5. DATEMI UN MARTELLO

La settimana è cominciata così, con l’ex pallavolista che ha scosso tutti dal torpore di una qualunque domenica sera con un’inchiodata spaventosa.

Doti atletiche infinite per Dwight Powell, ancora piuttosto grezzo tecnicamente, ma prontissimo quando si tratta di schiacciate e giocate affini.

Contro i Timberwolves, una hammer slam (o jam/dunk; come volete voi) che non può che rimanere impressa nella memoria. Ricezione dinamica sul passaggio di Barea, un passo di caricamento e su in verticale (come un vero centrale sottorete) per poi scaraventare la palla nel ferro spazzando via il tentativo di difesa (per la verità poco convinta) dei due avversari.

La reazione di commentatore e pubblico dice tutto.

 

4. RIMPIANTI A PALATE

La stagione non sta andando come sperato: ben al di sotto del 50%, bassifondi di Division e Conference. Per i Bucks di coach Kidd, insomma, un totale fallimento. Soprattutto alla luce della sensazionale campagna 2014/2015 terminata ai playoff tra complimenti, strette di mani e sorrisi.

Sembrava che tutto volgesse a favore di Milwaukee: squadra giovane, talentuosa e già capace di raggiungere la post-season. Aspettarsi grandi cose anche per quest’annata era più che lecito.

Ma il campo racconta la storia che vuole. I Bucks versione 2015/2016 non girano. Faticano e deludono. Possiamo già dire che sarà una stagione da archiviare in fretta e furia. Nonostante il roster rimanga potenzialmente interessante e il talento non manchi. Affatto.

Ogni tanto se ne ha riprova. Come qualche giorno fa, nella sfida coi Rockets (ok, non sono i Warriors o gli Spurs, ma vabbè): vittoria per 128-121, con prestazione mostruosa di Antetokounmpo, Parker e Middleton. In teoria, i big three di franchigia.

Il greco è andato in tripla-doppia “in scioltezza”: 18 punti, 16 rimbalzi e 11 assist. Cifre con le quali, per doti, dovrebbe flirtare a ogni discesa sul parquet.
E poi Jabari, finalmente in piena condizione NBA dopo un anno sprecato e qualche mese di riadattamento: career-high da 36 punti con 16-25 al tiro, tabellino colorato e giocate da applausi.
Infine, Chris Middleton. Allo stato attuale, la stella della squadra. I suoi 30 punti, infatti, fanno meno rumore perché già visti e rivisti. La sua sì che è una grande annata.

E nulla, giusto un assaggio di cosa i Bucks potrebbero essere e ancora non sono. Tanto per mettere l’acquolina in bocca in vista dell’anno che verrà.

 

3. SEMBRAVA UN D’ANGELO CADUTO DAL CIELO…

Finalmente un po’ del D’Angelo Russell che aspettavamo. Dopo mesi difficili e sottotono, la seconda scelta assoluta dell’ultimo draft si è fatta sentire. Eccome.

Vuoi la complicata situazione purple & gold , vuoi un ruolo da play maker mai digerito, vuoi l’ingombrante presenza di Kobe, il prodotto di Ohio State non era mai riuscito a mettersi veramente in mostra con costanza. Almeno sino a questa settimana. Guarda caso, in semi-contumacia Kobe, frenato dalla bizzosa spalla.

Il #1 ha cominciato demolendo i Nets (rara vittoria Lakers 107-101) con il suo career-high da 39 punti, frutto di un 14-21 dal campo e un 8-12 dalla lunga distanza. Con 6 rimbalzi e 3 assist per condire il tutto. Per poi proseguire, il giorno dopo, in back-to-back, con 24 punti e 6 assist contro Denver. Stavolta, però, losing effort: hanno vinto i Nuggets 117-107.

Dunque, per chi si stesse chiedendo se Russell fosse o meno un giocatore degno della seconda scelta assoluta e di un ruolo importante nella Lega, ecco una prima ma tenace risposta.

E poi beh, ricordiamoci sempre che stiamo parlando di un diciannovenne…

 

2. … AND COUNTING…

E con quella contro i Thunder fanno 44. Sì, come i famosi gatti. Questa volta, però, non ci sono file da tre e, soprattutto, nessun resto di uno.

Sono 44, punto e basta. 44 vittorie casalinghe consecutive in regular season: di questo sono stati capaci i Golden State Warriors. Raggiunti i Bulls di sua Maestà MJ. Un altro record NBA. Come se non bastassero quelli già raggiunti e i tanti altri che li attendono dietro l’angolo.

Una striscia pazzesca cominciata nella scorsa stagione e che conferma una sola cosa: i Warriors dell’anno passato erano strepitosi, gli attuali sono ancora meglio. Difficile da credere, ma è così. La Oracle Arena è la fortezza inespugnabile dove tutte (ma davvero tutte) le altre squadre cadono senza colpo ferire. A volte ci provano, ma il finale sembra scitto già prima dell’ingresso in campo.

E allora non resta che celebrare ogni passo e ogni canestro di una franchigia che ci fa strabuzzare gli occhi a ogni azione, attentando (mette i brividi solamente pensarci) al magico 72-10 di quei Chicago Bulls targati Michael Jordan e compagnia bellissima. 

 

1. DAMIANO LA TOCCA PIANO

Gira voce (non so eh, me lo invento io) che la mancata convocazione all’All Star Game l’abbia fatto imbestialire non poco. Della serie: “Ah sì, bene…Ora ve la faccio vedere io”.

Da metà febbraio, Damian Lillard sta letteralmente incendiando i parquet della Lega, trascinando i suoi sorprendenti Trail Blazers e collezionando cifre da MVP. Nel senso: in questo momento, dopo Curry c’è lui.

I trentelli, ormai, non fanno più nemmeno notizia. E così le mitragliate senza fine dall’arco. I 50 della gara contro i Raptors, però, meritano di essere degnamente sottolineati. Anche se sono stati vani, dato che, alla fine, è stata Toronto ad aver la meglio, con un DeRozan da 24/25 ai liberi.

Comunque, 50 sono sempre 50, che tu vinca o meno. 16/28 dal campo, 6/13 da tre (con un buzzer da metà campo), 12/13 a cronometro fermo e pure 5 assist.

Cari amici dell’All Star Game, la prossima volta pensateci due volte prima di lasciarlo a casa. Per il bene degli avversari.