Aspettarsi una gara-3 di simile fattura dopo il secondo episodio giocato a San Antonio era oggettivamente difficile. Pochi colpi di scena, nessun equilibrio, il terzo atto della serie è fondamentalmente un monologo dgli Spurs, che dopo aver allungato verso la metà del primo quarto non hanno mai mollato il possesso del match, respingendo con relativa tranquillità (e grazie all’unico canestro in serata di Marco Belinelli) un isolato sussulto dei padroni di casa, risaliti nel terzo quarto fino al -7. Vittoria esterna di importanza fondamentale per la franchigia texana, che ristabilisce immediatamente il fattore campo e potrà giocare con relativa serenità gara-4.

UPS

Kawhi Leonard. Partiamo dall’aspetto meno sorprendente, ma comunque degno di nota: difende in maniera eccelsa contro James, contenendolo dal punto di vista realizzativo e riducendo l’effetto dominante delle sue entrate. È vero che il 6 di Miami tira con buone percentuali (9-14 dal campo, con 2-4 dalla lunga distanza), ma perde contemporaneamente la bellezza di 7 palloni e segna “solo” 22 punti. In aggiunta a questo favoloso lavoro nella metà campo difensiva, l’ala degli Spurs regala ai suoi una prova balistica eccezionale: 29 punti (career-high), frutto di un irreale 10-13 dal campo (col 50% da oltre l’arco). Per coronare una gara ai limiti della perfezione, la ciliegina sulla torta: un plus/minus da +19, dato superato solamente dal +20 di Boris Diaw nel corso della sfida.

 

Danny Green (Photo by Ronald Martinez/Getty Images)

Danny Green (Photo by Ronald Martinez/Getty Images)

Danny Green. Non il Danny Green cui siamo abituati, assolutamente, ma questa versione “inedita” del numero 4 degli Spurs ha impressionato non poco. Il punto di svolta è da ricercare principalmente nell’applicazione difensiva: 5 palloni recuperati in una sola partita sono un’enormità, un patrimonio che San Antonio ha saputo sfruttare attaccando in transizione ogni volta che ha potuto. Per quanto riguarda il contributo offensivo, i 15 punti messi a referto lo rendono il secondo miglior marcatore dei suoi, e fanno riflettere soprattutto per come sono arrivati. Tanto per iniziare con percentuali ancora una volta celestiali (7-8 dal campo!) ma, aspetto ancora più significativo, con una sola conclusione dall’arco dei 6,75. La scarsa capacità di attaccare il ferro è sempre stata uno dei maggiori difetti di Geen: il 6-6 di questa partita dimostra quantomeno che la strada è quella giusta.

L’attacco di San Antonio. Internet negli ultimi due giorni è stato un pullulare di video contenenti le migliori giocate corali della squadra di Popovich, i cui interpreti a tratti sono apparsi imprendibili anche per una difesa fenomenale come quella di Miami. Gamma di soluzioni sterminata (transizioni, giochi dal post, penetra e scarica…) e decisioni al limite della perfezione hanno permesso agli ospiti di prendersi quasi esclusivamente tiri ben costruiti per tutti i 48 minuti. Le percentuali fuori dal comune sono una logica conseguenza di questa attitudine: non si tira col 45% da 3 punti e in particolar modo col 66% da 2, non contro Miami, se non si possiede una grande capacità di creare conclusioni comode e in ritmo. Un rapporto assist/palle perse del 175% non fa che testimoniare, una volta di più, la qualità dei possessi degli Speroni.

DOWNS

 

Chris Bosh

Chris Bosh

Chris Bosh. Se in gara-2 Leonard era stato una delle note stonate dell’incontro e Bosh una di quelle più positive, si può affermare che per l’atto successivo si siano scambiati i ruoli. Il centro di Miami, determinante e decisivo in Texas, perde la rotta appena la serie si sposta a South Beach, nonostante le cifre non parlino di una prestazione malvagia. Il 100% al tiro, però, non può nascondere il fatto che l’ex Toronto non incida difensivamente sotto il proprio tabellone (anche se non sono i Duncan o gli Splitter a vincere la partita per San Antonio) e, soprattutto, che non si prenda abbastanza responsabilità in attacco. Quattro conclusioni tentate in 35 minuti di gioco sono poche, davvero troppo poche, se si considera che Bosh ha il compito importantissimo di aprire l’area degli Spurs col suo affidabile tiro da fuori per consentire penetrazioni più agevoli per i vari James e Wade. La miseria di 3 rimbalzi catturati (tutti in difesa) e un plus/minus che recita un tragico -18 rappresentano infine i dati che, anche da un punto di vista statistico, condannano la prova del centro di Miami.

La regia di Miami. Mario Chalmers ha disputato una partita inspiegabile, in cui l’unico dato salvabile sono i 4 assist smazzati ai compagni. Per il resto, 0-5 dal campo in 22 minuti sul parquet e una totale mancanza di leadership. Se il play titolare rende così poco, è chiaro che ci sia più spazio per le secondo linee: Norris Cole ha ben figurato rispetto al suo compagno, producendo in 18′ 8 punti (col 33% dal campo), ma la sua mancanza di disciplina tattica non può non condizionare un attacco, quello degli Heat, che quando non riesce a sfruttare il contropiede soffre maledettamente. Gli uomini di Spoelstra hanno bisogno di più autorità e calma in cabina di regia, se vogliono riuscire a giocarsela alla pari con San Antonio.

La panchina di Miami. Spoelstra è riuscito a restituire un ruolo credibile a Lewis, di questo bisogna prendere atto, ma la gestione delle seconde linee rimane un mistero. Detto di Cole, destano parecchi dubbi le prestazioni di Andersen, che incide poco in attacco ma soprattutto non incide assolutamente in difesa, come risulta incomprensibile il mancato utilizzo (se si escludono gli ultimi, insignificanti 90 secondi concessi) di Battier e Haslem, che l’anno scorso di questi tempi furono incredibilmente utili alla causa degli Heat. Il capitolo Oden poi è talmente intricato che, probabilmente, è meglio non scomodarlo. In poche parole, Miami sta giocando questa serie con delle rotazioni limitatissime, e contro una formazione come quella di Popovich questo è un limite enorme, soprattutto considerando le condizioni di Wade, che per il momento sta stringendo i denti ma su cui non si può scommettere.

NEXT

Probabilmente dal punto di vista di Popovich è impossibile aspirare a tanti miglioramenti dopo una prestazione del genere. Volendo trovare la classica pagliuzza nell’occhio dell’altro, agli Spurs converrebbe coinvolgere maggiormente Duncan sotto canestro, ma si tratta di aggiustamenti davvero minimi. Se la concentrazione di Leonard e Green, l’efficacia silenziosa dei Big Three e l’applicazione di Diaw dovessero rimanere queste, per gli Spurs la serie non può che essere in discesa.

Coach Spoelstra ha le sue gatte da pelare dopo una debacle del genere. Indicazioni positive ne ha comunque avute: la reazione nel terzo quarto è da grandissima squadra e indica che la voglia non manca, Lewis e Allen continuano a garantire contributi importanti in termini di punti ed esperienza dalla panchia. Poi però c’è l’altra faccia della medaglia: va recuperato Bosh mentalmente, vanno deresponsabilizzati i playmaker, bisogna pretendere qualcosa in più dal Birdman. Miami ha bisogno di più peso sotto le plance e di tiratori affidabili, pronti a colpire sugli scarichi di Wade e James. Dovessero mancare, ancora, entrambi questi fattori, per gli Heat sarà davvero dura ribaltare il risultato della serie.