Dopo la scintillante post-season della scorsa stagione, tutti si aspettavano un’annata in grande stile da parte dei Memphis Grizzlies. Ed invece durante i primi mesi di questa compressa stagione coach Lionel Hollins e i suoi uomini sono passati piuttosto inosservati nel radar NBA, vuoi per demeriti loro – magari attribuibili all’assenza di star dai nomi roboanti o allo scarso appeal che la provenienza geografica della squadra esercita sul comun pubblico – o per meriti altrui, dicasi soprattutto Oklahoma City Thunder e San Antonio Spurs.

Volano i Grizzlies, sulle ali del loro leader Rudy Gay (Foto Joe Murphy/NBAE/Getty Images)

Eppure, osservando l’andamento delle ultime settimane, si può subito notare come i Grizzlies siano tornati a fare paura. Per davvero. Fiore all’occhiello sono state le vittorie sui terribili campi di Oklahoma City e Miami – i Grizzlies sono così l’unica squadra ad essere riuscita a sconfiggere in trasferta Thunder e Heat – contro quelle che erano le squadre più lanciate dell’intera lega. Due vittorie di prestigio, a cui hanno fatto poi seguito altre pesanti affermazioni vincenti contro Pacers, ancora in trasferta, Mavericks, Clippers e Suns, che hanno a portato a 9 il conto delle doppie V negli ultimi 12 incontri (e 12 negli ultimi 14 giocati in casa, di cui le uniche sconfitte sono giunte in doppio overtime).

Partite che in alcuni hanno fatto riapparire il non lontano ricordo di una formazione capace di effettuare una profonda e sorprendente corsa nei playoffs dello scorso anno. E partite che, proprio per questo motivo, sono suonate come un fastidioso campanello d’allarme per le concorrenti della Western Conference, che vedono riapparire nei loro incubi la minacciosa presenza dei Grizzlies.

Di loro non si era parlato molto fino ad ora in questa stagione, se non forse per le “originali” (…) divise giallo-verdi utilizzate in alcune uscite invernali. Un cammino passato praticamente inosservato nonostante il fatto che, durante la scorsa off-season, gran parte dell’opinione pubblica li avesse sbandierati a destra e manca definendoli come una delle realtà più intriganti e promettenti dell’NBA intera.

Tutto questo a causa degli scorsi playoffs, in cui Memphis era riuscita ad eliminare brillantemente, ed apparentemente senza nemmeno troppi sforzi, gli esperti e lanciati San Antonio Spurs, prima di arrendersi in gara7 della semifinale di conference contro Oklahoma City, al termine di una striscia di partite tanto avvincenti quanto altalenanti. Una serie dalla quale – nonostante la sconfitta – la franchigia del Tennessee era appunto uscita in modo molto più che dignitoso, lasciando in molti l’impressione di essere solamente all’inizio di un cammino che l’avrebbe potuta e dovuta portare stabilmente ai piani alti delle gerarchie occidentali.

Inoltre, tutto ciò fu portato a termine senza potere usufruire delle prestazioni di Rudy Gay, teoricamente il miglior giocatore della squadra, infortunatosi malamente in piena regular season alla spalla sinistra. Uno sfortunato episodio che era stato comprensibilmente accolto come un’immane sciagura da vertici dirigenziali e tifosi locali, ma il cui impatto si era poi rivelato non così traumatico sull’andamento della squadra, visto l’inaspettato, splendido equilibrio che era riuscita a trovare in campo senza il suo #22.

Gran parte delle speranze di Memphis pesano sulle spalle della coppia Gasol-Randolph (Foto Nikki Boertman)

La prolungata assenza dal campo di Gay fece salire alla ribalta le imprese dei due lunghi Zach Randolph e Marc Gasol. Randolph non impiegò molto tempo per far dimenticare a tutti le sue ultime travagliate annate passate indossando – senza troppi successi – le casacche di New York Knicks e Los Angeles Clippers. In gran parte della scorsa annata “Z-Bo” si rivelò infatti come uno dei giocatori più efficaci della lega. Marc Gasol, invece, ha la nobiltà cestistica nel suo DNA ereditata dal fratello Pau, e non esitò a dispensarla in campo sotto forma di rimbalzi, tiri dalla media e ganci a canestro.

Si è detto del fratello Pau. Ben conosciuto è l’intreccio che ha portato i due catalani ad esordire in NBA vestendo, se non gli stessi colori – i Grizzlies nel 2001 erano ancora la continuazione verde-nera della franchigia proveniente dalla remota Vancouver – perlomeno la maglia della stessa squadra. La sostanziale differenza consiste nel fatto che l’era “Gasol I” per Memphis ha coinciso con anni decisamente scoloriti – se non per qualche no-look pass di un Jason “White Chocolate” Williams ormai non più ragazzino ed i vertiginosi balzi di uno Stromile Swift qualsiasi – e soprattutto con un ininterrotto stazionamento in quella zona neutra considerata come la peggiore da qualsiasi dirigenza NBA.

Una zona in cui la propria formazione non è così forte da potere ambire alla conquista del titolo, o perlomeno ad una convincente penetrazione nel tabellone della post-season, ma allo stesso tempo non è nemmeno altrettanto certamente così scarsa da poter puntare ad una buona posizione nella lotteria del draft (cosa questa che, ad esempio, sta invece riuscendo benissimo agli odierni Charlotte Bobcats). Ecco quindi che si spiegano quei ripetuti e sconcertanti 0-4 subiti da (Pau) Gasol e compagni nel primo turno dei playoffs.

