Danilo Gallinari

Danilo Gallinari (AP Photo/Darren Abate)

Settimana diametralmente opposta alla precedente in casa Denver Nuggets. Le quattro vittorie consecutive e la ciliegina sulla torta del tiro decisivo all’overtime contro i Warriors, avevano ridato morale al talento di Sant’Angelo Lodigiano, ma nonostante un ottimo secondo tempo da 13 punti, 5/10 dal campo e 4 rimbalzi, la squadra dilapida un vantaggio di 10 lunghezze e viene travolta nei minuti finali all’US Airways Center di Phoenix da un Goran Dragic incontenibile. George Karl liquida la striscia di vittorie interrotta con un commento rivolto ai piani alti: “Il nostro calendario è folle, abbiamo 17 trasferte nelle prime 23 partite di regular season”. Due giorni dopo nel ritorno al Pepsi Center si presentano i Miami Heat privi di Dwyane Wade per un problema alla caviglia. Danilo, nonostante un ginocchio dolorante che gli ha impedito di allenarsi, sembra motivato nella sfida e nella marcatura di LeBron James e nel 1° quarto produce ben 8 punti, nonostante due liberi falliti. La marcatura di James diventa complicata nel corso del 3° periodo e le sue penetrazioni producono facili conclusioni dall’arco per Battier e Miller. Il motore del Gallo sembra ingolfarsi, gli Heat raggiungono 19 punti di vantaggio, ma grazie a McGee e Andre Miller a 1’05” dal termine la tavola è apparecchiata per il sorpasso. In transizione offensiva Danilo cerca una insensata tripla veloce ma il suo tiro non sfiora nemmeno il ferro e Miami vince per la prima volta a Denver dal 2002. Il Gallo chiude un orribile secondo tempo con soli 5 punti segnati e la macchia dell’errore decisivo, sottolineato anche dalle parole di Karl: “L’inerzia era dalla nostra parte, dovevamo continuare ad attaccarli con energia. La frenesia ci ha fatto uscire dal contesto, noi non prendiamo triple veloci”. La settimana si conclude nel peggiore dei modi all’AT&T Center, con una disfatta che matura già nel corso del 1°quarto. Gallinari è l’ultimo ad arrendersi, nel 2° e 3° quarto tenta più volte di trascinare i compagni attaccando il ferro, ma gli Spurs non mollano la presa, forzano i Nuggets a 22 palle perse, raggiungendo anche le 32 lunghezze di vantaggio. Il 7/13 dal campo finale e la maggiore aggressività espressa da Danilo sono di buon auspicio per le partite future e le trasferte di Memphis e Minneapolis saranno due test importanti per mostrare ulteriori passi avanti. Matteo Plazzi

Andrea Bargnani

Andrea Bargnani (AP Photo/The Canadian Press, Frank Gunn)

Continuano ad arrivare troppe sconfitte per i Raptors. Coach Casey da giorni continua a predicare calma (“è presto, la stagione non è ancora scappata”), anche se è il primo a non apprezzare il record attuale (3-7) e a conoscere l’urgenza di trovare una linea di galleggiamento lungo la quale procedere per far crescere una squadra giovane, con diversi volti nuovi ma anche bersagliata dagli infortuni. Serve maggiore continuità e ritrovare il vero Andrea Bargnani, ancora lontano dai livelli a cui può aspirare e finora andato a sprazzi. Come tutta la squadra, del resto. Una settimana da 2-2, con la vittoria a sorpresa ad Indianapolis dopo un 4° quarto da museo degli orrori, non è nel complesso disprezzabile per provare ad invertire la rotta, anche se i problemi sono ancora parecchi. Andrea ha piazzato un massimo di 19 punti e 8 rimbalzi nella sfida con Utah, persa però dopo 3 overtime. Ne ha aggiunti 17 più convincenti nel successo contro Orlando, ma nel 4° periodo è rimasto ai margini dello show di Amir Johnson e Linas Kleiza (24 dei 30 punti di squadra), e 15 nella terribile sconfitta di Boston. Come sottolineato dal Toronto Sun, la visita al TD Garden, in cui il livello di intensità globale è rimasto sempre sotto il livello di guardia, è stata ben rispecchiata dalla prova del Mago, invisibile nel 1° tempo, poi protagonista con 11 punti nella rimonta del 3° periodo e quindi nuovamente finito nel buio. Nella discontinuità della stagione sua e della squadra, Bargnani – con una condizione fisica che non riesce a decollare – mostra una costante assai poco incoraggiante: le percentuali di tiro sempre attorno al 35% o poco più. Un dato inaccettabile per un giocatore mai stato noto per essere un rimbalzista (4.4 di media) o un super-difensore, anche se proprio su quest’ultimo aspetto ha posto l’accento dopo il k.o. di Boston: “L’inconsistenza difensiva è il nostro limite maggiore. Un giorno rendiamo meglio, il giorno dopo peggio. Quindi non possiamo parlare di miglioramenti. Dobbiamo impegnarci tutti di più”. Davide Sardi

Marco Belinelli

Marco Belinelli (Photo Nuccio DiNuzzo/Chicago Tribune)

Brutta settimana quella vissuta da Belinelli e dai suoi Bulls, che chiudono le quattro partite in calendario con un rivedibile record di una vinta e tre perse. A parziale scusante, va sottolineato come ci fosse una sola partita in casa (coi Celtics) e ben tre partite lontano da Chicago, tutte sui campi dell’ovest (Clippers, Suns e Blazers). Marco ha molto più spazio rispetto alle prime due settimane, sia a causa di un infortunio ad Hinrich, che per la necessità di trovare qualcuno che porti punti dalla panchina, in una squadra che sta avendo molte difficoltà dal punto di vista offensivo.
Il giocatore a dirla tutta delude su tutti i fronti e chiude le quattro partite con un imbarazzante 4 su 19 dal campo, che gli frutta un bottino di solamente 13 punti totali. Le idee con la palla in mano scarseggiano, spesso gli spazi vengono sfruttati in malo modo e le letture sono tutto fuorché impeccabili, come testimoniano i pochissimi assist portati alla causa Bulls. Su entrambi i lati del campo manca l’aggressività richiesta da Thibodeau, anche se a dire il vero che questo è un problema che a tratti sta caratterizzando tutta la squadra, soprattutto in trasferta.
L’unica possibilità di Marco di continuare a tenere più di 10 minuti di media anche quando ritornerà Derrick Rose è quella di dimostrarsi un tiratore da 3 più affidabile, cosa che a New Orleans, con Chris Paul, aveva dimostrato di poter essere. Anche quest’anno il tiro dall’arco, frutto di 2.3 tentativi a partita, è probabilmente l’unica nota abbastanza positiva dell’avvio di Belinelli, visto che la percentuale dalla distanza è di circa il 40%, anche se inferiore alla miglior annata, il 2010-11 a New Orleans, chiusa col 41.4%.
Si era chiusa la scorsa settimana con una convincente prestazione con Minnesota, ma a quella partita è seguita una settimana ben sotto la sufficienza, e per un giocatore che deve conquistarsi ogni minuto in campo è del tutto inaccettabile. Carmine D’Amico