Andrea Bargnani contro Antawn Jamison (foto AP)

E’ tornato il vero “Mago“. Dopo la lunghissima assenza e un rientro comprensibilmente elaborato, l’interruttore giusto è scattato la settimana scorsa nella vittoria su Denver. Nell’occasione, Andrea ha segnato 26 punti con 7/14 dal campo e 10/12 ai liberi, stendendo una squadra reduce dalla netta affermazione sui Bulls, tuttora detentori del miglior record assoluto, e fatto esprimere un commento chiaro a coach Casey: “Ha ritrovato la stessa energia che aveva prima dell’infortunio. Dobbiamo coinvolgerlo il più possibile ed essere sicuri di beneficiare delle sue qualità”. Analisi azzeccata quella del tecnico dei Raptors, che nelle sfide successive è in effetti in attacco è andato a cercare molto Bargnani, ricavandone risposte davvero positive e confortanti.

Non è un caso che, con Bargnani tornato ai livelli di inizio stagione (o quantomeno molto vicino ad essi), abbiano ripreso ad arrivare anche i successi di Toronto, che non ha più da tempo ambizioni di playoffs ma che punta quantomeno a finire dignitosamente la stagione, provando già a costruire qualcosa per la prossima. Anche in quest’ottica sono virtualmente in prova tre “gettonari”, presi con contratti decadali, ovvero Ben Uzoh, Justin Dentmon e l’ex bolognese Alan Anderson. Ma il punto fermo è sempre più Bargnani che ne ha messi 27 nella sconfitta interna con Miami – in cui Toronto ha ceduto solo negli ultimi minuti, pagando le difficoltà difensive a contenere le troppe armi a disposizione di coach Spoelstra – ma poi ha propiziato il tris di W contro Washington, Charlotte e Philadelphia.

La miglior partita è stata certamente quella contro i Bobcats, quando ha firmato il quinto trentello stagionale, ma soprattutto ne ha messi 11 nel decisivo 4° quarto, inclusi gli ultimi 9 di squadra e i tiri liberi della staffa a 8″ dalla fine. “Ogni volta che segnavamo un tiro, Bargnani rispondeva con una grande giocata. E’ stato decisivo per la loro vittoria” ha ammesso Kemba Walker. “E’ molto duro da marcare. E’ davvero un buon giocatore” gli ha riconosciuto Gerald Henderson. Se battere la peggior squadra della lega poteva apparire ai più un risultato scontato, non lo era per i Raptors che avevano lasciato a Charlotte ben due delle sue sole sette vittorie stagionali. Un ottimo impatto lo ha accompagnato anche nella sfida contro Washington, anche se gli Wizards con una difesa fisica lo hanno un po’ infastidito, ma non abbastanza da impedirgli di guadagnare canestri e tiri liberi pesantissimi nel 4° periodo.

La netta vittoria a Philadelphia – che nello scontro diretto di gennaio aveva vinto di 35 -, con un Bargnani dal tocco particolarmente soft nel jumper e autore anche di un raro gioco da 4 punti, contro una squadra in grande difficoltà e che sta vedendo a rischio non solo la vittoria dell’Atlantic ma addirittura la qualificazione ai playoffs, è stato un risultato di prestigio per incorniciare un buon momento della squadra canadese, capace di tenere i 76ers ad appena 7 punti (3/20 dal campo) nei 12′ finali (record negativo di franchigia dal 1954-55).

Pur mostrando lampi di buon potenziale, fatica a crescere la continuità del roster canadese, colpito anche da alcuni infortuni – come quello che ha chiuso la stagione di Bayless o quelli di Calderon e Forbes – che ha mancato il possibile poker perdendo in casa contro Cleveland, fallendo lo “sweep” stagionale ai danni dei Cavaliers e confermando di avere un rapporto conflittuale – in termini di risultati – con l’Air Canada Centre, dove il record di 11 vittorie e 18 sconfitte si discosta troppo poco dal 9-18 collezionato in viaggio. Per Cleveland, accesa dall’espulsione per doppio tecnico di coach Byron Scott sul finire del 1° tempo, è salito al ruolo di protagonista, al fianco di Jamison, addirittura il gettonaro Lester Hudson, che ha punito una difesa canadese troppo molle, ma forse affaticata anche da una serie di impegni ravvicinati.

Coach Casey, nei giorni delle grandi discussioni attorno ai Magic e alla telenovela Van Gundy-Howard, ha affrontato un caso simile – ma di importanza tecnica e mediatica decisamente inferiore – quando ha deciso di tenere in panchina James Johnson. Titolare in 38 delle 56 partite disputate, Johnson ha guardato le ultime due contro Philadelphia e Cleveland. Ma ogni discussione e ogni aspetto del problema è stato affrontato solo tra i diretti interessati ed è rimasto nel chiuso dello spogliatoio. “Non ho una cuccia, così nessuno ci può finire dentro. Se c’è bisogno, in una gara, tutti possono essere impiegati” ha spiegato il coach, che nell’ambiente ha acquisito sicuramente grande considerazione per la gestione privata della questione.