285791_10151146485924475_1209817226_n copia

Matteo Cavagnini, bresciano, 38 anni è attualmente in forza al Santa Lucia Sport Roma con cui ha vinto lo scorso campionato (foto: da Facebook).

DailyBasket intervista Matteo Cavagnini, Capitano della Nazionale italiana di pallacanestro in carrozzina, per fare un bilancio sulla spedizione italiana a Londra 2012 e per presentarci la situazione del campionato italiano e per spiegarci il senso della sua nuova carriera da attore sul set di in una sit-com.

 

 

DB: Cosa è rimasto dell’esperienza di Londra 2012 e cosa si può tenere di positivo per la Nazionale italiana di basket in carrozzina?

MC: Londra mi rimarrà sicuramente nel cuore. Purtroppo a noi è andata male. Il risultato sportivo è, sì, andato male, ma ritengo che Londra sia stata la migliore paraolimpiade di sempre. Lo dicono i numeri, lo dicono gli impianti, lo dicono i riscontri mediatici: è stato un evento favoloso. Mi sono sentito parte di un’anima. Durante la cerimonia di chiusura, durante il concerto dei Coldplay o di Rihanna ho avvertito l’anima delle Paraolimpiadi! È stata un’emozione enorme e indescrivibile! Non mi ritengo un veterano delle Paraolimpiadi visto che è solo la seconda a cui partecipo dopo Atene 2004, ma, comunque, in vent’anni ho visto lo sport e il mondo Parolimpico cambiare.

DB: Cosa ti senti di rispondere, da protagonista, ad alcuni, come Paolo Villaggio, che avevano messo in dubbio l’opportunità di esibire le prestazioni degli atleti paraolimpici?

534175_3575391263553_1204959322_n

Cavagnini è stato 3 volte miglior realizzatore in Azzurro dove ha conquistato 3 Europei e un 4° posto ai Mondiali (foto: da Facebook).

MC: Sicuramente la sparata di Villaggio al nostro movimento non ha fato che bene perché ha fatto aprire ancora di più gli occhi alla gente. Preferisco, comunque, pensare che abbia fatto quella sparata politicamente scorretta con l‘intento di provocare, piuttosto che ritenerlo convinto della posizione presa. Villaggio è un grande professionista e non credo che quella frase l’abbia detta a caso: forse addirittura voleva attirare ancora più l’attenzione sulle Paraolimpiadi, su sport meravigliosi praticati da atleti che fanno sacrifici come gli atleti normodotati e che a volte, per raggiungere un risultato, devono sudare anche più di un atleta normale.

DB: Parlando di atleti pare si possa dire che Patrick Anderson del Canada (MVP del torneo e medaglia d’oro) sia un po’ il LeBron James della pallacanestro in carrozzina: che ne pensi?

MC: Decisamente Patrick Anderson è “l’Atleta” della pallacanestro per eccellenza: è il migliore di tutti ed è il personaggio che ha dato a questo sport la spettacolarità che tutti abbiamo apprezzato. Non nascondo che osservandolo, rimango incantato e che giocare contro Patrick Anderson, come mi è successo in un torneo in Belgio questa primavera, è qualcosa di eccezionale.

DB: A partire dal citato Anderson si nota nella competizione olimpica ci sono state anche ripetizioni di finale delle edizioni passate: in fondo al torneo ci sono sempre Stati Uniti con le nazioni del Commonwealth, più Germania e Olanda, includendo anche il torneo femminile: cosa motiva questo gap con il resto del mondo e con il nostro paese? L’organizzazione, le strutture, la mentalità, l’educazione scolastica?

MC: Il Canada è un argomento a parte perché ha, come detto, un fuoriclasse. Per le altre credo ci sia una organizzazione e una preparazione diversa. In Italia abbiamo la fortuna di avere un comitato paraolimpico che lavora veramente bene: siamo una delle poche nazioni ad avere una federazione del basket in carrozzina (FIPIC, ndr) che, nonostante qualche pecca che va riconosciuta, ha lavorato bene.

