Andrea Bargnani e Marco Belinelli, un nuovo inizio (Photo by Geoff Barrenger)

Andrea Bargnani e Marco Belinelli, un nuovo inizio (Photo by Geoff Barrenger)

Andrea Bargnani e Marco Belinelli, i primi due italiani ad essere stati scelti al primo giro del draft NBA. Andrea da prima scelta assoluta al draft 2006 con tanta pressione sulle spalle sin dal primo giorno di training camp per dimostrare di non essere il nuovo Tskitishvili, ma con la possibilità di mettere piede in campo con regolarità sin da subito. Per Marco invece la chiamata alla 18, l’approdo nella baia e nonostante un debutto incredibile nella Summer League a Las Vegas (37 punti, con 14/20 al tiro) una immane difficoltà nel trovare spazio in un ruolo in cui Baron Davis e Monta Ellis erano titolari inamovibili, con Pietrus, Watson e Azubuike primi cambi. Bargnani dal canto suo riesce a crescere come impatto di partita in partita, si iniziano ad intravedere tante qualità offensive, trova spazio anche alla prima apparizione nella postseason e diventa titolare fisso negli anni seguenti arrivando nel 2010 a produrre un’ottima stagione da 17.2 punti, il 47% al tiro e 6.2 rimbalzi nelle 80 partite disputate (tutte in quintetto). Nella stessa stagione Marco, dopo la deludente esperienza ai Warriors prova a rilanciarsi proprio al fianco di Andrea ai Raptors ma dopo un buon inizio e l’appoggio di coach Triano, vede crollare il proprio utilizzo finendo ai margini delle rotazioni. La stagione seguente, la migliore stagione offensiva in carriera di Bargnani con 21.4 punti segnati di media con il 45% al tiro, vede anche la partenza di Belinelli direzione New Orleans, sotto l’ala di Chris Paul. Marco parte regolarmente in quintetto, ripaga la fiducia di coach Williams e dei compagni con una annata da 10.4 punti, il 43.7% al tiro e il 41.4% oltre l’arco, tutte migliori cifre in carriera, disputando anche i playoffs. Si arriva così alle ultime due stagioni, le peggiori per Andrea Bargnani, finito nel circolo vizioso degli infortuni (polpaccio, gomito) che gli faranno saltare 82 partite sulle 148 disputate dai Raptors, mentre per Belinelli dopo una stagione deludente segnata dalla partenza di Paul, arriva un contratto annuale ai Chicago Bulls. Una avventura complicata nel trovare spazio e nell’adattarsi ai dettami di Tom Thibodeau, fino alla definitiva consacrazione con i 24 punti (8/14 dal campo) nella vittoriosa gara 7 in trasferta nel primo turno contro i Nets, diventando il primo italiano della storia a passare un turno di playoff NBA. E ora? Due storie diverse ma con un punto in comune nell’ultimo periodo: un cambio di squadra e di città, di ambiente e di contesto tecnico, che proporrà ad entrambi nuove sfide. Bargnani, dopo un’annata di contestazioni e fischi, è stato ceduto ai New York Knicks, mentre Belinelli ha potuto scegliere la propria destinazione, accettando il biennale da 3 milioni annui propostogli nientemeno che dai San Antonio Spurs vicecampioni. Proviamo ad analizzare i loro trasferimenti e capire cosa potrebbe succedere con la loro nuova maglia:

 

Andrea Bargnani (AP Photo/David Zalubowski)

Andrea Bargnani (AP Photo/David Zalubowski)

– Chi trarrà i maggiori benefici dal cambio di scenario?

Bargnani non è riuscito a sobbarcarsi il peso di una franchigia orfana di Chris Bosh chiudendo l’ultima stagione con soli 12.7 punti, il 39.9% dal campo con soli 3.7 rimbalzi in 28 minuti di impiego, statistiche mai così basse da 5 anni a questa parte. In alcune circostanze Andrea è stato fatto partire dalla panchina sostituito da Amir Johnson e dal rookie Jonas Valanciunas e in generale in questi ultimi anni pur condizionati da infortuni, il suo gioco complessivo non è migliorato, anzi è completamente regredito anche negli usuali punti di forza, come jumper dalla media e produzione oltre l’arco (solo 72/238 da 3 negli ultimi 2 anni, pari ad appena il 30%, medie più basse in carriera). Ora ha la possibilità di rilanciarsi definitivamente in un ruolo da comprimario, non più da primo violino, attirando quindi molte meno pressioni su sé stesso. Discorso differente per Belinelli, i playoffs da protagonista (11.1 punti, 2.9 rimbalzi e 2.6 assist nelle 12 partite giocate) con i Bulls hanno messo in mostra le sue ottime qualità e un’annata passata sotto la guida di Thibodeau è stata molto formativa, caratterialmente ma anche a livello di scolarizzazione del gioco, migliorando decisamente anche l’aspetto difensivo, diventando più aggressivo contro point guard e shooting guard avversarie, ambito in cui non sempre è stato all’altezza nel corso delle sei stagioni nella lega. L’approdo alla corte di coach Gregg Popovich potrebbe essere uno scoglio importante per un ulteriore passo avanti nella sua carriera.

 

Nuovo numero di maglia per Andrea.

Nuovo numero di maglia per Andrea.

– Chi rischia di più?

