Come era più che lecito attendersi, anche nella Central Division i primi due mesi di regular season stanno cominciando a tracciare degli equilibri definiti, seppur con qualche “disallineamento” rispetto ai pronostici iniziali. Poche sorprese, quindi, e pochi acuti in una division le cui squadre stanno attraversando una fase non particolarmente esaltante.

CLEVELAND CAVS (16-7). Senza infamia e senza lode. Probabilmente poche definizioni potrebbero inquadrare meglio il momento attuale della stagione dei Cavs, reduci da due settimane assolutamente contraddittorie (per non dire, negative), in cui la franchigia dell’Ohio ha rimediato la bellezza di tre sconfitte in fila, seguite poi a ruota dalle altrettante vittorie con Orlando, Portland e Boston. Ok, a Miami LeBron era stato precauzionalmente tenuto a riposo. Come commentare, però, il match casalingo contro i Pelicans, perso dopo un overtime (seppur a fronte di un monumentale Anthony Davis)? Di certo, a voler guardare i numeri, non si può parlare di un ruolino di marcia invidiabile. Eppure la Eastern Conference si sa, è tutt’altro scenario rispetto alla durissima competizione presente a Ovest, così che Cleveland può permettersi il lusso di occupare la prima piazza tirando il freno a mano. Anzi, giocando al di sotto delle attese. Chissà che, magari, nuova linfa e nuove motivazioni non possano arrivare dall’ormai imminente rientro di Kyrie Irving. Il prodotto da Duke è infatti prossimo a rimettere piede in campo dopo l’infortunio alla rotula che lo ha praticamente estromesso dalle Finals dello scorso Giugno. Anche lo stesso coach Blatt lascia trapelare un certo ottimismo (“Kyrie is looking good and is feeling good“), seppur la cautela resti massima e l’idea di valutarne l’impiego venga presa decisamente con le pinze. Le ultime news, in ogni caso, lo vogliono al debutto già questo giovedì contro i Thunder. Di certo non c’è la volontà di forzare i tempi, specialmente quando (più per demeriti altrui che per altro) il Prescelto e i suoi “scudieri” viaggiano in testa senza incontrare nessuna vera opposizione.

CHICAGO BULLS (15-8). L’impressione generale è che i Bulls siano nel bel mezzo di una crisi d’identità, tipica delle fasi di transizione. Se da un lato, infatti, il record sia comunque oltre il 60% di vittorie, dall’altro sembra che Chicago stia subendo gli effetti di un paradosso da non sottovalutare, ossia quello di essersi affidata a un nuovo brillante coach (con idee e approcci completamente diversi dal predecessore), ma con un roster che non ha praticamente subito modifiche e che è ancora incapace di rompere definitivamente con il passato. Risultato? Una squadra a tratti spenta, con poca energia e capace di perdere allo United Center contro Phoenix e Charlotte, non proprio le prime della classe. Di contro, però, la qualità dei singoli a disposizione di Hoiberg è indiscutibile, e da qui ecco le vittorie a Boston e in casa contro New Orleans, maturate soprattutto grazie a un Pau Gasol ringiovanito e ispiratissimo (15,3 punti con 10,6 rimbalzi a gara fin qui), oltre che al prezioso apporto dalla panchina di Aaron Brooks e Doug McDermott.

Joakim Noah: riusciranno i suoi Bulls a recuperare l'agonismo smarrito?

Joakim Noah: riusciranno i suoi Bulls a recuperare l’agonismo smarrito?

La nota più dolente è purtroppo sempre la stessa, ovvero un Derrick Rose ai minimi storici (12,9 punti a partita, mai così in basso nella sua carriera), che rischia seriamente di diventare un problema piuttosto che l’arma devastante che tutti a Chicago, forse invano, sperano possa ritornare. Come giustamente sostiene Joakim Noah, leader emotivo indiscusso, i Bulls hanno assoluto bisogno di recuperare il loro spirito guerriero e l’intensità dalla quale non possono prescindere per dare una svolta a una stagione fin qui poco entusiasmante.

