Ha vinto il Barcellona, ha vinto Miami. Cosa si può volere di meno nella vita in fatto di basket? Niente. En passant, ha vinto anche Siena, ma questo rientra nell’ordine naturale delle cose. Per cui mi riesce difficile parlare di basket, in quanto la delusione e la frustrazione che mi pervadono sono assolute, di tipo cosmico quasi, perché le cose vanno contro tutto quello in cui credo, e allora mi vengono in mente pensieri autodistruttivi, della serie, Sergio di basket ormai non capisci più un tubo, oppure il basket sta andando velocemente in malora, constatazioni ambedue che portano alla disperazione più totale.

Sergio Tavčar

Per fortuna sono arrivati almeno il sole ed il caldo, per cui il dolce far niente sdraiato al sole (Optschina Strand FKK) a ricaricare le batterie in vista delle prossime fatiche olimpiche sta raggiungendo livelli da trionfale apoteosi. Ed in più ci sono gli Europei di calcio che permettono tranquille serate davanti alla TV con la classica birretta ed i classici salatini a portata di mano. E proprio guardando il calcio l’altro giorno ho sentito il pur bravo commentatore della RAI (che non so chi sia, ma ogni tanto anche loro ne trovano incredibilmente uno capace) dire una cosa che mi ha dato molto fastidio. Premesso che aveva uno straordinario merito, e cioè quello di pronunciare i cognomi cechi in modo quasi corretto – inserto: per esempio la rž che io traslittero così non riuscendo a trovare sulla tastiera la r col segnetto sopra di Pilarž o Kolarž si pronuncia appunto rž e non solo ž, oppure Jiràček ha l’accento sulla a non perché ci vada l’accento nella nostra accezione, ma semplicemente per farla strascicare un tantino, in quanto le parole ceche hanno un po’ l’accento su ogni sillaba, tipo coreano o giapponese, e dunque l’accento principale rimane sulla prima i, ma sono dettagli, l’importante è che non abbia detto Žiraček come avrebbero fatto tantissimi altri suoi più ignoranti colleghi – ad un dato momento ha detto che il Portogallo dominava la partita perché era evidente il predominio tecnico dei lusitani, in ciò corroborato dal commento tecnico di Collovati. Al che sono saltato offeso sulla poltrona, perché i nostri fratelli bravi e capaci che sono i cechi di tutto possono essere accusati in campo sportivo (principalmente, appunto essendo fratelli slavi, di avere poche palle), ma non di non avere tecnica. La cura dell’insegnamento tecnico è quasi assiomatica da quelle parti ed in tutti gli sport i cechi sono maestri assoluti di tecnica.

Dal calcio al, perché no, basket, passando per l’hockey, sport nazionale da quelle parti, per finire col tennis, nel quale hanno prodotto manuali di tecnica dai tempi di Drobny passando per Korda e finendo con Berdych in campo maschile oppure producendo giocatrici del calibro della Navratilova, o Mandlikova o Novotna in campo femminile. Ed anche nel panorama attuale dei tennisti cechi tutti possono avere carenze di ogni tipo possibile, ma non certo di tipo tecnico. Il problema dunque perché siano inferiori a tantissimi altri è dunque perfettamente diverso, e si chiama talento. Il discorso dunque si amplia e forse conviene fare un po’ di chiarezza su cosa significhi talento e cosa significhi invece tecnica, che sono due concetti completamente slegati fra loro. Sul talento ho già scritto un post molto articolato che come tutti quelli nei quali affronto temi che a me paiono importantissimi per non dire fondamentali ha suscitato commenti che mi sono apparsi, scusate, superficiali e stereotipati, per cui non ho insistito. L’argomento secondo me richiederebbe riflessioni estremamente ponderate di tipo filosofico quasi ed ho paura che sia al di sopra della possibile comprensione di noi tutti, persone dotate di intelletto normale (anche se non subnormale). Però di discuterne seriamente penso che ne valga assolutamente la pena.

