Marco Belinelli intervistato a fine partita (Foto A. Beltrama 2012)

Dal nostro corrispondente

CHICAGO, Ill. – Avevamo lasciato i Bulls esattamente un mese fa, al termine della partita vinta contro Minnesota. Li ritroviamo oggi, in una serata in cui l’inverno comincia a farsi finalmente sentire in riva al Lago Michigan. Diciamo finalmente, perché le temperature fatte registrare negli ultimi giorni erano anomale, da quanto tiepide, e perché a noi Chicago piace così, fredda e pungente come solo lei sa essere.

Arriviamo allo United Center dopo avere speso il pomeriggio allo UIC Pavilion, campo di casa della University of Illinois at Chicago, che dista a pochi isolati dall’arena dei Bulls. Una sola è, infatti, la fermata della CTA, la linea metropolitana cittadina, a separare i due impianti (che coincidono approssimativamente a ‘Racine’ e ‘Illinois Medical District’ della Blue Line), che ci permette di effettuare il trasferimento in una manciata di minuti.

Siamo dunque già caldi, dopo che lo spettacolo offerto dalla Colorado State-UIC pomeridiana è stato tutt’altro che malvagio. Anzi, ci siamo proprio divertiti, nonostante una partita che di cartello proprio non era.

Altra prova molto positiva del nostro Marco Belinelli (Foto Getty Images)

Tocca ora ai professionisti, e che professionisti. Sono i New York Knicks a fare visita ai Bulls. Knicks che sono reduci dalla tanto acclamata vittoria-trionfo di due sere fa a Miami, finita con un +20 che ha lasciato a bocca aperta l’opinione pubblica di mezza America. Sul fatto che si sia ancora a inizio dicembre, poco sembra importare alla maggioranza degli opinionisti, che più si sono soffermati sull’assenza dal campo di Carmelo Anthony, e sulla valanga di triple messe a segno dai suoi compagni a danno degli Heat.

La nostra speranza era ovviamente quella che Anthony riuscisse a recuperare in tempo per scendere in campo stasera. Invece, il problema al dito della mano sinistra non è ancora risolto, e a noi rimane perciò un po’ di amaro in bocca, anche considerando che siamo reduci da un paio di partite in cui le squadre avversarie dei Bulls (Hornets prima, Timberwolves poi) si sono presentate senza i loro migliori giocatori in campo (rispettivamente Anthony Davis e Kevin Love).

Scontata, poi, la mancata apparizione di Amar’e Stoudemire, il cui ritorno — nonostante la relativa disinvoltura dimostrata nel pre-partita di fronte ai nostri occhi — non è ancora imminente. A proposito di pre-partita, è però lo stile inconfondibile di Walt Frazier (sotto forma di basette e colori sgargianti) ad attirare la nostra maggior attenzione. Ci ritroviamo assieme a lui a fare la fila al buffet nella media room, il che non può che essere una piccola emozione.

Raggiunti i nostri posti in tribuna stampa, lassù dove non osano nemmeno i piccioni (si fa per dire, a noi va benissimo così), siamo impazienti che arrivi finalmente il momento della palla a due. L’attesa è tanta, gonfiata ulteriormente dal positivo momento vissuto da Marco Belinelli, che nelle ultime tre partite è riuscito a sfruttare alla grande lo spazio concessogli dall’infortunio di Rip Hamilton.

Dopo le ultime due uscite da 16 e 23 punti, è lecito dunque aspettarsi un’altra solida prestazione dall’italiano. L’avversario di turno è sicuramente un osso più duro rispetto ai Pacers e ai Pistons affrontati nelle ultime serate, soprattutto se si pensa al lavoro in difesa che un elemento come JR Smith gli procurerà.

Eccoci al tip-off, finalmente. New York parte bene, si porta subito sullo 6-0, quando la mano veloce di Belinelli in difesa innesta il contropiede chiuso da Joakim Noah. Le due triple consecutive del Beli e di Kirk Hinrich portano velocemente i Bulls al contro-parziale, per un 8-6 che rimette subito a posto le cose.

