Cos’è Busts&Steals? Semplificando, all’interno del mondo del Draft NBA, un bust è un giocatore che, a dispetto delle alte aspettative su di lui nel momento in cui viene scelto, fallisce poi (più o meno) clamorosamente sul campo, scomparendo in tempi (più o meno) brevi dal panorama NBA. Uno steal invece è, per certi versi, l’esatto contrario: un giocatore su cui, al momento del draft, nessuno avrebbe puntato un centesimo e che poi, spesso sfruttando occasioni e situazioni propizie per mettere in mostra il suo talento, stupisce tutti costruendosi un ruolo (talvolta di primo piano) nella Lega. Insomma, il draft non è una scienza esatta, è risaputo, ma proprio qui sta il suo fascino.

Ripercorreremo quindi la storia di quindici draft recenti alla ricerca di busts e steals: che fine hanno fatto le prime scelte sparite quasi subito dai parquet NBA? E chi sono quei giocatori che invece, scelti al secondo giro ed entrati nella Lega in punta di piedi, ne sono poi diventati protagonisti? È questo lo scopo di questa rubrica, che, dopo il Draft 1998 e il Draft 1999, prosegue oggi con il 2000. Buon divertimento!

Draft 2000

draft2000Draft molto povero di talento, quello del 2000: giusto per rendere l’idea, Kenyon Martin, scelto al n. 1, ha avuto una buona carriera, ma di certo non all’altezza di una prima scelta assoluta; ciò nonostante, si fatica a trovare un altro giocatore scelto dopo di lui che avrebbe meritato, col senno di poi, di essere scelto al suo posto (eccezion fatta forse per Michael Redd, steal of the draft se ce n’è uno, scelto al n. 43). Per il resto, qualche buon giocatore è riuscito a costruirsi una solida carriera, spesso o in parte come specialista (Mike Miller al n. 5, Jamal Crawford al n. 8, Hedo Türkoglu al n. 16, Desmond Mason al n. 17, Quentin Richardson al n. 18, Speedy Claxton al n. 20, Morris Peterson al n. 21, DeShawn Stevenson al n. 23, Mark Madsen al n. 29), nomi comunque che hanno ben poco a che vedere con le prime scelte degli anni precedenti, mentre gli altri giocatori sono spariti nel giro di poco tempo dai panorami NBA.

Per contro, al secondo giro diversi giocatori (oltre a Michael Redd) sono riusciti a ritagliarsi un loro spazio nella Lega, spesso con esiti migliori alla maggior parte dei giocatori del primo giro.

1º giro

Flop totali: sono scomparsi dalla NBA

L'atletismo non è mai stato un problema per Stromile Swift (Foto: slamonline.com)

L’atletismo non è mai stato un problema per Stromile Swift (Foto: slamonline.com)

2. Stromile Swift (PF-C, 208 cm, Vancouver Grizzlies)
Scelto molto in alto per il suo indubbio atletismo, nella sua breve e non particolarmente brillante carriera in NBA Swift ha dimostrato in realtà di non avere molte altre doti; dopo un mediocre primo anno a Vancouver, passa poi a Memphis (sempre con la maglia dei Grizzlies), migliorando leggermente la sua efficienza (11,8 punti, 6,3 rimbalzi e 1,7 stoppate i suoi massimi in carriera, al secondo anno) ma senza mai esplodere davvero. Nel 2005 passa a Houston, ma appena un anno dopo torna a Memphis, dove però non solo non migliora, ma addirittura continua nel suo lento declino. A metà della stagione successiva finisce ai Nets, dove il suo minutaggio passa a meno di 15 minuti a gara, mentre dopo 6 partite della stagione 2008/09 va ai Suns, dove scende addirittura sotto i 10 minuti di media. A settembre firma per i Sixers, che però lo tagliano prima dell’inizio della stagione; finisce qui la sua carriera NBA, chiusa con appena 8,4 punti, 4,6 rimbalzi e 1,2 stoppate di media. Va quindi in Cina, agli Shandong Lions, ma a fine stagione decide di appendere le scarpe al chiodo e da allora si sono quasi perse le tracce di lui (tranne per una poco edificante denuncia per stalking nel 2012).

4. Marcus Fizer (PF, 203 cm, Chicago Bulls)
Ala forte molto fisica (e con “molto” intendiamo oltre i 120 kg), viene preso un po’ a sorpresa dai Bulls: la sorpresa viene sia dalla scelta piuttosto alta, sia dal fatto che nello stesso ruolo a Chicago c’è già il promettente Elton Brand. Da una parte, però, il coach dei Tori in quel momento è Tim Floyd, che già aveva puntato su Fizer ai tempi di Iowa State; dall’altra, l’ipotesi più accreditata è che l’intenzione fosse di scambiare il giocatore, ma che la cosa si sia poi bloccata sul nascere. Così, Fizer passa quattro stagioni a Chicago, le prime tre tutto sommato discrete (con 12,3 punti e 5,6 rimbalzi il secondo anno), fino al brutto infortunio al legamento crociato anteriore che lo tiene fuori per la seconda parte della stagione e per la prima parte di quella successiva. Alla fine del quarto anno viene scelto dai Charlotte Hornets nell’expansion draft, ma non viene poi firmato; finisce così come free agent ai Bucks, dove gioca 54 partite decisamente sottotono (6,2 punti e 3,2 rimbalzi). Nel novembre del 2005 decide di passare in D-League, con gli Austin Toros, e a fine anno viene nominato MVP del campionato. Riprova in NBA con gli Hornets nel 2006, ma dura solo tre partite; dopodiché, inizia a fare il giramondo, tra Spagna, Puerto Rico (più volte), Israele (dove gioca una finale di Eurolega con il Maccabi), Taiwan, Argentina, Bahrein e Venezuela. Le ultime notizie lo danno in forza al Defensor Sporting Club, in Uruguay.

