R.C. Buford

R.C. Buford

Ha sempre preferito rimanere dietro le quinte, nell’ombra di quella realtà che ha contribuito in maniera determinante ad assemblare. Ma che R.C. Buford non avesse mai ricevuto il premio di “Executive of the Year”, sembrava una delle più grandi stranezze della storia recente nella NBA, perché i San Antonio Spurs hanno vinto 4 titoli e sono in serie aperta di 15 stagioni con almeno 50 vittorie.

Ora quel vuoto è stato colmato. Prima di gara-2 che ha visto ancora i suoi Spurs vittoriosi sui Blazers, Buford è stato premiato come miglior dirigente ed è stato forzatamente costretto ad accettare le luci della ribalta. Ma lo ha fatto con la modestia e il distacco che lo contraddistingue, preferendo ridurre l’importanza del proprio ruolo: “Penso che sia un grande onore per tutte le persone che lavorano qui – ha detto – e sono passate da noi nel corso degli anni. Ma anche per una proprietà che ci ha permesso di lavorare costruendo un progetto e di continuare a crederci”.

Sulle linee guida sempre seguite, lui che è nella 12esima stagione da g.m. agli Spurs non ha smesso – neppure dopo la dolorosa sconfitta in Finale contro Miami – di credere in un gruppo più volte giudicato finito dall’esterno, ha rifirmato Ginobili, ha trattenuto Splitter, ha aggiunto un Belinelli alla miglior stagione in carriera ed ha creato un’altra squadra ai vertici della lega. Buford, che ha preceduto nelle votazioni Ryan McDonough di Phoenix e Neil Olshey di Portland, con una reputazione da anni ad alto livello, ha ricevuto i complimenti di Popovich, che più spesso di lui è finito sotto i riflettori: “Lavoriamo insieme da tanto tempo ed abbiamo costruito un ottimo rapporto. Condividiamo ogni cosa che possa essere utile a noi e all’intera organizzazione. Questa capacità di comunicare tra noi e il fatto di avere un proprietario che ci permette di lavorare sono fondamentali”.