Joan Plaza è un personaggio molto interessante, un coach insolito e una persona con un cammino speciale alle spalle. Nel suo passato ci sono grandi squadre blasonate premi dal sapore speciale ma anche piccole squadre della provincia spagnola dove Plaza ha inziato, non uno dei tanti “nati con il pallone in mano”, ma un predestinato dalle grandi capacità. Nato in una famiglia molto numerosa, Plaza ha lavorato per 14 anni come secondino in una prigione, non accantonando mai la passione per la pallacanestro che è diventato il suo lavoro. Lo abbiamo incontrato ad Atene, dove Joan Plaza è venuto con la sua Malaga per giocare contro i campioni in carica dell’Olympiacos.

Coach, lei è uno degli attori più interessanti di questa Eurolega. Un allenatore, uno scrittore di romanzi ed è stato anche un secondino. Ci racconti qualcosa dei suoi inizi.

Sono nato a Barcellona ma sono cresciuto a Badalona, il posto dove tutti dicono di essere nati con la palla da basket in mano. Quindi iniziare è stato piuttosto difficile. Ho iniziato in una piccola scuola di pallacanestro che ho aperto con mio fratello e siamo cresciuti molto gradualmente, creandoci un nome. Abbiamo iniziato a vincere a Badalona, poi a Barcellona. Hanno iniziato a firmare i nostri giocatori e poi gli allenatori. Così sono diventato vice-allenatore a Badalona e da lì allenatore delle squadre juniores. Purtroppo, i soldi che mi davano non erano abbastanza. Venivo da una famiglia con 6 fratelli e dovevamo lavorare per mangiare tutti. Avevamo un piccolo negozio di gomme a Barcellona ma i miei genitori dovettero chiuderlo per colpa della concorrenza. E quindi mi chiesero di trovarmi un lavoro per dare una mano. Mi ero ripromesso che non sarei mai finito in prigione ma, come sempre, quando dici mai è proprio il momento in cui ti sbagli. Ho passato 14 anni a lavorare in prigione come secondino. Un percorso insolito per un allenatore ma molto normale per uno che veniva da una famiglia in difficoltà.

Dopo le esperienze spagnole, lei a deciso di andare in Lituania, allo Zalgiris Kaunas. Una cosa piuttosto insolita per i coach spagnoli che tendono a spostarsi poco verso l’estero. Come è maturata questa decisione? Quanto è stato importante per la sua crescita come allenatore?

Ho sempre creduto che per diventare un buon allenatore, è necessario crescere passo dopo passo.  Ho iniziato ad allenare bambini di 6 anni, poi quelli di 10 e via dicendo. Ho fatto tutto il percorso. Quando sono arrivato ad allenare il Real Madrid, il Siviglia, quando sono arrivato ai massimi livelli in Spagna, sentivo che per migliorare ulteriormente dovevo volare via, sentivo di dover andare all’estero. So bene che non è affatto normale per un allenatore spagnolo, e non lo è per molti motivi: il campionato stagnolo è uno dei migliori, in Spagna si guadagna bene e ci sono i grandi giocatori. Tuttavia, a me non bastava. Io dovevo partire. Prima di andare in Lituania sono stato a una passo dall’andare ad allenare in Francia e a Beirut. Poi è arrivata la possibilità di allenare lo Zalgiris e ho accettato. Uno dei momenti più importanti della mia carriera. Non solo perché abbiamo vinto il campionato ma soprattutto perché è stata la prima volta nella mia carriera in cui non mi hanno pagato. Quando la squadra ci ha detto che non poteva pagarci, ho dovuto scegliere se rimanere. Restare è stata la miglior decisione della mia carriera. Ogni sera c’erano 15.000 persone che venivano alla Zalgiro Arena per vederci giocare e ringraziarci della scelta che avevamo fatto. Un’esperienza indimenticabile e credo anche questa non sarà l’ultima all’estero della mia vita.

Se potesse scegliere, dove vorrebbe andare?

Sicuramente in uno dei posti più importanti d’Europa. Mi piacerebbe avere la possibilità di andare in Grecia, oppure in alcune squadre russe, in Italia o anche il Maccabi sarebbe sicuramente un posto interessante dove andare ad allenare, dove scoprire anche una cultura differente. Ho detto tante volte che io non ho segreti e che non ho nessun tipo di “glamour”. Il mio unico obiettivo è di arrivare al cuore della pallacanestro e dei miei giocatori. Ed è una cosa molti difficile da fare in una lingua che non è la tua lingua madre. Sono molto attratto da questo tipo di esperienza.

Durante la regular season, Malaga è sembrata un po’ troppo “Caner-Medley” dipendente. Ora le cose sembrano più equilibrate. Cosa è successo?