6. DerMarr Johnson (F, 206 cm, Atlanta Hawks)
Tanta sfortuna ha segnato in modo indelebile la carriera, e la vita, di questo talentuoso giocatore scelto dagli Hawks. Se da una parte è vero che le sue prime due stagioni ad Atlanta non sono state certamente esaltanti (8,4 punti e 3,4 rimbalzi nel suo secondo anno, nonché massimo in carriera), dall’altra un tremendo incidente stradale, oltre a fargli rischiare la vita, non gli ha più permesso di tornare a essere il giocatore che era e di rispondere sul campo a chi già lo etichettava come flop. Dopo aver saltato l’intera stagione 2002/03, Johnson torna miracolosamente a giocare prima con i Long Beach Jam nella ABA, e poi anche in NBA, con i Knicks, nel 2003. L’anno dopo passa a Denver, dove gioca in modo tutto sommato dignitoso (7,1 punti, 2,1 rimbalzi), ma sicuramente non da sesta scelta al primo giro. Rimane in Colorado per altre due stagioni prima di sbarcare in Italia, a Treviso, dove però viene presto tagliato per il suo scarso rendimento. Tornato negli USA, agli Austin Toros in D-League, scende in campo anche per cinque partite con gli Spurs prima di emigrare in Cina, Puerto Rico, Libano, Colombia, Filippine, Argentina, Venezuela, Messico e Repubblica Dominicana, dove gioca tutt’ora, negli Indios de San Francisco.

Jerome Moiso con la maglia dei Cavs (Foto: cavshistory.com)

Jerome Moiso con la maglia dei Cavs (Foto: cavshistory.com)

11. Jérôme Moïso (PF-C, 208 cm, Boston Celtics)
Cinque stagioni da dimenticare: questo il riassunto della carriera NBA di questo lungo francese su cui, dopo due ottimi anni a UCLA, a Boston puntavano parecchio. Invece, in cinque anni ha girato cinque squadre (Celtics, Hornets, Raptors, Cavaliers e Nets), per un totale di 145 partite e medie imbarazzanti: 9,6 minuti, 2,7 punti e 2,7 rimbalzi, con un massimo di 4 punti e 3,5 rimbalzi in 12,6 minuti nella stagione a New Orleans. Nel 2006 approda in Italia, prima a Roma e poi alla Fortitudo Bologna; dopodiché, Spagna (per i playoff 2007, vinti con il Real Madrid, poi Badalona, con cui vince una ULEB Cup, e Bilbao), Russia (Chimki), Cina (Jiangsu Dragons), Ucraina (Dnipro) e Puerto Rico (Piratas de Quebradillas), chiudendo la carriera nel 2014.

13. Courtney Alexander (SG, 196 cm, Dallas Mavericks)
Scelto dai Magic ma immediatamente ceduto ai Mavs, la carriera di questa guardia dalle buone doti realizzative rimane ancora oggi per certi versi avvolta nel mistero: poco impiegato a Dallas nella prima parte della sua stagione da rookie (4,2 punti in 38 partite), viene mandato ai derelitti Wizards, dove ha minuti e tiri a disposizione a causa di prolungate assenze nel roster; sfrutta al meglio la sua occasione, chiudendo con 17 punti a partita, ma scendendo a 9,8 l’anno successivo, quando cala anche il suo minutaggio. Il suo terzo anno in NBA, a New Orleans, è anche l’ultimo: segna 7,9 punti a gara in 66 partite, ma un infortunio al tendine d’Achille lo tiene lontano dal campo per parecchio tempo. Prova a tornare prima con i Kings e poi nel 2006 con i Nuggets, ma viene tagliato prima ancora di mettere piede in campo. In teoria pienamente recuperato dall’infortunio, non è ben chiaro perché Alexander non abbia tentato di ricominciare a giocare altrove, all’estero o nelle minors americane. Per di più, dopo l’esperienza di Denver sparisce completamente dalla circolazione, salvo riapparire qualche anno dopo in ben altri contesti: dopo aver fondato la CA Press, un’organizzazione senza scopo di lucro per aiutare i giovani atleti a sviluppare le loro abilità accademiche, sociali e di leadership, è emerso che l’ex giocatore, tramite la sua organizzazione, non aveva fatto altro che intascarsi quasi mezzo milione di dollari dati come anticipo da un suo socio per l’organizzazione di alcuni eventi che non hanno mai avuto luogo.

