Mike Budenholzer (Photo by Kevin C. Cox/Getty Images)

Mike Budenholzer (Photo by Kevin C. Cox/Getty Images)

Secondo appuntamento con i nostri premi legati alla regular season NBA. Clicca QUI per leggere i primi 3 awards.

Rookie of the year: I rookie di quest’anno erano attesissimi. Sarebbe dovuta essere lotta a 3 tra Wiggins e Parker, con Embid a fare da terzo incomodo. Il centro dei Sixers invece si è tirato fuori dalla contesa prima ancora che la stagione iniziasse, Parker invece è durato solo 25 partite. Tutto facile per Andrew Wiggins allora? Non proprio, a insidiare la sua corona ci ha pensato infatti Nikola Mirotic. Il rookie dei Bulls, ha faticato ad inizio stagione, ma la sua è stata una crescita costante fino a diventare un giocatore chiave per Chicago e i 20.8 punti di media tenuti a marzo parlano chiarissimo. Torniamo a Wiggins, il giocatore dei T-Wolves ha mantenuto le attese: talento puro quanto acerbo, Andrew ha dimostrato di essere un grande scorer, ma di dover crescere ancora tanto sul perimetro, a rimbalzo e anche in difesa. L’ennesima stagione sfortunata di Minnesota non lo ha aiutato, ma l’aura da predestinato è rimasta e la vicinanza di un maestro come Kevin Garnett potrebbe aiutarlo tantissimo per costruire una mentalità vincente. A chiudere il podio Nernels Noel. Senza Embid il magrissimo lungo dei Sixers si è imposto come delle poche certezze in casa Philadelphia. Protettore del canestro eccezionale, grande rimbalzista, Noel è tutto da costruire offensivamente, ma talento, stazza ed entusiasmo non mancano e l’età è tutta dalla sua parte.

Vincitore: Wiggins Runner up: Mirotic e Noel

Most Improved Player: La stagione di Jimmy Butler è qualcosa difficile da spiegare. Mantenendo lo stesso identico minutaggio nell’anno scorso la guardia dei Bulls è cresciuto in tutte le statistiche principali, in particolare al tiro (dal 39.7% al 46.2% dal campo) e a rimbalzo (da 4.9 a 5.8). I punti sono lievitati da 13.1 a 20 per allacciata di scarpe. Il tutto mantenendo la solita, incredibile, energia in difesa. Impossibile fare meglio di così, per questo non abbiamo dubbi: è Butler il giocatore più migliorato dell’anno. Una prima stagione NBA da carneade, un grandissimo mondiale con la maglia della Francia e ancora anonimato, con la maglia dei non irresistibili Jazz. La carriera di Rudy Gobert sembrava in fase stagnante, invece il centro francese nella seconda parte di stagione NBA è diventato un punto fermo per Utah. Alto, atletico e con le braccia lunghe. Un mix letale per ogni penetratore, tutti hanno dovuto fare i conti con le sue stoppate, mentre tutti gli altri lunghi lo hanno subito a rimbalzo dove spadroneggia. Offensivamente deve crescere ancora moltissimo, ma il suo limitato raggio di tiro è cresciuto, è migliorato ai liberi e soprattutto è riuscito a limitare le palle perse (quasi una al minuto nella stagione precedente). Nell’anno da rookie Giannis Antetokounmpo ha mostrato lampi importanti, quest’anno invece ha messo in mostra una sorprendente maturità. Giocatore versatile con un buon tiro dalla media, un atletismo devastante e braccia lunghissime gli permetto di essere un fattore a rimbalzo (6.7 di media) e un difensore di altissimo livello. I suoi febbraio e marzo sono stati impressionanti. Rispetto alla scorsa stagione è un giocatore molto più solido e se continuerà così potrà diventare un All Star.

Vincitore: Butler Runner Up: Gobert e Antetokounmpo

Coach of the Year: Tanti allenatori quest’anno meriterebbero questo ambito premio. Noi vogliamo premiare Mike Budenholzer. Atlanta partiva con un obiettivo molto semplice: migliorare il 38-44 dell’anno scorso ed entrare ai PO con una testa di serie migliore dell’ottava. Hanno chiuso la stagione con 60 vittorie, il miglior record ad est e il secondo miglior record della Lega e il secondo miglior record casalingo con 6 sconfitte tra le mura amiche. Come se non bastasse ecco una striscia di 19 vittorie consecutive (record di franchigia) e la convocazione di ben 4 giocatori all’All star game. Il tutto grazie al sapiente lavoro del coach che è riuscito a valorizzare al massimo il collettivo creando un attacco efficace e una difesa più che solida. La crescita di giocatori come Teague e Carroll, giusto per fare due nomi, ha tantissimo a che fare con lo straordinario lavoro di Budenholzer che adesso è atteso ad una post season da non sbagliare, la finale di Conference è infatti l’obiettivo minimo visti record e tabellone. Il secondo gradino del podio, con pieno merito, è di Steve Kerr. Alla prima esperienza da head coach l’ex giocatore dei Bulls ha trasformato l’ottima Golden State di Mark Jackson in una squadra perfetta, sotto ogni punto di vista. Limati i problemi dell’attacco il coach è riuscito a gestire alla grande il dualismo Curry/Thompson, a indirizzare al meglio l’esplosione di Green, la salute di Bogut e Lee, le (legittime) ambizioni di Andre Iguodala e dare finalmente una grande identità difensiva ad una squadra che soffriva tremendamente quando doveva proteggere il proprio canestro. Risultato? 67 vittorie, miglior record della Lega mai in discussione e accesso ai playoffs da favoriti numeri 1, senza nemmeno discutere. Al terzo posto troviamo un giovane allenatore, che è riuscito in un’impresa altrettanto difficile, portare i disastrati Celtics alla post season. Partiti per ricostruire i biancoverdi hanno anche pensato bene di cedere Rajon Rondo e Jeff Green in corsa (nettamente i due migliori giocatori della squadra) per accumulare scelte e ripartire. Brad Stevens però non ha fatto una piega e nonostante i continui cambi e un roster con pochi campioni e tante scommesse ha costruito un gruppo in grado non solo di qualificarsi ai playoffs, ma di farlo con un onesto record di 40-42 e un +15 alla voce vittorie rispetto all’anno scorso.

Vincitore: Bundenholzer Runner Up: Kerr e Stevens


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