L'Aquila Basket Trento e la mascotte. Fonte: Ufficio Stampa Aquila Basket Trento

L’Aquila Basket Trento e la mascotte. Fonte: Ufficio Stampa Aquila Basket Trento

Se vendi scarpe, puoi arrivare in un paese esotico dove non si usano e pensare: “Qui vanno tutti scalzi. Peccato!”; oppure invece: “Qui vanno tutti scalzi. Meraviglioso!”, cominciare ad importare scarpe e fare tuo l’intero mercato. Sarà che la vita, in montagna, è sempre stata più faticosa rispetto alla pianura, e a fine giornata non restavano calorie per correre dietro a palloni, sarà che la conformazione geografica tende ad isolare piuttosto di unire. Il Trentino delle montagne e dei campi di mele è sempre stato distante dalle fedi sportive, ma con l’Aquila Basket le cose potrebbero cambiare. Merito di un gruppo di giovani motivati e ben diretti, che perseguono obiettivi chiari. No, stavolta non si parla di giocatori: il gruppo è quello del management, a capo del quale c’è Salvatore Trainotti.

Volevo fare il commercialista. E poi…

Dottor Trainotti, coach Trainotti, Gm Trainotti: definizioni tutte valide. Fonte: Ufficio Stampa Aquila Basket Trento

Dottor Trainotti, coach Trainotti, Gm Trainotti: definizioni tutte valide. Fonte: Ufficio Stampa Aquila Basket Trento

«In Trentino in effetti non c’è mai stata una pallacanestro ad alti livelli. Ma forse non c’è mai stata neanche una cultura sportiva di squadra. – spiega il Gm Trainotti – Il calcio praticamente non c’è, la pallavolo è un fenomeno recente legato ai risultati. Questo è il contesto. Ora, se noi pensiamo di essere bravi perché siamo primi in classifica e abbiamo un seguito, facciamo un errore classico. Se vuoi creare qualcosa di duraturo, non legato ai risultati, devi creare un radicamento, far sì che la passione della pallacanestro diventi anche un’abitudine, una pratica. Trasmettere una cultura slegata ai risultati». Salvatore Trainotti è trentino di Trento, a dispetto del nome che porta e di una mentalità da cittadino del mondo che condivide con un po’ tutta la sua squadra. Voleva fare il commercialista. Oppure l’allenatore. E non necessariamente in questo ordine. Però «uno unisce i puntini un po’ alla volta, e il disegno lo vede alla fine»: Trainotti si laurea in economia, diventa allenatore, fa un master in gestione di organizzazioni no profit. Molti sanno gestire una realtà no profit, tanti sanno allenare una squadra di basket. Ma quanti sanno fare entrambi? Uniti i puntini, il disegno è che Salvatore oggi fa il general manager(«La cosa divertente è che ho fatto ciò per cui ho studiato senza averlo pianificato»considera riguardo al passato), e con lui l’Aquila Basket è salita in serie A («La nostra è già una serie A! Una A due, continuano a cambiarle nome e ciò non è chiaro») risalendo la china dalla serie D, dove tutto è cominciato nel 1995. Allora Trainotti allenava e studiava. L’Aquila, quando era un pulcino, era una società tra le poche che in Trentino si occupano di pallacanestro, in più aveva solo la posizione nel capoluogo. Altre avevano più vivaio, più tradizione, una prima squadra in serie B. A Trento c’era solo la fame, la tradizione non c’era. Ma quest’ultima si può inventare.

Veni, investi, vici.

Come i grandi d'Europa, anche a Trento i tifosi possono diventare azionisti.

Come i grandi d’Europa, anche a Trento i tifosi possono diventare azionisti. Fonte: Ufficio Stampa Aquila Basket