Mateen Cleaves era il leader di Michigan State (Foto: betterhousekeepingvacuums.com)

Mateen Cleaves era il leader di Michigan State (Foto: betterhousekeepingvacuums.com)

14. Mateen Cleaves (PG, 188 cm, Detroit Pistons)
Capita spesso che una stella del college fallisca clamorosamente in NBA, e Cleaves è uno degli esempi più lampanti in questo senso: idolo a Michigan State, prima come capitano, poi addirittura come Most Outstanding Player alle Final Four vinte dagli Spartans nel 2000, i Pistons non possono fare altro che sceglierlo alla n. 14, contando sul fatto che un nativo del Michigan che ha appena vinto un titolo NCAA con un college del Michigan non potesse fare che bene a una squadra del Michigan, almeno da un punto di vista mediatico. Invece, una prima stagione alquanto sottotono (5,4 punti, 2,7 assist) convince i Pistons a cederlo dopo un solo anno. Scelta eccellente, col senno di poi, dato che quell’annata sarà la migliore della sua breve carriera NBA, chiusa con 3,6 punti e 1,9 assist di media in sei stagioni tra Detroit, Sacramento, Cleveland e Seattle, con alcune parentesi anche in D-League. Nel 2006/07 va in Russia, all’Unics Kazan, mentre la stagione successiva è in Grecia, in forza al Panionios. Nel 2008 prova a tornare in NBA, ma i Nuggets lo tagliano durante la pre-season; passa così la stagione in NBDL con i Bakersfield Jam, prima di chiudere con il basket giocato e iniziare due carriere parallele: una come analista televisivo presso Fox Sports Detroit, l’altra come produttore musicale dopo aver fondato l’etichetta All Varsity Entertainment.

22. Donnell Harvey (PF, 203 cm, Dallas Mavericks)
Spettacolare atleta con eccellenti doti come rimbalzista, a dispetto della statura ridotta per un’ala forte, doveva essere, secondo alcuni, il nuovo Dennis Rodman; invece è stato una meteora. Scelto dai Knicks e subito mandato a Dallas, da rookie in pratica non vede il campo. A metà del secondo anno viene ceduto a Denver, dove rimane un anno e mezzo assestandosi intorno agli 8 punti e ai 5-6 rimbalzi a partita. Nel 2003/04 gioca a Orlando e Phoenix, senza trovare molto spazio, e la stagione successiva fa solo tre apparizioni in campo con i Nets. Dopo aver provato per un anno nella CBA con i Sioux Falls Skyforce e aver chiuso con la NBA (5,6 punti e 4 rimbalzi di media in carriera), sbarca in Grecia con la maglia del Panionios. I due anni successivi li passa in Turchia prima con il Besiktas e poi con il Banvit, dopodiché viaggia tra Cina, Puerto Rico, Bosnia e Filippine, prima di ritirarsi nel 2014.

24. Dalibor Bagaric (C, 216 cm, Chicago Bulls)
Una tarda prima scelta si può sempre spendere per un gigante croato solido fisicamente e con un buon gioco spalle a canestro; il problema è che probabilmente nemmeno i Bulls si sarebbero aspettati un flop del genere. Il primo anno, Bagaric gioca 35 partite, a 7,4 minuti di media, fatturando 1,3 punti e 1,6 rimbalzi; l’anno dopo lo spazio a disposizione aumenta (50 partite, 12,8 minuti), ma stiamo sempre parlando di soli 3,7 punti e 3,2 rimbalzi. Il terzo anno, l’ultimo, le cifre tornano simili a quelle da rookie, in sole 10 apparizioni. Tagliato dai Bulls, torna in Europa, dove si costruisce una discreta carriera: inizia all’Olympiacos, poi per quattro anni (intervallati da una stagione a Girona, dove vince la FIBA EuroCup) è alla Fortitudo Bologna, dove vince scudetto e supercoppa nel 2005. Nel 2009 torna in Croazia, al Cibona, con cui vince il campionato, poi in Grecia, al Maroussi, e poi di nuovo in Croazia, al Cedevita, con cui vince la Coppa di Croazia. Il finale di carriera sembra regalargli solo apparizioni in campionati di infimo livello (Libano, Tunisia e Libia), ma un po’ a sorpresa nel 2014 torna nel basket “che conta”, vincendo lo scudetto in Germania con il Brose Baskets Bamberg. Al momento è free agent.

Mamadou N'Diaye con la maglia dei Raptors (Foto: forums.realgm.com)

Mamadou N’Diaye con la maglia dei Raptors (Foto: forums.realgm.com)