Sicuramente Bargnani. Certo non dovrà più caricarsi sulle spalle le sorti di una intera franchigia e riuscirà a giocare libero da certe pressioni, ma New York rappresenta con ogni probabilità l’ultima vera occasione per mettere in mostra tutte le sue doti, un nuovo inizio, forse addirittura l’ultima spiaggia. A soli 27 anni e con il talento emerso però solo a tratti in queste sette stagioni in Canada, Andrea dovrà trovare motivazioni extra, mostrarsi ben più combattivo e concentrato rispetto agli ultimi tempi. Belinelli invece è alla quinta squadra NBA dal 2007 e fino ad ora ha dimostrato un grandissimo carattere; non si è mai abbattuto, nemmeno dopo i tanti DNP delle prime stagioni, è sempre riuscito a ripartire da zero con tanta motivazione e forza d’animo in ogni sua nuova avventura.

 

Marco Belinelli (Photo by Jonathan Daniel/Getty Images)

Marco Belinelli (Photo by Jonathan Daniel/Getty Images)

– Come potranno inserirsi nei due nuovi contesti con coach e compagni e reggere la pressione di media, tifosi? 

La scelta di Belinelli sarà probabilmente la migliore per ambiente e contesto tecnico, a partire dai tanti giocatori internazionali presenti a roster (vedi anche Manu Ginobili, ben conosciuto da Marco sin dai tempi della Virtus Bologna), dalla qualità di pallacanestro espressa grazie ad uno stile di gioco in grado di tirare fuori il meglio da ogni giocatore. Inoltre potrebbe essere anche la scelta migliore per la pressione a livello mediatico, infatti San Antonio è sì una città con profondo amore per la pallacanestro, ma resta comunque uno “small market” in cui l’attenzione dei media nazionali è meno aggressiva, l’ambiente in generale è più riservato, tranquillo e meno mondano. I Knicks invece sono una delle franchigie più importanti della NBA, essendo presenti nella lega sin dalla sua fondazione, New York è una delle metropoli più belle al mondo ed è il maggior mercato assieme a Los Angeles. I Knicks hanno l’obbligo di vincere, hanno l’obbligo di raggiungere un titolo che manca ormai da 40 anni. La pressione mediatica e della tifoseria è a livelli altissimi e Bargnani dovrà lavorare molto per guadagnarsi l’appoggio di tutto il Madison Square Garden. I Knicks sono convinti di riuscire a rilanciarlo e nello staff di Mike Woodson ci sono due ex assistenti dei Raptors (Jim Todd e Dave Hopla) che hanno già lavorato in passato con Andrea, motivo in più per farlo sentire a suo agio sin da subito.

 

Marco Belinelli (USA Today Sports)

Marco Belinelli nella vittoriosa gara-7 al Barclays Center (Photo by USA Today Sports)

– Che tipo di spazio sul parquet potranno avere la prossima stagione?

Difficilmente riusciranno a ritagliarsi entrambi un ruolo nello starting five. Belinelli da esterno in grado di allargare il campo e buona mano da 3 (38.7% in carriera) giocherà minuti importanti come cambio di Danny Green, diventando un’altra arma offensiva nello scacchiere di coach Popovich (ricoprendo il ruolo di Gary Neal). Inoltre Marco nell’ultima stagione ha messo in mostra buone capacità nel giocare i pick and roll, aggiunta a visione di campo e capacità di passaggio dal palleggio molto migliorate, quindi in determinate circostanze potrebbe ricoprire anche un piccolo ruolo in regia, il tutto in alternanza ovviamente a Manu Ginobili, il sesto uomo per eccellenza degli Spurs. In ogni caso, in un sistema come quello degli Spurs, Marco vedrà migliorare la propria efficienza offensiva. Discorso analogo per Bargnani che con ogni probabilità partirà dalla panchina; infatti pare al momento prematuro pensare ad un Carmelo Anthony schierato di nuovo da small forward dopo una stagione in cui ha prodotto tanto da power forward, così come il ruolo di Tyson Chandler in quintetto è fondamentale per quello che riesce a dare in termini di difesa e rimbalzi, da sempre il tallone di Achille del Mago. In ogni caso Andrea è un big man con ampio range di tiro e questo può essere un fattore importante per attirare fuori dal pitturato i diretti marcatori, lasciando così più spazio in post alle scorribande di Anthony mettendo in seria difficoltà le frontline avversarie.

 

Andrea Bargnani stringe la mano a David Stern nel draft 2006.

Andrea Bargnani stringe la mano a David Stern nel draft 2006.

– Questi movimenti possono aver definitivamente variato lo status dei due azzurri nella considerazione NBA rispetto all’approdo nella lega?

Bargnani era considerato il nuovo prototipo di power forward, con doti e range di tiro illimitate, capace di mettere la palla a terra e di partire in palleggio nonostante i 2.13m, ma in questi anni ha dimostrato di non essere il franchise player che i Raptors immaginavano potesse diventare. Nonostante quella stazza ha avuto un impatto nullo nel pitturato, diventando uno tra i peggiori rimbalzisti della lega, con una totale inadeguatezza a livello di posizione e aiuti difensivi e con un negativo ratio assist/turnover. Negli ultimi tempi veniva sempre contestato, non godeva più dell’appoggio e del sostegno della comunità di Toronto e si rincorrevano voci su una sua possibile amnesty. La sua reputazione oltreoceano ha raggiunto i minimi storici, forse anche per il suo tipo di carattere molto distaccato, indifferente e il cambio di scenario potrebbe rilanciare anche la considerazione che il pubblico nutre nei suoi confronti. Belinelli  invece dopo le difficoltà dei primi anni ai Warriors e dopo i tempi bui a Toronto in cui era visto solo come uno specialista, come un realizzatore monodimensionale, ha reso oggi più completo e efficiente il suo attacco, mettendosi in mostra anche come trattatore di palla, lavorando duramente negli ultimi anni su ogni suo singolo difetto e riscuotendo apprezzamenti da compagni e avversari.

 


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