Nessuno aveva detto che sarebbe stato facile. La voglia spinge la società dalla D fino alla A dilettanti, con il titolo acquistato da Lumezzane, ormai estinta. Il coach è Vincenzo Esposito, si chiude al nono posto. L’anno successivo arriva coach Buscaglia (Trainotti e Buscaglia si conoscono da quando entrambi bazzicavano in C1 – «siamo complementari caratterialmente, ci lega l’ambizione e siamo molto diretti quando ci confrontiamo» – e questo rende tutto più facile) e Trento conquista sul campo la promozione in LegaDue. Fino a qui, tutto bene. Poi, nel giugno 2013 l’Aquila Basket resta senza proprietà. Le persone erano praticamente le stesse dal 1995. Dalla serie D alla serie A aumentano gli onori ma soprattutto gli oneri: «Ci è stata garantita la società, ma non le risorse. E quindi abbiamo dovuto cercarle». Di necessità, virtù. «Molti soggetti imprenditoriali contribuivano, magari con poco ma in modo costante. Così abbiamo pensato di coinvolgerli di più, creando un Consorzio di sponsor. Oggi i consorziati sono 34, ci sostengono per passione e perché in concreto è un’opportunità di business, di fare rete». Gigi Longhi, giornalista di mestiere e presidente dell’Aquila per vocazione, incarna lo spirito del progetto: passione, impegno, valori dentro e soprattutto fuori il campo. Dalla società di assicurazioni all’azienda delle trote trentine, dal pastificio della Val di Fiemme alla catena di specialità dolciarie: Andrea Nardelli, il giovane responsabile marketing, guida su e giù per la regione alla ricerca di nuove adesioni e le trova. I giornali parlano dell’iniziativa e in sede a Trento cominciano ad arrivare singoli cittadini che dicono di voler contribuire, nel loro piccolo, al progetto. «La cosa piaceva, ma subito non capivamo come gestire l’ingresso dei tifosi, perché in Italia le normative sono difficili da attuare. Abbiamo però guardato all’esempio del Barcellona, delle squadre inglesi, soprattutto del Bayern Monaco. Così abbiamo creato un Trust di tifosi che potesse rilevare quote della società. Ad oggi gli associati sono oltre 300». Quando arriveranno a 500, il Consorzio cederà gratuitamente il 40 % delle quote della società, dando luogo a una formula imprenditoriale mista, con una rappresentanza di tifosi insieme al management e alla proprietà. «Da un lato è un limite perché elaborare strategie sarà più complesso – considera il gm – Il management dovrà interpretare al meglio i feedback di proprietà e rappresentanti del Trust. Ma dall’altro lato si coinvolge veramente il tessuto sociale del territorio».

Un gioco da ragazzi

Il sabato sera, a Trento, la partita dell’Aquila è diventata una valida alternativa al niente, surclassando una movida che non c’è a suon di intrattenimento e coreografie, pop corn e cheerleaders (per un esempio di ciò che offre il Palatrento, vedere sopra). Il modello è quello dell’Nba: Salvatore è un frequentatore abitudinario degli States. «Dobbiamo offrire il miglioreprodotto. Un limite della pallacanestro italiana in questi anni è stato quello di mettere al centro gli interessi degli addetti ai lavori, mentre al centro dovevano esserci quelli che pagano il biglietto, quelli che seguono questo sport, leggono i giornali, guardano la tv. Marketing vuol dire questo: lavorare in funzione dei tifosi». Ma non è tutto marketing e niente arrosto. Il vivaio trentino è ancora un potenziale. La prima squadra è stellare ma non realmente sorretta da un settore giovanile forte: questo è l’effetto collaterale di una tradizione cestistica appena avviata, e in queste condizioni non resta che agire a rovescio, promuovendo il vertice sperando di allargare la base e non viceversa. «La nostra mission è coinvolgere più ragazzi possibile nella pallacanestro, anche facendo rete con altre società sportive sul territorio». Il Trentino è fatto principalmente di monti, valli, vigne e campi di mele: dimenticate la pianura, per fare 40 km a volte ci vuole un’ora. Fare rete tra le società sportive non è così immediato, sebbene necessario. «Nelle giovanili dobbiamo diffondere un sistema valoriale, di valori tecnici e di comportamento. – continua Trainotti, che ha in mente il modello statunitense – Vuol dire soprattutto imparare a fare fatica. In Usa ogni ragazzo deve conquistare il posto in squadra, da noi invece è tutto dovuto. Così si devono creare scorciatoie per dare spazio ai giovani, vedi i regolamenti per gli Under..tutele da panda! A 19 anni prendono già uno stipendio, ma è meritato? È un lavoratore? E poi, siccome hai preso scorciatoie, quando te le tolgono, cadi». La mentalità del Gm: «Ti dicono che non vali perché sei grasso? Vuol dire che devi correre, far vedere che riesci più di uno che dicono non essere grasso come te. Bisogna dimostrare di valere, al di là di quello che dicono gli altri».

“Non succede…ma se succede…”

Gli Altri, nel caso dell’Aquila, si possono chiedere: ma Trento è pronta per la serie A vera? «Domanda da fare alla proprietà. Ci vogliono anche condizioni organizzative ed economiche diverse da quelle che abbiamo adesso – risponde Trainotti – il management deve creare le condizioni per vincere. Arrivati qui peròvorremmo arrivare fino in fondo. Sappiamo sarà dura. Con grande umiltà, ma vorremmo arrivare fino in fondo». Il basket rischia di usurpare l’egemonia del volley in città, dove finora la rivalità con i colleghi pallavolisti si disputava sugli orari di allenamento: il palazzetto è uno, e all’Aquila tocca spesso di sacrificarsi in orari assurdi (allenamenti dalle 12 alle 15). «Ma la presenza di una squadra mondiale di pallavolo è stata motivo di crescita grazie al confronto con i migliori top manager sportivi». I playoff saranno la prova del nove: «Arrivare in A con Trento, la squadra della mia città, sarebbe il massimo. E sarebbe splendido anche per coach Buscaglia, che ha compiuto un percorso tecnico incredibile, dalla serie C alla serie A. Questa è la prova di valori tecnici e morali incredibili». A Trento andavano scalzi, ora calzano le Jordan.