26. Mamadou N’Diaye (C, 226 cm, Denver Nuggets)
A proposito di giganti, eccone un altro, questo di origine senegalese: come spesso capita in questi casi, N’Diaye inizia a giocare a basket molto tardi, a quasi 18 anni, esclusivamente a causa della sua altezza, che però, insieme all’atletismo, è anche la sua maggior potenzialità. Dopo quattro anni alla Auburn University, viene scelto da Denver e alla veneranda età di 25 anni è uno dei giocatori più vecchi mai scelti in un draft. Ceduto a gennaio ai Raptors senza mai scendere in campo con la maglia dei Nuggets, gioca la miseria di otto partite nelle prime due stagioni, ma si sa, il ragazzo è acerbo e deve crescere. La terza stagione è quella migliore, e con migliore intendiamo 22 partite a 16,5 minuti di media, con 5,5 punti, 3,7 rimbalzi e 1,5 stoppate. Nel gennaio del 2004 viene firmato dai Mavs, ma quasi subito rilasciato; si accasa quindi ad Atlanta, ma viene presto mandato in NBDL agli Asheville Altitude, sempre per dargli la possibilità di giocare e maturare. In estate firma per i Clippers, con i quali rimane per tutta la stagione, scendendo in campo però solo 11 volte. Ormai trentenne, una volta compreso che il passaggio da “promessa” a “giocatore scarso” è già avvenuto da tempo, decide di chiudere con la NBA (3,9 punti, 3,3 rimbalzi, 0,9 stoppate in carriera) e di provare oltreoceano: prima in Grecia (PAOK e Panellinios), poi in Lituania (Zalgiris Kaunas), quindi in Cina (Hong Kong Canton Liberty) e Israele (Maccabi Haifa), ritirandosi nel 2010. Attualmente lavora come assistente allenatore al college di Georgia Tech.

28. Erick Barkley (PG, 185 cm, Portland Trail Blazers)
Ottimo controllo di palla e capacità di passaggio, velocità di mani e di piedi, discreto tiro dalla media: Erick Barkley sembrava avere tutto per emergere in NBA dopo aver brillato a St. John’s. Invece, la sua carriera tra i Pro è durata appena due stagioni con la maglia dei Blazers, per un totale di 27 partite a 2,9 punti e 1,5 assist in quasi 10 minuti di media. Vola quindi oltreoceano, al Peristeri, ma gioca solo una partita prima di tornare negli USA, con la casacca degli Huntsville Flight in D-League. Da lì inizia a fare la spola da un lato all’altro dell’Oceano: Grecia, Israele, Svizzera, CBA, Croazia, Romania, Polonia e Canada. Dopo il ritiro, nel 2011, diventa assistente allenatore della squadra della sua high school, Christ the King, nel Queens, tornando suo malgrado agli onori della cronaca nel 2014 per aver preso a pugni il genitore di un avversario del figlio al termine di una partita.

Mezze delusioni: hanno reso molto meno del previsto

Kenyon Martin, esplosivo ai tempi dei Nets (Foto: www.insidehoops.com)

Kenyon Martin, esplosivo ai tempi dei Nets (Foto: insidehoops.com)

1. Kenyon Martin (PF-C, 206 cm, New Jersey Nets)
Essere una prima scelta assoluta, si sa, porta tanta, tanta pressione. E ancora di più quando pochi mesi prima di essere scelto un infortunio pesante (una brutta frattura a una gamba) aumenta ancor di più i già tanti dubbi che caratterizzano il draft. Inoltre, legittimamente, da una prima scelta assoluta ci si aspetta che, prima o poi, diventi il leader della squadra, possibilmente portandola a ottenere risultati di primo piano. Martin, se da un lato è approdato per due volte alle Finals con i suoi Nets, dall’altro non ne è mai diventato l’uomo-franchigia, non è mai esploso davvero, rimanendo per tutta la sua carriera un ottimo secondo/terzo (se non quarto) violino: stupefacente forza della natura vicino a canestro, non ha mai superato i 16,7 punti a partita dei suoi terzo e quarto anno nella Lega (gli ultimi ai Nets), così come non è mai andato oltre i 9,5 rimbalzi e, soprattutto, le 1,7 stoppate, briciole per uno con la sua elevazione e il suo atletismo. Inoltre, anche a causa di ricorrenti problemi fisici (e non solo), il suo declino è iniziato molto presto: già al quinto anno, con il passaggio a Denver, le sue medie hanno iniziato a calare, per poi scendere abbondantemente sotto la doppia cifra nei punti negli ultimi anni, passati tra Clippers, Knicks e Bucks, con un ruolo tutt’altro che di primo piano. Insomma, non un fallimento totale (è stato anche All-Star, nel 2004), ma sicuramente un giocatore da cui ci si sarebbe aspettati molto, ma molto di più.

7. Chris Mihm (C, 213 cm, Cleveland Cavaliers)
Carriera senza infamia e senza lode per questo centro bianco scelto dai Bulls ma subito mandato ai Cavs per Jamal Crawford: troppo poco, però, per un giocatore scelto al n. 7. La sua stagione da rookie a Cleveland è tutto sommato discreta (7,6 punti e 4,6 rimbalzi), tanto che viene incluso nell’NBA All-Rookie Second Team, e l’anno successivo replica più o meno le stesse cifre. Invece che crescere, però, al terzo anno minuti e cifre calano, e l’anno dopo viene mandato a Boston, dove le cose non cambiano granché. Nell’estate del 2004 passa così ai Lakers, dove per due stagioni tocca i suoi massimi in carriera per minuti (26,1), punti (10,2) e rimbalzi (6,7). La sua costante nella Lega, fino a questo momento, sono stati gli infortuni: non è mai riuscito a giocare una stagione completa, ma ora le cose iniziano ad andare anche peggio. Durante il suo secondo anno a Los Angeles, infatti, si fa male a una caviglia, infortunio che gli farà saltare le ultime 17 partite, i Playoffs e tutta la stagione successiva. Torna in campo nel 2007, ma fisicamente non è a posto, e in campo si vede; passa altre due stagioni ai Lakers vedendo pochissimo il campo, dopodiché viene ceduto ai Grizzlies, con la cui maglia però non scenderà mai in campo: sottopostosi a un nuovo intervento alla caviglia, deciderà di ritirarsi poco dopo, chiudendo una carriera da 7,5 punti e 5,3 rimbalzi a partita.