DB: Qual è il bilancio sulla spedizione della nazionale italiana a Londra (decimo posto), che veniva da ottimi risultati ai Mondiali e agli Europei?

MC: Il bilancio è sicuramente negativo perché senza nasconderci speravamo in qualcosa di più. Abbiamo passato un anno di sacrifici, come tutte le altre nazioni, certo, ma venivamo da un quarto posto mondiale, non da un decimo. Siamo comunque una nazione competitiva con gente competitiva  e preparata sulla pallacanestro e non meritavamo di finire decimi. Poi una serie di episodi ci hanno portato a non poterci esprimere al meglio a non poter andare al massimo ad arrivare, quindi, a Londra in una condizione mentale scarica e questo ha pesato su tutte le partite. Qualcosa non è andato dall’inizio: non so se qualcuno si è preso la briga di contarle, ma credo che abbiamo disputato qualcosa come 18 amichevoli riuscendo a vincerne 5 e riuscendo a perdere contro la rappresentativa Catalogna e contro le riserve della nazionale inglese.

DB: Come vedi in questa stagione la situazione del campionato italiano?

MC: Purtroppo si tratta di un campionato ridotto perché la crisi ha colpito anche il basket in carrozzina. Siamo 7 squadre che però paradossalmente si sono rinforzate tutte. Non saprei dire chi è il favorita: il Santa Lucia di Roma, forse, perché è campione in carica, ma sarà un campionato duro perché non ci sono squadre materasso e le vittorie sono tutte tirate, di  1-2  punti. Questo ci stimola ancora di più. Tra le contender del Santa Lucia ci metto sicuramente Sassari; Cantù Macerata Porto Torres e Giulianova potrebbero essere le outsider. Magari un più staccata può essere Padova.

DB: Cosa puoi raccontare della tua nuova avventura da attore in una sit-com?

MC: Non la considero nemmeno una sfida. Mi è stata offerta questa possibilità dall’amico Dario Rolfi, di Ponte San Marco (BS) che ha una ditta di allestimenti speciali per disabili per auto. Lo conosco da anni e ho sposato la sua filosofia, o lui ha sposato la mia, di promuovere lo sport paraolimpico sempre in maniera dignitosa e spettacolare, prendendo come riferimento dello sport paraolimpico sempre la bellezza. Questo insegnamento lo devo a lui tanto che dopo tanti anni di amicizia ha deciso di investire nella sit-com. Si chiama “SPA” ( in onda su Italia 2 del digitale Mediaset il lunedì, martedì, giovedì e venerdì, alle ore 16) perché è, appunto ambientata in una spa e sull’onda del film “Quasi amici” e delle Paraolimpiadi di Londra è nata l’idea di inserire un personaggio disabile. Dario si è opposto all’utilizzo un attore che interpretasse un disabile, volendo una persona realmente disabile, nella convinzione che i tempi siano ormai sono maturi, anche se scegliendo una persona disabile ne si debbono accettare i limiti fisici, visto che non sono un fotomodello, ma anche tecnici, ovvero che non sono un attore. In tal senso, quindi, ha proposto me alla produzione, credo per un discorso di rappresentatività, essendo anche il capitano della Nazionale; successivamente  ho fatto un casting con  il regista Gianfranco Nullo ed è andato bene.

Ho accettato questa sit-com per gioco, però non nascondo che per me è anche un modo di contribuire alla promozione del mondo dello sport paraolimpico, soprattutto della pallacanestro. Non nego di non apprezzare granché la televisione italiana, però penso che i tempi siamo maturi: il pubblico ha bisogno di altro. Questa è una produzione certamente leggera, perché il mio è un personaggio divertente, ma i tempi sono maturi per promuovere altre realtà e altre situazioni di vita reale.