INDIANA PACERS (15-9). Chi invece sembrava aver recuperato un’inerzia vincente, sono i Pacers di coach Vogel. Se non fosse che, nelle ultime sette partite, sono arrivate quattro brucianti sconfitte che ne hanno rallentato un’ascesa fortissima. A differenza delle altre due, però, va detto che a Indianapolis non possono che ritenersi soddisfatti del cammino fin qui svolto (a maggior ragione dopo il netto successo contro Dallas di stanotte). Soprattutto perché ormai non vi sono più dubbi: Paul George è al momento uno dei 4/5 giocatori più decisivi della Lega e le sue prestazioni “monstre” non rappresentano più una notizia. Tra tutte, spiccano il Career High di 48 punti (si, avete letto bene: 48!) messi a referto contro Utah e i 33 contro Golden State, a testimonianza di uno stato di forma davvero strepitoso che lo ha portato ad essere quarto nella classifica realizzatori con 26,5 di media. CJ Miles si conferma incredibile sorpresa di questo avvio, con percentuali strabilianti dall’arco (44% in stagione, con una partita da 8 triple a bersaglio contro Portland e un’altra da 5 su 5 nell’importante vittoria con i Raptors). In generale, tutta la squadra sta rivelando un assetto molto più assortito e pericoloso di quanto si prospettasse inizialmente, soprattutto se si considera che Monta Ellis è ancora lontano dai livelli che gli competono (fatta eccezione per i 24, pesanti, registrati nella vittoria contro Miami). A queste condizioni, Indiana può senza alcun dubbio puntare in alto e continuare a proporsi come seria candidata per il terzo posto ad Est.

DETROIT PISTONS (15-12). Più che mai soggetta ad alti e bassi (eloquenti le tre sconfitte e le tre vittorie nelle ultime sei gare), Detroit rimane nella cosiddetta “terra di mezzo” a ridosso della zona Playoff. La sensazione ad oggi è che i Pistons riusciranno a giocarsi uno slot nella post-season solo se lo starting five dovesse mantenersi su questo standard di performance. Legittimo avere dei dubbi a riguardo, dal momento che le sconfitte coincidono tendenzialmente con un calo di rendimento degli attori principali, con la costante di una panchina poco più che marginale. Altrettanto ovvio come una rotazione così ristretta non può che penalizzare, sul lungo periodo, una squadra capace di giocarsela con chiunque nelle giornate di grazia. Da capire quale sarà l’impatto del rientro di Brandon Jennings e quanto il mancino ex Virtus Roma potrà alleggerire il peso di un attacco ora largamente dipendente dal talento di un Reggie Jackson sopra le righe, ma ancora vittima di una cronica incostanza. Mentre un’altra potenziale valvola di sfogo per Van Gundy potrebbe essere la crescita del rookie Stanley Johnson, alle prese con un’ambientamento complesso tra i Pro, ma assolutamente obbligato, forte del suo indubbio bagaglio tecnico/fisico, a migliorare i soli 7,7 punti finora prodotti a partita.

MILWAUKEE BUCKS (10-17). Parlare di crisi non è più fuorviante, così come è innegabile che Milwaukee sia oggi incapace di esprimere la pallacanestro divertente ed efficace che li aveva condotti ai Play Off nella scorsa stagione. E se la vittoria, storica, con cui i ragazzi di Kidd hanno interrotto la striscia infinita dei Golden State Warriors, poteva sembrare la chiave di volta di un’annata partita come peggio non si poteva, ecco arrivare una brutta sconfitta contro i derelitti Lakers, ultimi a Ovest, e un’altra, seppur più prevedibile, contro i Clippers. Le problematiche sono evidentemente ben più radicate di quanto si potesse immaginare ai nastri di partenza, e riguardano entrambi i lati del campo.

Jason Kidd (Chris Trotman/Getty Images)

Jason Kidd: stagione molto più complicata del previsto per i suoi Bucks (Chris Trotman/Getty Images)

I Bucks sono infatti una delle peggiori difese della Lega (ventiquattresimi nel rank), e presentano problemi strutturali notevoli anche nella fase offensiva, dove, con l’infortunio di Bayless e le scarse prestazioni di O.J. Mayo, la squadra può sì vantare sempre un atletismo e una fisicità straripanti, ma manca di una reale pericolosità dal perimetro. Onestamente nessuno, tra gli addetti ai lavori, avrebbe pensato di trovarsi a raccontare di una Milwaukee così in difficoltà, e in pochi credono ancora che si tratti solo ed esclusivamente di un caso. Forse la strada migliore per la franchigia potrebbe essere quella di intervenire nel mercato, provando ad inserire un tiratore puro (Caron Butler è stato accostato alla franchigia del Wisconsin più volte negli ultimi giorni). Quello che certamente occorre a Carter-Williams e compagni è un cambio di atteggiamento e di rotta, senza il quale questa stagione rischia di trasformarsi in un autentico fallimento.