Sulla tecnica invece il discorso è molto più semplice e chiaro, per cui mi meraviglia il fatto che si sentano in giro tante inesattezze con la classica mescolanza fra pere e patate. E ciò fra addetti ai lavori che dovrebbero avere in mente i concetti ben chiari. La tecnica è semplicemente l’ottimizzazione del gesto materiale che viene effettuato per mettere in opera qualsiasi attività manuale. Non per niente si chiama tecnica, perché è un’operazione puramente tecnica che di concettuale non ha assolutamente nulla. Si tratta semplicemente di imparare il gesto corretto eseguendo il gesto stesso le volte che basta perché alla fine il risultato sia un movimento corretto. Vale in ogni campo dell’attività umana. Dalle cose più banali su come farsi la barba fino alle cose più raffinate tipo imparare la sequenza di mosse corrette per materializzare nei finali di partita il vantaggio di una torre rispetto ad un alfiere ed un pedone in più nel gioco degli scacchi. Nello sport vale ovviamente lo stesso principio. Nel calcio bisogna imparare a palleggiare, a dribblare, a stoppare, a stoppare a seguire, ad eseguire correttamente i vari tipi di tiro, dal piatto al collo pieno, all’esterno-collo e così via. Nella pallavolo bisogna imparare tramite ripetizioni interminabili a palleggiare, ad eseguire un bagher, a prendere il tempo giusto per la schiacciata, a sapersi tuffare per prendere una palla bassa con una mano, ad effettuare i vari tipi di servizio, al salto, flottato eccetera. Nel basket bisogna imparare a palleggiare (strano come questo verbo significhi tre cose totalmente diverse per i tre sport che ho nominato – ci avete fatto caso?), a passare a una mano, a due mani dal petto, da sopra o consegnato, a tirare, a fare un arresto seguito da un tiro o un passaggio, a fare un cambio di mano in palleggio davanti, in virata (esiste anche questo! O almeno esisteva una volta ed era molto utile) o magari dietro la schiena (come piace tanto ai giovani che però si rendono ridicoli perché per non colpirsi il deretano arcuano la schiena in modo esilarante facendo figure da cessi completi). Il basket era bello anche perché la lista dei movimenti corretti da eseguire era praticamente interminabile – vogliamo aggiungere le varie tecniche usate nella tattica individuale, su come si porta il blocco, su come se ne esce, come si fanno gli scivolamenti difensivi, come si porta il tagliafuori eccetera, eccetera? – per cui per acquisire la tecnica corretta ci si doveva fare un mazzo sterminato passando ore e ore in palestra sotto gli occhi di istruttori pedanti ed inflessibili. Parlo ovviamente del passato perché oggigiorno la cura della tecnica è scaduta a livelli infimi. La ragione principale perché ciò sia avvenuto l’ho già ripetuta infinite volte e risiede sostanzialmente nel fatto che oggigiorno sono spariti gli istruttori di basket rimpiazzati da strateghi in erba che vogliono solamente vincere gli insignificanti campionati giovanili di loro competenza. Per esempio sto sfruttando questo periodo per fare ogni tanto una sessione di tiro con mia nipote tentando disperatamente di insegnarle il movimento corretto che finora (in sette anni!) nessuno si era preso la briga di tentare di insegnarle. Il bello (o brutto, secondo i punti di vista) è che mi sembra che ci stia riuscendo, anche se il compito è titanico perché le cattive abitudini poi riemergono inevitabilmente a galla quando si è sotto stress, tipo in partita, e non si ha tempo per pensare a come eseguire un movimento che dovrebbe essere automatizzato. E dire che mi ritengo tutto fuori che Pete Newell, sono semplicemente un infimo istruttore tipo vecchi tempi. Credetemi, appunto ai miei tempi, a Trieste ce n’erano di molto migliori di quanto non potessi essere io (per i triestini alcuni nomi: Orlando, Micol, Franceschini, Marini, Stibiel, Pituzzi, il professor Ghietti, per nominarne solo alcuni). Ieri sono stato a Fogliano, ospite dei miei meritevolissimi amici che ogni anno organizzano un riuscitissimo oceanico torneo dedicato alle categorie giovanili, ed ho visto partite (Under 17) fra squadre nelle quali per esempio non ho visto una guardia che fosse una capace di fare le cose che normalmente si richiedono ad una guardia: di sapere palleggiare e tirare, di passare la palla non si parla, perché il passaggio, fondamentale fondamentalissimo, se mi passate il bisticcio, sembra oggigiorno quello più negletto, per non parlare della lettura della partita, dei tempi del gioco, eccetera, perché questo vorrebbe dire sconfinare nel campo della conoscenza del gioco di cui ho già parlato infinite volte. Eppure insegnare la tecnica ad una guardia non dovrebbe essere particolarmente difficile: trattandosi normalmente di un normolineo (almeno per gli standard del basket, dove i nani alla Maradona o Messi non possono comunque avere molte chance) non dovrebbe avere problemi insormontabili di coordinazione neuromuscolare da non riuscire ad imparare ad eseguire correttamente almeno i gesti tecnici più elementari tipo arresto e tiro.

Prendendo in considerazione proprio il mio caso personale con la lotta ingaggiata per insegnare a mia nipote a tirare penso che non dovrebbe essere troppo difficile dare una sterzata alla disastrosa deriva presa dal basket attuale ricominciando ad insegnare almeno la tecnica che, ripeto, è il fondamento imprescindibile per neanche avere l’idea di partenza di intraprendere una qualsiasi attività sportiva. Non si può suonare il piano o la chitarra senza fare ore e ore di scale avanti e indietro o sequenze di accordi. Non si può guidare la macchina senza imparare a sterzare, a partire in salita o cambiare marcia. Non si può fare il muratore senza sapere come stendere la malta o mettere un mattone sopra l’altro. Così non si può giocare a basket senza sapere perlomeno tirare, visto che il gioco si chiama palla a canestro e per vincere bisogna imbucare più palloni possibili. Secondo il vecchio detto jugoslavo che no tiro, no basket uno immagina che la primissima cosa che uno dovrebbe insegnare ai ragazzini che si avvicinano al basket sia appunto il tiro a canestro insistendo fino allo sfinimento che fin dai primissimi momenti in cui uno prende la palla in mano faccia il gesto corretto col giusto allineamento delle leve della catapulta, come la chiamo io, spalla, gomito, avambraccio, polso eccetera. Fra l’altro se uno impara come primissima cosa a tirare (e soprattutto entra nell’ordine di idee che il tiro è l’essenza stessa del basket) avrà subito le sue soddisfazioni e chissà che non si appassioni seriamente al gioco anelando da solo a tentare di imparare le altre cose che portano alla possibilità di eseguire il gesto supremo, il tiro intendo, e cioè il palleggio e arresto, lo smarcamento senza palla per ricevere il pallone e così via.

Poi c’è stata una domanda di mia nipote che ha aperto il tema cruciale. “Zio, ma la mia amica Anna – nome a caso – è vero che ha un tiro tecnicamente eccellente?” “Vero, è praticamente perfetto.” “E allora perché non segna mai?“.

Appunto. Perché la Repubblica ceca con tutta la sua tecnica ha giocato contro una squadra che aveva nelle sue fila un giocatore che in fatto di talento valeva più di tutta la Repubblica ceca (senza Rosicky) messa assieme. Ma questo è tutto un altro discorso.