Per gli italiani d’America finora una stagione con poche luci e molte, moltissime, ombre. Infortuni, incomprensioni, critiche e voci di trade non hanno di certo favorito i nostri portabandiera.

Tra i quattro, l’unico a poter abbozzare un sorriso convinto è Marco Belinelli, che ha ormai trovato la propria dimensione negli enciclopedici meccanismi di coach Popovich. Questa non è di certo il miglior inizio di stagione di sempre per gli Spurs (23-15), perché i big three hanno un anno in più e perché le defezioni e le magagne fisiche sono pane quotidiano anche in quel di San Antonio. Il coach degli Spurs sta cercando di ovviare ai problemi facendo ruotare tutto il suo roster, tenendo spesso a totale risposo i suoi migliori giocatori. Il settimo posto a ovest si spiega sostanzialmente così. Nelle 29 apparizioni collezionate, l’ex Warriors ha messo a referto in media 9.7 punti, 2.8 rimbalzi e 1.6 assist. Cifre che direbbero poco, se non si stesse parlando di un giocatore “di sistema” che fa quello che deve fare, conquistando il consenso dello staff tecnico e dei tifosi.

Chi, invece, con il proprio tecnico non ha affatto un buon rapporto, è Gigi Datome. In fondo alla panca da inizio stagione, “il barba” nostrano sembra destinato a passare il resto dei suoi giorni a Detroit ai margini delle rotazioni. Il talento c’è, la forma pure, ma Van Gundy sembra non avere occhi per Gigi. Sollecitato dai giornalisti di Detroit, che hanno notato come il sardo fosse sempre tra i migliori in allenamento, per efficacia e impegno, il mister dei Pistons ha risposto che sì, Gigi ha doti e dedizione, ma per ora, tanto per farla semplice, il campo se lo può solo sognare. La partenza di Josh Smith sembrava poter essere una piccola luce in fondo al tunnel, ma invece nulla; di spazio non ce n’è, e quel poco che poteva crearsi se l’è accaparrato il nuovo arrivato Tolliver (non un Lebron o un Durant), che SvG preferisce a Datome. Parlare di Gigi oggi non è facile. Più che sui numeri (una sola presenza di 12 minuti da 7 punti), si deve ragionare in potenza, su ipotesi ed eventualità, chiedendosi se per lui ci sarà ancora spazio in NBA, magari in una nuova franchigia, o se farebbe meglio a ritornare da questa parte dell’Oceano, accasandosi in una grande d’Europa, dove di certo non sfigurerebbe. Sembra però che Datome voglia giocarsi le proprie carte, senza cedere all’idea che lui in quel basket lì non ci possa stare. E come dargli torto?

Anche Andrea Bargnani dice di voler dimostrare di essere ancora un uomo da NBA, rispondendo alle poco velate critiche dei media vicini alla franchigia della Grande Mela. Questa, infatti, sembra essere l’ennesima stagione sciagurata per la prima scelta del 2006, che fino a ora ha passato sul parquet solo 22 minuti. Solo due presenze, 20 minuti contro i Clippers e solo 2 contro i Pistons, prima di farsi nuovamente male. E pensare che il suo rientro, dopo ben 73 partite saltate, aveva fatto ben sperare: 9 punti e 4 rimbalzi, mostrando discreta verve offensiva, al netto di un fisiologico appannamento, soprattutto in difesa. Queste le sue dichiarazioni al termine della partita: “C’è della ruggine. Dopo quasi 12 mesi lontano dal campo ci vuole del tempo per tornare in forma. Sicuramente non sono ancora al 100% ma lavorerò duramente, anche con lo staff medico, per cercare di arrivare alla migliore condizione possibile”. Parole che, col senno di poi, sanno di beffa. A differenza di quella di Datome, l’assenza di Bargnani fa rumore, eccome, perché è un giocatore pesante (per ruolo e contratto) e perché se sei scelto come prima scelta assoluta, e poi vieni etichettato come bidone, ti porterai per sempre sulle spalle un fardello di pressioni e voci bello pesante. Accusato di essere un europeo soft e senza il carattere giusto per battagliare sui campi americani, il Mago si sta bruciando l’occasione di rilancio che N.Y. gli ha dato dopo il mezzo (o totale?) fallimento canadese. Va da sé che l’autostima del romano possa cadere sotto i tacchi. Il talento è indiscutibile, la sua possibilità di ritornare a brillare molto meno. Certo è che Bargnani, in scadenza a fine stagione, dovrà rientrare al più presto in campo, per potersi perlomeno giocare la propria chance di trovare una divisa anche per l’anno prossimo.

Anche per Danilo Gallinari questa sarebbe dovuta essere l’annata del rilancio, dopo un 2013/2014 passato in compagnia più che altro dei medici dei Nuggets. Il ritorno, in effetti c’è stato, ma è stato breve, a singhiozzi, stentato. 24 presenze, con 7.8 punti, 3 rimbalzi e 1 assist in poco meno di 19 minuti di media: queste le cifre dell’ex Olimpia. Purtroppo le condizioni fisiche del Gallo sono precarie. Dopo una prima ricaduta, costatagli nuovi e continui stop, Danilo ha dovuto alzare bandiera bianca il 22 dicembre, quando dopo la partita contro Indiana (19 punti, la migliore dal ritorno) gli è stata riscontrata la rottura del menisco del ginocchio destro, quindi non lo stesso che tanto l’ha fatto tribolare nel 2013. Operato immediatamente, il #8 dovrebbe fare il proprio ritorno sul parquet entro poche settimane, in quale stato non si sa. La sensazione è che il nuovo infortunio sia arrivato sul più bello, quando Danilo stava finalmente tornando a pieno regime, riconquistandosi minuti e considerazione. Lo staff, i compagni, i tifosi, gli addetti ai lavori: tutti credono in lui e sanno quanto il Gallo possa essere fondamentale per il futuro dei Nuggets, privi, tra le altre cose, di un giocatore di carattere e carisma come l’italiano. Doversi rialzare nuovamente non sarà facile e richiederà tempo, ma il ragazzo ha la scorza dura.


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