È Jason Kidd il giocatore inizialmente accoppiato a Belinelli, e la cosa non potrà di certo dispiacere al #8 di Chicago, vista l’avanzata età e ridotta mobilità dell’ex Maverick. Smith, come detto, rappresenta invece avversario più ostico, vista la sua proverbiale sfrontatezza offensiva che lo rende (a sprazzi) uno bei bombardieri più temuti della lega.

Rasheed Wallace al tiro: sempre un bel vedere (Foto Howard Smith/US Presswire)

Mancano tre minuti alla fine del quarto, ed ecco che arriva il tanto atteso momento dell’ingresso in campo di Rasheed Wallace. C’è da dire che qui, a differenza di quanto sta accadendo nelle altre arene del paese, non si assiste a nessuna ovazione reverenziale a favore di Sheed. Una sua immediata tripla ci fa però immediatamente sobbalzare, da quanto sconfinato sia il talento che ancora sa fuoriuscire da quest’uomo.

Nulla però può distogliere l’attenzione dal mostruoso primo quarto portato a termine da Belinelli. 15 punti, 3/3 dall’arco, e una disarmante disinvoltura offensiva. Un grande Beli, dunque, che sigilla la prima frazione rispondendo alla fortunosa tripla di Wallace a pochi secondi dalla sirena con una altrettanto improbabile bomba da siderale distanza, sempre sfruttando il vetro.

Si capisce subito che i Knicks di questa sera non sono i Knicks visti giovedì a Miami — e ci mancherebbe altro. La mancanza del talento di Anthony e Stoudemire si fa inevitabilmente sentire, e impedisce loro di ingranare in attacco, fase del gioco in cui Smith e Felton sono gli unici realmente in grado di crearsi qualche buon tiro (ok, genio-Rasheed a parte…).

L’improvvisa (e fischiatissima dal pubblico) espulsione per doppio fallo tecnico di Taj Gibson indirizza la chiusura di primo tempo su binari favorevoli a New York. Da un lato, quello difensivo, rimaniamo incantati ad ogni azione dall’intelligenza cestistica di Wallace, che riesce a mandare immancabilmente in tilt qualsiasi giocatore a lui contrapposto; dall’altro, quello offensivo, Steve Novak finalmente si riesce a sbloccare, mettendo a segno la bomba del pareggio (37-37), dopo che Chicago aveva controllato l’intera metà di partita.

Le squadre tornano in campo sul 43-41 a favore dei Bulls, con Felton che non fatica a riprendere subito in mano le chiavi dell’attacco, continuando a fare il possibile per far dimenticare Jeremy Lin. Jeremy… chi? Ecco, appunto. Dopo questa fase inziale di stagione, viene persino da sorridere pensando come fossero in molti coloro che dubitassero della scelta compiuta dalla dirigenza newyorkese di puntare sull’ex-Tar Heel, e di scaricare il giocatore di origini taiwanesi — tutto questo, nonostante Felton chiuderà la partita con pessime percentuali al tiro.

Belinelli, dopo l’egregio primo tempo da 17 punti, si risveglia quando mancano 180 secondi alla fine del terzo quarto. La sua tripla porta il punteggio sul 60-56 per i Bulls, in una fase di partita piuttosto confusionaria. Felton e Nate Robinson si scambiano un paio di triple (quella del Knick da chilometrica distanza), prima che Jimmy Butler chiuda il parziale con una decisa entrata a canestro, per il 67-65 Chicago.

Luol Deng, altro protagonista di serata (Foto Dennis Wierzbicki/USA TODAY Sports)

In avvio di ultimo quarto, i Bulls rimangono freddi in attacco, manovrati non a caso da un Robinson che non è certamente uomo ideale a far girare una squadra attorno a sé. Non tarda infatti ad arrivare il momento di Marquis Teague (con Hinrich fuori per infortunio), che dopo un paio di minuti ritorna comunque a sedersi a bordo campo a favore dell’ex plurivincitore della gara delle schiacciate.