9. Joel Przybilla (C, 216 cm, Milwaukee Bucks)
Un discorso più o meno simile vale anche per questo atletico gigante scelto dai Bucks: la sua carriera, durata 13 stagioni tra Bucks e Blazers soprattutto, con brevi parentesi ad Atlanta e Charlotte, sarebbe stata ottima per un giocatore scelto al secondo giro: 3,9 punti, 4,3 rimbalzi e 1,4 stoppate di media in carriera (con massimi di 6,4 punti, 8,7 rimbalzi e 2,3 stoppate, sempre a Portland ma in annate diverse). Il basket però non è solo cifre; se queste lo fanno apparire come un vero e proprio flop, la realtà sta nel mezzo: Przybilla negli anni si è dimostrato un elemento prezioso per quanto riguarda il lavoro sporco, ovvero difendere, prendere rimbalzi, portare blocchi, stoppare, segnare qualche punto pescando il pallone nel traffico… Il contratto (esageratissimo) da 32 milioni di dollari in cinque anni firmato nel 2006 con i Blazers testimonia quanto fosse considerato prezioso dalla sua squadra. Ceduto a Charlotte nel 2011, quando ormai il suo ruolo è molto marginale nella rotazione, ritorna a Portland da free agent, per poi chiudere la carriera nel 2014 ai Bucks, sua prima squadra nella Lega.

Keyon Dooling non era esattamente un tiratore... (Foto: cbssports.com)

Keyon Dooling non era esattamente un tiratore… (Foto: cbssports.com)

10. Keyon Dooling (G, 191 cm, Los Angeles Clippers)
Altro giocatore discreto e nulla più scelto nel draft del 2000, Keyon Dooling è comunque riuscito a ritagliarsi un suo ruolo per tredici stagioni; ruolo che, però, è stato tutt’altro che di primo piano, soprattutto se si considera che non ha chiuso nemmeno una stagione in doppia cifra. Scelto dai Magic e subito ceduto ai Clippers, passa quattro anni a Los Angeles teoricamente senza brillare, ma in pratica poi si scoprirà che quello è esattamente il suo ruolo nella Lega: anche a Miami, Orlando e poi New Jersey, Milwaukee e Boston farà sempre il giocatore in grado di cambiare ritmo in uscita dalla panchina, con il suo uno contro uno e la sua esplosività. Nell’estate del 2012, dopo aver rifirmato con i Celtics, annuncia a sorpresa il ritiro, dovuto a motivi personali: da una parte il desiderio sempre più forte di poter vivere una vita “normale” con la sua famiglia, dall’altra una crisi personale profonda. In ogni squadra in cui ha giocato, infatti, Keyon è sempre stato l’elemento di riferimento, con cui molti compagni si confrontavano e a cui confidavano i propri problemi; finché, semplicemente, il vaso di Pandora è scoppiato e lo stesso Dooling ha dovuto far fronte in prima persona ai suoi problemi personali, a partire dagli abusi subiti in tenera età e mai raccontati a nessuno. La scelta è sofferta, e infatti, dopo qualche mese come Player Development Coordinator dei Celtics, firma come free agent per i Grizzlies, con cui gioca sette partite prima del ritiro definitivo. Ora lavora come life coach nella NBA e in NBDL.

12. Etan Thomas (PF-C, 208 cm, Dallas Mavericks)
Altro lungo, come Mihm e Przybilla, scelto molto in alto e la cui carriera di fatto è stata di fatto di poco migliore a molti pariruolo scelti al secondo giro dei draft degli anni precedenti. La sua carriera in effetti non inizia particolarmente bene, dato che a Dallas non scende in campo nemmeno una volta. Mandato a Washington nel 2001, passa nella capitale sette stagioni (otto se si conta anche la 2007/08, interamente saltata a causa di un problema cardiaco), con un massimo di 8,9 punti, 6,7 rimbalzi e 1,6 stoppate nel 2003/04. Nell’estate 2009 una trade lo spedisce a Oklahoma City, mentre un anno dopo firma per gli Hawks, con cui scende in campo per 13 partite nell’ultima stagione della sua carriera, chiusa a 5,7 punti, 4,7 rimbalzi e 1 stoppata di media. Poeta, scrittore e attivista già durante la sua carriera cestistica, Thomas aumenta il suo impegno in queste attività dopo il ritiro, parlando e scrivendo soprattutto di paternità e ottenendo visibilità a livello nazionale.