Niente di particolare. Siamo una squadra che cresce ogni giorno e che si scopre ogni giorno. Non abbiamo ancora trovato il nostro equilibrio. Ci vuole solo un po’ di tempo. Uno dei segreti per un allenatore è saper trovare il modo per giocare al meglio con ogni suo giocatore. Sei o otto anni fa questa squadra lottava per vincere il campionato, adesso invece le cose sono cambiate e bisogna iniziare un nuovo corso. Anche se non abbiamo giocatori di altissimo livello in un tutte le posizioni del campo, quello che è importante per noi è dare continuità e sostanza al nostro gioco. Questa strategia, quando recupereremo tutti i giocatori infortunati ci permetterà di tornare a giocare al massimo delle nostre possibilità.

Questo gruppo è l’unione di giocatori esperti e giovani talenti. Come fa a unire le due cose?

Devo ammettere che è una cosa cui non sono abituato. Mi è capitato di allenare squadre di giovani giocatori alla prima esperienza o quasi tra i professionisti, con loro cerchi di caricarli al massimo per fargli capire che quella può essere un’esperienza importante per apparire. Mi è capitato di allenare squadre molto esperte nelle quali, da allenatore, con il misurino dividi le responsabilità tra le grandi personalità a disposizione. Avere giocatori giovani in squadra, e trovare minuti per loro, è fondamentale. Ci sono squadre, come il Laboral Kutxa, che stanno facendo grandi cose senza questa strategia. Ma far giocare i giovani è fondamentale per il futuro del nostro sport. Bisogna sempre lavorare a lungo periodo. Un allenatore deve sapere come andare al cuore di entrambi. Avere entrambe le realtà per me è fondamentale.

Zoran Dragic sta giocando una stagione fantastica. Troppo spesso, vediamo in lui solo il fratello di Goran (Phoenix Suns ndr) ma Zoran è un giocatore diverso che può avere un futuro altrettanto luminoso. Quanto è importante Dragic per questa squadra?

E’ fondamentale. Prima del mio arrivo, tutti mi dicevano: “Quel ragazzo ti piacerà”. Ed è vero. Lo avevo visto giocare contro di noi, quando allenavo lo Zalgiris, lo avevo visto giocare con la nazionale ma finché non sei in palestra con lui non sai mai se è un giocatore che ha voglia di imparare e migliorare ogni giorno. Dal primo giorno che l’ho avuto in squadra ho capito che è esattamente quel tipo di giocatore. Arriva per primo agli allenamenti, da’ il massimo, se ne va per ultimo. L’hanno scorso, Zoran, giocava più o meno undici minuti. Quest’anno ne gioca 23. In nazionale gioca spesso come numero 3. Io voglio che giochi come numero 2 o anche come 1-2. Zoran ha il futuro nelle sue mani. Se verrà consigliato bene e se non ascolta quelli che gli dicono di fare scelte affrettate, come andare in NBA troppo presto, allora si che un giorno potrebbe giocare oltreoceano.

La settimana scorsa, ha scoperto che Calloway dovrà saltare le prossime settimane. Un’assenza che potrebbe colpire seriamente il vostro sistema. Come crede di risolvere la sua mancanza?

Calloway è molto imporante in questa squadra, soprattutto perché, come Urtasun e Vidal, ha già giocato con me a Siviglia. Conoscono il mio sistema e sanno cosa voglio dai miei ragazzi. E’ un peccato soprattutto per lui. Tre anni fa, quando eravamo in Siviglia, dovevamo andare a giocare le Final Four di EuroCup e Calloway si infortunò proprio qualche giorno prima della partenza. Adesso, dovrà saltare questa Copa del Rey. Per la mia squadra, e per il modo in cui lavoriamo, se Calloway dovesse saltare solo qualche settimana non ci saranno grossi problemi. Se dovesse saltare tutta la stagione, credo che parlerò con la squadra per cercare un nuovo giocatore.

Come vede il vostro proseguimento in questa Eurolega?

E’ vero che nessuno si occupa di noi. E questo ci lascia la possibilità di lavorare con calma senza pressioni.  E’ vero che abbiamo avuto dei momenti molto positivi in questa stagione. Qualche partita in cui abbiamo tenuto contro squadre come l’Olympiacos e Barcellona. Noi sappiamo quali sono i nostri limiti. Il nostro primo obiettivo deve essere fare bene in casa.

Noi non possiamo mentire a nessuno, soprattutto a noi stessi. So che possiamo giocare alcuni ottimi quarti anche contro le squadre più forti, però non abbiamo ancora i quaranta minuti al massimo delle nostre possibilità. 


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