La fase confusionale continua per entrambe le squadre, simboleggiata dalla mischia nella metà campo di Chicago conclusa con un raro airball su tiro dalla lunga distanza di Felton. Il #2 dei Knicks tira tanto, troppo (come dice chiaramente il suo 9/30 finale), cercando di tappare i buchi lasciati dall’assenza di ‘Melo, ma senza riuscirci opportunamente.

I minuti finali sono piuttosto concitati, con Deng che risponde al tiro da tre di Smith per riportare i Bulls sul +5 (85-80). Entrati negli ultimi due minuti di partita, Belinelli torna a farsi protagonista, con il tiro dal quasi-angolo che vale tre punti, e che lo manda a terra in mezzo alle gambe dei facoltosi spettatori seduti in prima fila. È del nostro anche l’assist smarcante per Noah, che riceve nel pitturato e può appoggiare comodamente a canestro per l’89-82 Chicago, che si trasformerà poi nel 93-85 finale, dopo che gli ultimi, velleitari tentativi di rimonta di Smith si spengono sul ferro.

I 22 punti di Belinelli (top scorer dei Bulls assieme a Deng) gli valgono l’onore di essere selezionato per l’intervista di fine partita di fronte all’intero United Center, riservata appunto al giocatore più in vista della serata.

Da segnalare, inoltre, come coach Tom Thibodeau abbia scelto di giocarsi le fasi conclusive con un improbabile quintetto Robinson-Belinelli-Butler-Deng-Noah, magari non bellissimo da vedere, ma sicuramente efficace, vista la prestigiosa vittoria di serata.

27 punti, frutti di un brutto 9/30 dal campo, per Raymond Felton (Foto NY DailyNews)

I Knicks sono squadra dura, molto ben allenata, difficile da affrontare — afferma coach Thibs a fine partita — Gli infortuni, i back-to-back, le quattro partite in cinque giorni… Ogni sera, nella NBA, si potrebbero trovare un sacco di alibi. L’importante invece è riuscire a dare il massimo cercando di portare a casa la vittoria, come abbiamo fatto questa sera”.

Dopo essere passati nello spogliatoio dei Knicks, ed aver assistito ad uno simpatico siparietto tra Rip Hamilton e Rasheed Wallace, ex-compagni in maglia Detroit Pistons, incontriamo Belinelli, ovviamente soddisfatto di prestazione personale e vittoria di squadra.

Una grande emozione, è stata la partita per me più importante, forse anche la più bella. Siamo stati uniti, è stata una gran bella vittoria, e sono contento per i tifosi — dice il Beli, che anche nei momenti di euforia non dimentica mai di parlare al plurale, rivolgendosi alla squadra nel suo complesso — Nel primo tempo ero caldo, e tutti i miei compagni sono stati bravi a cercarmi. Sto cercando di migliorare, in ogni aspetto del gioco, e non solo tirando da tre; devo continuare su questa strada.

E non ci sono dubbi, su quest’ultima affermazione di Belinelli. Continuando davvero sulla strada intrapresa, le porte del campo per lui continueranno a rimanere spalancate, Hamilton o non-Hamilton. È una speranza, la nostra, ma che si sta trasformando sempre più in convinzione.

Ecco, ci è appena passato davanti Rasheed — sempre al fianco dell’amico Hamilton — improbabilmente vestito con dei pantaloni eleganti grigi gessati, t-shirt bianca di taglia abbondante, e berretto di lana infilato di traverso (grazie di esistere, Sheed). Possiamo così ritornare in sala stampa, e cominciare a pensare al rientro a casa. Sperando che all’uscita dell’arena si possano finalmente trovare i primi fiocchi di neve dell’anno. Sarebbe anche l’ora.

Simone Donei