Figliol prodigo a 40 anni, a 20 anni dalla sua ultima partita con la canotta blaugrana. Pau Gasol torna a Barcellona. Ci torna dopo una grande carriera ventennale oltreoceano, dopo aver cambiato sei squadre NBA. C’è da dire che con l’avanzare della sua età ha trovato sempre meno spazio in una lega che sta andando verso una direzione completamente diversa da quella nella quale debuttò nel lontano 2001.
I primi passi nell’universo cestistico li muove nella sua città natale, Barcellona per l’appunto, nella squadra del Cornellà, al quale approda dopo aver iniziato a giocare a livello scolastico. Passa poi nel sistema della cantera del Barcellona, con la quale arriva a debuttare in Liga ACB il 17 gennaio 1999. Troverà più spazio in squadra l’anno dopo a causa anche dell’infortunio dell’ex-NBA Rony Seikaly, diventando in brevissimo tempo il leader della squadra. Al ritorno di Seikaly, l’head coach del Barça Aíto cerca di farlo convivere in campo con i due lunghi titolari, cioè il già menzionato Seikaly e Francisco Elson, facendolo giocare da ala piccola. Il problema è che Gasol non può fare l’esterno in quanto pecca di velocità: è un lungo puro, gran rimbalzista sia in attacco che in difesa, nonché buon giocatore di post basso.
Rimane in Spagna fino al 2001, quando decide di fare il grande salto: si dichiara eleggibile al Draft NBA di quell’anno. Alla terza scelta ci sono gli Atlanta Hawks, che non stanno navigando in buone acque. Lo scelgono ma, complice lo stereotipo sui giocatori europei ancora non adatti al gioco NBA, lo cedono subito ai Memphis Grizzlies in cambio di Shareef Abdur-Rahim. Gasol diventa così il secondo giocatore spagnolo di sempre a debuttare in NBA e diventa il giocatore europeo scelto più in alto nella storia del draft. La sua è una grandissima stagione da rookie: primo europeo di sempre a vincere il premio di matricola del mese e dell’anno, viene inserito nell’All-Rookie First Team, grazie anche alle medie di 17,6 punti e 8,9 rimbalzi. Il periodo a Memphis è abbastanza proficuo: continua a giocare a livelli alti, portando i Grizzlies ai playoff nel 2004 e guadagnandosi la convocazione all’All-Star Game. Nel 2007 diventa il miglior marcatore della storia della franchigia del Tennessee.
Durante la stagione 2007-2008 i Grizzlies decidono di cederlo in uno scambio che includeva, tra l’altro, i diritti per suo fratello Marc, che era stato scelto dai Lakers nel 2007 ma aveva deciso di rimanere in Europa. Entra da subito in quintetto base a fianco ad un giovane Andrew Bynum e diventa parte fondamentale della triangle offense di Phil Jackson. Nella sua prima apparizione casalinga con i giallo-viola ai playoff Gasol gioca la partita della vita: 36 punti, 16 rimbalzi e 8 assist con un contorno di 3 stoppate. Quei Lakers arriveranno ad un passo dal titolo, perdendo le Finals 4-2 contro gli eterni rivali, i Boston Celtics. Nel 2009 arriva la consacrazione: vince il titolo diventando il primo spagnolo di sempre a salire sul tetto del mondo cestistico. Si ripete l’anno dopo, vincendo anche le Finals 2010. Negli anni successivi segue un calo da parte sia di Gasol che dell’intera franchigia: dopo la non facile gestione di Mike Brown, nel 2012 i Lakers decidono di portare sulla panchina Mike D’Antoni. Le cose non vanno tra Gasol e l’allenatore, in quanto non si trova con il sistema della 7 second or less offense di D’Antoni. Questo è uno dei motivi che, nell’estate 2014, spingono Gasol a non rinnovare, entrando il mercato dei free agent.
Decide di firmare un biennale con i Chicago Bulls e nella stagione 2014-2015 sembra essere rinato: guida la lega per doppie-doppie con 54 diventando il giocatore più anziano di sempre a farlo e chiude la stagione con medie di 18,5 punti e quasi 12 rimbalzi. Nella stagione successiva diventa il giocatore più anziano a registrare una tripla doppia con 22 punti, 14 assist e 16 rimbalzi contro i Portland Trail Blazers e ritorna all’All-Star Game rimpiazzando l’infortunato Jimmy Butler. Torna free agent nell’offseason del 2016 e si accasa a San Antonio: nella stagione 2016-2017 raggiunge i 20.000 punti in carriera, seguendo Dirk Nowitzki come secondo giocatore europeo nella storia NBA ad arrivare a questo traguardo.
Proprio a San Antonio riesce a svoltare il suo stile di gioco inserendo nel proprio arsenale anche il tiro da tre: infatti eleva le sue percentuali dall’arco al 53,6%. Per la stagione 2017-2018 rifirma con gli Spurs decurtandosi lo stipendio per agevolare il salary cap della franchigia, complice anche un calo di rendimento sul campo. La stagione successiva è caratterizzata da vari infortuni, difatti salta 26 partite proprio per questo motivo. Al termine della stagione 2018-2019 torna sul mercato free agent e firma con i Milwaukee Bucks, ma in Wisconsin le cose vanno per il verso sbagliato: dopo solo tre partite termina la sua stagione a causa di un infortunio alla caviglia. Nell’offseason 2019 firma con i Trail Blazers, ma viene tagliato il 21 novembre senza essere sceso in campo neanche una volta con la franchigia dell’Oregon.
Termina così la carriera NBA di uno dei giocatori europei più forti e influenti di sempre, che lo ha portato alla gloria eterna nel panorama cestistico mondiale. Ciò è dovuto anche a quello che ha conquistato con la nazionale spagnola, della quale è stato colonna portante per quasi vent’anni con la quale ha disputato quasi 200 partite: campione europeo Under-18 nel 1998, tre volte consecutive campione d’Europa, campione del mondo in Giappone nel 2006, torneo nel quale ha vinto anche il titolo di MVP, argento ai Giochi Olimpici di Pechino 2008 e Londra 2012, bronzo a Rio 2016. Ha vinto quasi tutto quello che si poteva vincere e il ritorno nella sua Barcellona è la ciliegina sulla torta di una carriera straordinaria.