Belinelli, a fari spenti (o occhi chiusi?) verso un traguardo medaglie che sembra lontanissimo (foto Pasquale Cotugno)

Ci si può girare intorno quanto si vuole, si possono chiamare in causa infortuni, inadeguatezza dei singoli, colpi di sfortuna o congiunzioni astrali, ma ci sono alte probabilità che l’Italia si avvii ad un altro Europeo deludente.

Il CT Ettore Messina (foto M.Cogliati)

Lo scriviamo nella speranza di essere perentoriamente smentiti – sia chiaro – ma le premesse per un’altra spedizione modesta ci sono tutte: il cammino verso Tel Aviv è nato male con le annate più o meno storte dei vari Bargnani, Gentile e Polonara, è stato macchiato dal “raptus Mayweather” di Gallinari ed è stato costellato di incertezze, dai dubbi di Ettore Messina (in particolare nel settore lunghi, con Cusin tagliato e poi ripreso alla luce delle difficoltà di Cervi) ai difetti ormai incancreniti di una squadra che non tiene un primo passo in difesa e raramente riesce a sfruttare il diffuso talento offensivo. Per concludersi con l’infortunio di Dada Pascolo, che accorcia ulteriormente la “coperta” del CT. Insomma, pur cambiando alcuni dei componenti (prezioso in particolar modo l’inserimento di Filloy, un giocatore con pedigree inferiore a gran parte della squadra che però, con impegno e personalità, ha presto superato Cinciarini e Vitali come vice-Hackett facendosi addirittura preferire nei finali) la nostra Nazionale non sembra trovare il bandolo della matassa, perennemente alla ricerca di equilibri e gerarchie che ne accrescano certezze e continuità. E anche giocatori valorizzatisi con i rispettivi club quali Melli, Datome e lo stesso Pascolo appaiono spesso titubanti, affetti da un inspiegabile timore reverenziale anche contro avversari di livello pari o inferiore. In linea con la logica del “bravi lo stesso” che – unita a molti altri fattori – sta rendendo perdente lo sport italiano.

Quel che però è diverso, rispetto alle manifestazioni passate, è che stavolta l’opportunità di tornare a salire sul podio, persino sul gradino più alto, sarebbe davvero ghiotta: in primo luogo questa generazione, dal punto di vista anagrafico, è al suo culmine: 32 anni Bargnani e Cusin, 31 Belinelli e Cinciarini, 29 Datome, Hackett e Gallinari, 28 Aradori, senza contare che molti dei presunti giovani hanno già abbondantemente passato i 25. In secondo luogo, complici l’assenza di un doppio stimolo allettante (l’Eurobasket non qualifica più per Mondiali o Giochi Olimpici) e qualche infortunio pesante occorso a giocatori che avrebbero preso parte volentieri (Teodosic, Llull e Antetokounmpo su tutti), non sembra esserci una schiacciasassi inarrivabile. Non lo è la Spagna, falcidiata dalle assenze e in piena transizione generazionale; non lo è la Francia senza Parker e Batum; non lo è la Serbia, a maggior ragione senza Teodosic e Bjelica; e certo non lo sono Croazia, Grecia, Lituania, Russia o altre, tutte competitive ma battibili senza necessità di imprese titaniche.

Tutto ciò non significa che la generazione successiva, quella di Gentile, Della Valle, De Nicolao, magari Mussini e altri non combinerà nulla di buono, ma ci sarà da aspettare (o meglio ricostruire) e sperare, confidando nell’approccio meno tattico e più mentale di Meo Sacchetti. Cause e responsabilità del mancato rispetto delle grandi aspettative dell’ultimo lustro sono già state approfondite, e non è nostra intenzione contribuire alla destabilizzazione dell’ambiente quando ancora la prima palla a due dell’Europeo deve essere alzata, ma qualsiasi acrobazia retorica non potrà mai nascondere la forte impressione che quest’Italbasket abbia “perso il turno” che le spettava (com’è fisiologico per una grande della pallacanestro europea) nei tre lustri successivi all’argento di Atene per alzare al cielo un trofeo, o almeno una medaglia pregiata. Dovremmo dire stia perdendo il turno, ma temiamo che questo prematuro epitaffio, riletto tra un paio di settimane, non avrà perso d’attualità.


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