivi la madre ed i due bambini riescono a sfuggire e ad arrivare a Sarajevo, dove trovano riparo in una delle strutture messe a disposizione dei rifugiati.

kamen-emir

La roccia nella foresta dove è nato Emir

A Nedzad le cose invece non vanno altrettanto bene, viene infatti catturato da una pattuglia di soldati serbi e rinchiuso nel campo di concentramento di Mitrovo Polje dove viene liberato dai caschi blu dell’ONU e dalla Croce Rossa solo dopo 256 giorni di prigionia. In quel momento Nedzad non ha più una casa ed è stato strappato dal suo territorio, con Srebrenica diventata parte della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dopo gli accordi di Dayton.  Le Nazioni Unite gli forniscono però l’opportunità di ripartire, di ricominciare con una nuova vita per sé e per la sua famiglia lontano dagli orrori della guerra, e la scelta di Nedzad ricade sulla Finlandia. Il 16 Aprile 1996 arriva quindi a Jyvaskyla, una città di 135.000 abitanti situata 270 km a nord di Helsinki, dove 6 mesi dopo viene raggiunto dalla moglie e dai figli. E’ la prima volta che Nedzad rivede Emir dalla sua nascita, quasi un anno e mezzo dopo.

IMG_1163

Emir al memoriale di Srebrenica a Potocari

La vita a Jyvaskyla inizia a riprendere, Nedzdad trova un impiego come tecnico informatico e fa l’allenatore di calcio, Semir ed Emir crescono integrandosi nel nuovo contesto, due bambini come altri in una tranquilla cittadina circondata da conifere. Nel 2000 arriva purtroppo un’altra prova difficile per la famiglia, con la mamma che viene a mancare dopo una malattia, lasciando a Nedzad il compito di crescere da solo un figlio adolescente ed uno di nemmeno 5 anni. Nel 2001 i Sulejmanovic ottengono il passaporto Finlandese, ed un anno dopo si trasferiscono a Turku, in quella che è stata la loro casa fino al 2011 (ed è ancora quella del fratello maggiore Semir).

Emir cresce praticando per otto anni lo sport preferito dal padre, il calcio, riscuotendo diversi successi come attaccante. Quando i centimetri iniziano a crescere inizia l’attrazione per la palla al cesto, in un paese dove però lo sport nazionale c’entra veramente poco con parquet e canestri. A notarlo per primo è Antti Sarinen, coach delle giovanili dell’Aura Turku (seconda serie Finlandese), laemir-barcelona squadra in cui Emir inizia a giocare. Negli anni successivi il ragazzo evolve come giocatore nel completo anonimato, fuori dai radar di una federazione bosniaca in ricostruzione ed ignorato anche da quella della sua patria adottiva. Ma Sarinen continua a credere in lui, fino a quando finalmente nel 2011 Emir non venne convocato dalla nazionale Finlandese per gli Europei Under 16 Division B, che si tennero in Macedonia a Strumica.

A Strumica è presente anche Dragan Janjic, scout dell’Olimpia Lubiana, scopritore tra i tanti di quel Milos Teodosic che fino ai 14 anni gigioneggiava nei playground di Valjevo prima di diventare il playmaker della nazionale serba e del CSKA Mosca. Janjic vede in Emir del potenziale, nonostante ai tempi la sua maturazione tecnico-fisica fosse diversa da quella attuale. Così Nedzad ed Emir si recano una settimana a Lubiana a prendere conoscenza delle strutture e del progetto, e dopo poco il ragazzo entra ufficialmente a far parte della famiglia dell’Olimpia Lubiana.

A partire dall’estate del 2011 Emir è introdotto nel team juniores e da questa stagione si allena con la prima squadra, dove ha esordito proprio ieri in Lega Adriatica contro lo Zadar (8 punti in 13 minuti). Le sue performance con la maglia di Lubiana al torneo dell’Hospitalet e la conquista del premio come MVP non hanno lasciato indifferenti scout NBA ed addetti ai lavori, mettendo il ragazzo nel mirino di diversi team Europei, specialmente della ACB. “Mi piace molto il Barcellona”, risponde candidamente Emir  alla domanda su quale sia il suo team preferito.

Il suo stile di gioco intenso e la continua voglia di crescere e migliorarsi sono indiscutibilmente il suo punto di forza, quasi come se tutte le peripezie affrontate avessero instillato in lui il sacro fuoco della competizione. Dagli orrori della guerra fino al sogno NBA sono passati 17 anni, ed il meglio per Emir deve ancora venire.

emirj-za-stan

Emir con il padre Nedzad a L’Hospitalet