15. Jason Collier (C, 213 cm, Houston Rockets)
Continuiamo la lunga lista dei big men di questo draft con questo centrone bianco scelto dai Bucks e subito mandato ai Rockets: dopo tre stagioni fallimentari a Houston (11,3 minuti, 3,5 punti, 2,4 rimbalzi), passa ad Atlanta, dove il primo anno mette insieme 11,3 punti e 5,6 rimbalzi (anche se in sole 20 partite), mentre l’anno dopo scende a 5,7 punti e 2,6 rimbalzi (ma di partite ne gioca 70). Durante l’estate 2005, però, succede la tragedia: un attacco di cuore ne provoca la morte nel sonno, a soli 28 anni; l’autopsia accerterà che soffriva di cardiomiopatia dilatativa: in pratica, il suo cuore era una volta e mezza più grande del normale. La sua maglia numero 40 è stata ritirata dagli Hawks, perché, giustamente, il ricordo di una vita sfortunata vale più di una mediocre carriera.

La prova visiva della partecipazione di Jamaal Magloire all'All-Star Game del 2004 (Foto: espn.go.com)

La prova visiva della partecipazione di Jamaal Magloire all’All-Star Game del 2004 (Foto: espn.go.com)

19. Jamaal Magloire (C, 211 cm, Charlotte Hornets)
Manco a farlo apposta, ecco un altro centro, la cui carriera è stata a dir poco particolare: canadese, scelto dagli Hornets, a Charlotte gioca un mediocre primo anno e un promettente secondo. Poi la franchigia si trasferisce a New Orleans e, per un caso ovviamente fortuito, il suo rendimento inizia a crescere, chiudendo il suo terzo anno a 10,3 punti e 8,8 rimbalzi di media e raggiungendo addirittura la doppia doppia (13,6 punti, 10,3 rimbalzi) l’anno successivo, quando viene anche convocato nientemeno che per l’All-Star Game (convocazione assai controversa, è giusto ricordarlo). L’anno dopo un problema a un dito lo tiene fuori per 59 partite, ma non lo si può certo definire un infortunio che possa segnare una carriera. Invece, Magloire inizia un declino incredibilmente rapido: ceduto ai Bucks, scende a 9,2 punti e 9,5 rimbalzi di media, e l’anno dopo, a Portland, arriva a 6,5 punti e 6,1 rimbalzi in 21 minuti a gara. È la sua ultima stagione “dignitosa” (la settima in NBA), perché da quel momento in poi, nelle sue ultime cinque stagioni tra Nets, Mavs, Heat e Raptors, collezionerà la miseria di 2,1 punti e 2,4 rimbalzi in poco più di 10 minuti di media. Tagliato dai Raptors nell’ottobre 2012, rimane nella città canadese (in cui è nato) prima come consulente e poi come vice-allenatore.

25. Jake Tsakalidis (C, 220 cm, Phoenix Suns)
Nato in Georgia ma naturalizzato greco, Tsakalidis inizia la sua carriera professionistica a 17 anni, nell’AEK Atene, con cui vince una Coppa Saporta e una Coppa di Grecia. Scelto dai Suns, approda subito a Phoenix, dove gioca tre stagioni da buon gregario; la seconda rimarrà la migliore della sua carriera ma, per rendere l’idea, stiamo parlando di 7,3 punti e 5,6 rimbalzi in 23,6 minuti. Passa quindi a Memphis, dove gioca da rincalzo o poco più per tre stagioni e mezzo prima di chiudere la sua carriera (4,8 punti e 3,9 rimbalzi nei suoi sette anni in NBA) con tredici partite a Houston. Torna quindi in Grecia, ma gioca solo una stagione all’Olympiacos prima di ritirarsi a soli 29 anni.

2º Giro

Stelle a sorpresa: chi li ha scelti al secondo giro ha avuto davvero un colpo di genio (o di fortuna…)

43. Michael Redd (G, 198 cm, Milwaukee Bucks)
Sembra un paradosso, ma in un draft ben povero di talento il miglior giocatore è stato scelto a metà del secondo giro. Che si sia trattato di lungimiranza, chiaroveggenza o semplice fortuna, i Bucks si sono assicurati così quello che sarebbe diventato il loro giocatore-franchigia negli anni a venire: dopo una prima stagione da sole sei partite giocate, chiuso nel ruolo da un certo Ray Allen, Redd si guadagna minuti già a partire dal secondo anno, chiuso ampiamente in doppia cifra di media (11,4 punti). Al quarto anno, complice la partenza di Allen, esplode definitivamente, chiudendo la stagione a 21,7 punti a partita (più 5 rimbalzi e 2,3 assist) e venendo convocato anche per l’All-Star Game. Saranno sei le stagioni di fila (abbondantemente) sopra i 20 punti a partita, con il massimo dei 26,7 nel 2006/07, sempre con la maglia dei Bucks.  Nel 2008 vince le Olimpiadi con la maglia della Nazionale USA, ma nel gennaio del 2009 un brutto infortunio al ginocchio sinistro lo tiene fuori per il resto della stagione. Torna in tempo per quella successiva, ma alle difficoltà iniziali (media punti dimezzata) si aggiunge una nuova sfortuna, quando, quasi esattamente un anno dopo, si fa male di nuovo, e allo stesso modo, al ginocchio sinistro. Torna in campo nel marzo 2011, ma in 10 partite segna solo 44 punti. L’anno dopo lascia Milwaukee dopo undici anni, e a fine dicembre firma per i Suns, con cui disputa 51 partite discrete e nulla più. A fine stagione decide di ritirarsi; in carriera vanta una media di 19 punti a partita (condizionata al ribasso dagli ultimi difficili anni), 3,8 rimbalzi e 2,1 assist, con il 45% dal campo, il 38% da tre e l’84% ai liberi.

Onesti mestieranti: scelti al secondo giro, si sono costruiti una (più o meno) solida carriera NBA.

Marko Jaric, qui con Adriana Lima, spiega il significato del verbo "to jaric" (Foto: ballandroll.com)

Marko Jaric, qui con Adriana Lima, spiega il significato del verbo “to jaric” (Foto: ballandroll.com)

30. Marko Jaric (G, 201 cm, Los Angeles Clippers)
Playmaker atipico oltre i due metri di altezza, inizia a incantare i palcoscenici europei già a 18 anni con la maglia del Peristeri. Dopo la seconda stagione in Grecia è la Fortitudo Bologna a puntare su di lui: vince la Supercoppa e il campionato nel 1999/2000 e viene scelto al draft dai Clippers, ma decide di rimanere in Italia altri due anni. Così, la stagione successiva vince un altro scudetto, sempre a Bologna, ma stavolta con la maglia della Virtus (con cui vince anche un’Eurolega e due Coppe Italia). L’esordio in NBA arriva nel 2002, già da giocatore maturo, e si vede: nei suoi primi sei anni nella Lega (tre ai Clippers e tre ai Timberwolves) mantiene sempre un rendimento più o meno costante, non da stella, ma da solido e affidabile comprimario; nell’estate del 2008 firma con i Grizzlies, dove però le sue cifre calano considerevolmente (2,6 punti in 11,4 minuti contro i 7,1 punti, 2,7 rimbalzi, 3,6 assist e 1,3 recuperi in 25,2 minuti della sua carriera). Così decide di tornare in Europa, prima al Real Madrid e poi alla Montepaschi Siena, con cui aggiunge scudetto e Coppa Italia nel 2011 a un palmarès già piuttosto ricco, che conta anche un oro mondiale (2002) e un oro europeo (2001) con la maglia della Serbia. Ormai ritirato, rimane famoso per le sue bellissime e famosissime fidanzate (Elisabetta Canalis, Nina Moric e Adriana Lima, per citarne alcune), tanto che nel 2014 viene coniato il verbo “to jaric”, che significa “stare con una donna molto più bella di te”.

33. Jake Voskuhl (C, 211 cm, Chicago Bulls)
Campione NCAA con Connecticut nel 1999, viene scelto dai Bulls all’inizio del secondo giro e, a dispetto di questo, non ha fatto peggio (anzi) di molti altri pariruolo scelti molto, molto prima. In nove stagioni nella NBA, a Chicago, Phoenix, Charlotte, Milwaukee e Toronto, Voskuhl si è costruito un suo ruolo, quello di centro di riserva in grado di assicurare qualche punto, qualche rimbalzo e qualche spintone in pochi minuti di gioco. Le sue medie in carriera parlano di 4 punti e 3,4 rimbalzi in 14,3 minuti, cifre simili a quelle della nona scelta Przybilla, per intenderci. Nel 2011 torna in campo con i Metros de Santiago, a Puerto Rico, dopodiché si perdono le sue tracce.

37. Eddie House (G, 185 cm, Miami Heat)
Penalizzato dalla statura (corpo di un playmaker, attitudine da guardia), il miglior realizzatore nella storia di Arizona State è scivolato a secondo giro inoltrato, ma è riuscito comunque a costruirsi una solidissima carriera in NBA. Scelto dagli Heat, rimane a Miami per tre stagioni prima di iniziare a girovagare per gli USA: Clippers, Bobcats, Bucks, Kings, Suns, Nets, Celtics (dove rimane “addirittura” due stagioni e mezzo) e Knicks le sue squadre in undici anni di carriera, chiusa tornando dove tutto era cominciato, a Miami. Le cifre testimoniano la sua affidabilità: 7,5 punti di media in 17,3 minuti (mai sotto i 5 punti della sua stagione da rookie, ma mai oltre i 9,8 con la maglia dei Suns).

Eduardo Nájera, secondo messicano nella storia della NBA (Foto: txrealestateinsider.com)

Eduardo Nájera, secondo messicano nella storia della NBA (Foto: txrealestateinsider.com)

38. Eduardo Nájera (F, 203 cm, Dallas Mavericks)
Solida carriera da onesto mestierante anche per il secondo giocatore messicano ad aver calcato un parquet NBA (il primo era stato la meteora Horacio Llamas). Ruolo a metà tra ala piccola e ala forte, è sempre riuscito a sopperire a un talento non proprio smisurato e a diversi infortuni con una buona dose di intelligenza cestistica e un’invidiabile etica del lavoro; scelto da Houston ma subito mandato a Dallas, vi rimane per quatto stagioni, per poi passare per Warriors, Nuggets, Nets, ancora Mavs e Bobcats, dove nel 2012 chiude una carriera da 4,9 punti e 3,7 rimbalzi in 18,1 minuti di media. Subito dopo il ritiro diventa head coach dei Texas Legends, nella NBDL, dove rimane per tre stagioni prima di venire sostituito dal suo assistente Nick Van Exel nel luglio 2015.

44. Brian Cardinal (F, 203 cm, Detroit Pistons)
Come Nájera, anche Cardinal è riuscito a ritagliarsi uno spazio nella NBA a dispetto della carenza di talento e atletismo, grazie alla sua intelligenza, all’intensità e a un discreto tiro da fuori. Le sue migliori annate sono al quarto e al quinto anno, quando prima a Golden State e poi a Memphis va oltre i 9 punti a partita (con circa 4 rimbalzi) in una ventina abbondante di minuti a partita. Nelle sue altre dieci stagioni da professionista, passate a Detroit, Washington (tagliato a metà stagione, la termina al Pamesa Valencia, con cui vince la ULEB Cup), Minnesota e Dallas, le cifre sono invece ben più che dimezzate, tanto che le sue medie carriera parlano di 4,6 punti e 2,3 rimbalzi con il 37% da tre in 14,2 minuti: tutto sommato non male per un giocatore scelto al n. 44 che vanta anche un titolo NBA nel suo palmarès, con i Mavs nel 2011.

49. Jason Hart (G, 191 cm, Milwaukee Bucks)
Un altro giocatore, stavolta una guardia senza nemmeno una parvenza di tiro da fuori, che pur essendo scelto verso la fine del secondo giro ha fatto meglio di molti suoi pariruolo scelti più in alto è Jason Hart. Scelto da Milwaukee, con la maglia dei Bucks nel suo anno da rookie scende in campo solo in una partita. L’anno successivo, senza contratto, inizia la stagione in NBDL con gli Asheville Altitude, ma viene presto chiamato dagli Spurs, che lo schierano però solo per dieci partite. Va quindi in Grecia, al Makedonikos, per poi tornare agli Spurs, stavolta giocando più partite, seppur a minutaggio limitato. Passa quindi a Charlotte, dove disputa la miglior stagione in carriera, da 9,5 punti 2,7 rimbalzi, 5 assist e 1,3 recuperi. Nelle stagioni successive vestirà le maglie di Kings, Clippers, Jazz, Nuggets, Timberwolves e Hornets, senza però più ripetersi su certi livelli. Tutto sommato, però, è riuscito a ritagliarsi una carriera da nove stagioni nella Lega, con 4,8 punti e 2,3 assist di media.

Curiosità

Sono solo sei i giocatori scelti al draft del 2000 ad aver vinto almeno un titolo NBA, tutti però con ruoli da comprimari o “peggio”: Mike Miller, Speedy Claxton, DeShawn Stevenson, Mark Madsen, Eddie House e Brian Cardinal.

La seconda carriera di Desmond Mason (Foto: exnba.com)

La seconda carriera di Desmond Mason (Foto: exnba.com)

Desmond Mason, guardia/ala scelto dai Sonics al n. 17, vincitore della gara delle schiacciate del 2001, in dieci anni di carriera ha messo insieme 12,1 punti e 4,5 rimbalzi di media tra Seattle, Milwaukee, New Orleans, Oklahoma City e Sacramento. Numeri alla mano, si tratta di uno dei migliori giocatori usciti da questo draft, ma la cosa paradossale è che il basket era in realtà il suo “secondo” talento: Mason infatti è ora un artista di una certa fama; si è ritirato piuttosto presto dal basket giocato (a soli 32 anni) proprio per potersi dedicare interamente alla sua vera passione, la pittura, che oggi è anche un lavoro molto ben remunerato, visto che i suoi quadri valgono ognuno qualche migliaio di dollari (per saperne di più, leggete il bel pezzo di Marco Pagliariccio su La Giornata Tipo).

Una storia piuttosto curiosa è invece quella di Chris Porter: scelto dai Warriors un po’ inaspettatamente alla fine del secondo giro (n. 55), nella stagione da rookie gioca 51 partite in cui trova minuti (22,5), ben ripagati da 8,6 punti e 3,7 rimbalzi. In estate, però, si presenta con tre giorni di ritardo al summer camp a causa di problemi con la giustizia. I Warriors lo spediscono così agli Hornets, ma Porter perde il volo per Charlotte e la franchigia decide di tagliarlo senza nemmeno farlo scendere in campo. Lì finisce la sua carriera NBA, ma la storia, per certi versi, ha un lieto fine, visto che l’ala da Auburn si costruisce una carriera di tutto rispetto come stella delle minors americane e non. Nel 2002 vince da protagonista il titolo CBA con i Dakota Wizards, e pochi mesi dopo vince il titolo USBL con gli Oklahoma Storm. Gioca brevemente anche a Fabriano e a Puerto Rico, ma poi torna negli USA, vincendo nuovamente nel 2004 il campionato CBA con Dakota. Gioca quindi per qualche anno all’estero, tra Portogallo, Corea del Sud, Filippine e Cina. Nel 2012 torna negli USA, scelto dai Fort Wayne Mad Ants nella D-League (a 34 anni), giocando però nei mesi di sosta anche nella ABA e nella IBL; nel 2014 si laurea campione della NBDL, ma nel 2015 viene tagliato per aver violato il programma anti-droga della Lega, ultimo episodio di una serie di problemi con la giustizia legati alla droga che hanno segnato la carriera, e la vita, di questo giocatore.