Una volta visto partire lo spagnolo verso la più attraente Southern California, ed aver ricevuto in cambio – tra gli altri – uno sconosciuto individuo chiamato Javaris Crittenton (sì, proprio l’ex compagno di pistolettate di Gilbert Arenas, ora accusato di omicidio nella natia Atlanta), una sorta di depressione collettiva travolse l’ambiente dei Grizzlies. Una grigia situazione sportiva in una città colpita in pieno dalla crisi economica. Il FedEx Forum fu per diverse stagioni una delle arene più deserte della nazione, snobbato da gran parte degli amanti del gioco che preferivano indirizzarsi verso la sponda orientale del Mississippi, là dove sorge la Pyramid – casa dei Tigers della University of Memphis, che costituiva la maggior attrazione cestistica cittadina di quei tempi – e già era cominciato il (credibile) totoscommesse attorno ad un possibile trasloco del club verso lidi più prosperosi.

Poi però qualcosa cambiò, e Marc Gasol arrivò. Non basta però la sua sola presenza a spiegare la scalata di Memphis verso la rispettabilità che ora tutti – seppur a stento – le riconoscono. Va dato merito alla dirigenza di essere uscita negli ultimi anni dal draft con quelle che si sono rivelate ottime scelte come Rudy Gay da UConn, Mike Conley Jr. da Ohio State e O.J. Mayo da USC, personaggio su cui già ai tempi del suo unico anno di college si era detto e scritto di tutto e di più (sorvolando su Hasheem Thabeet e sul fatto che Memphis è arrivata allo stesso Mayo dopo avere scelto, e scambiato, un certo Kevin Love).

Tutta la grinta di Tony Allen, uno dei difensori più forti e sottovalutati di tutta l'NBA (Foto Joe Murphy/NBAE/Getty Images)

Il mercato ha invece portato in Tennessee il discusso talento di Zach Randolph, la difesa di Tony Allen e, più recentemente, l’enigmatica mente dell’altro “pistolero”, il già citato Gilbert Arenas. Un mix composto quindi da un leader su cui pochi avrebbero scommesso fino a poco tempo fa (Gay), da un europeo ritrovato in casa quasi senza nemmeno accorgersene (Gasol), da giovani talenti generalmente sottovalutati dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori (Conley), e da personaggi da tutti ritenuti scomodi e usurati (Randolph e Arenas), oppure oramai superflui (Allen).

Fatto sta che l’era “Gasol II” si sta rivelando molto più solida e vincente di quella del suo predecessore. Lo stesso Gasol si sta dimostrando giocatore di alto livello – il recente esordio all’All Star Game è la controprova di tale crescita – e, nonostante l’ancora giovane età, sta facendo registrare cifre di pochissimo inferiori a quelle del fratello (siamo ad un passo dal 15+10), rispetto al quale è giocatore meno graziato ed elegante, ma indubbiamente più fisico e quadrato.

Purtroppo però la superba coppia Gasol-Randolph – così decisiva nel finale della scorsa stagione – ha avuto occasione di scendere in campo raramente durante questa regular season, a causa dell’infortunio subito a inizio gennaio dal paffuto nativo di Marion, Indiana. Che è recentemente tornato a disposizione di coach Hollins – il cui nome sta ora uscendo dalla bocca di alcuni come papabile per il trofeo di allenatore dell’anno – ma che ancora deve trovare quel magico ritmo fatto di alternanza tra gioco interno e sul perimetro che non molto tempo fa gli ha permesso di diventare un avversario quasi immarcabile per i pari ruolo avversari.

In ogni caso, Randolph sembra tranquillo, e molto fiducioso riguardo all’imminente cammino della sua formazione: “Abbiamo un giocatore perimetrale da All Star Game [Rudy Gay] che può segnare da qualsiasi posizione – afferma l’ex Clipper, Knick e Blazer – Mike Conley sta giocando molto meglio dello scorso anno. Abbiamo Tony Allen. C’è Marc Gasol che è un All-Star. Insomma, siamo una squadra pericolosa. Ci sentiamo molto più forti dello scorso anno”. Randolph ritorna poi sugli ultimi playoffs, dimostrando di avere le idee ben chiare riguardo alle ambizioni dei suoi: “Nella scorsa stagione, pensandoci bene, se non avessimo perso quella partita giunta al triplo overtime [contro i Thunder in gara5 del secondo turno] saremmo probabilmente riusciti a vincere la serie. Siamo giunti ad un passo dalla finale di conference lo scorso anno, perciò l’obiettivo di questa stagione dev’essere quello di arrivarci davvero”.

Il redivivo Gilbert Arenas, qui a rapporto da coach Lionel Hollins (Foto Getty Images)

Dietro ai due pilastri Randolph e Gasol ci sono altri giocatori che stanno offrendo un eccelso contributo – sono ben 6 i Grizzlies in doppia cifra di punti segnati. A cominciare da Gay (capocannoniere di squadra a 18.6 punti a partita), una delle stelle più silenziose della lega, nonostante le sue prodigiose schiacciate godano di presenza quasi fissa negli highlights post-partita. C’erano dubbi ad inizio stagione riguardo al suo ritorno in quintetto base, che avrebbe potuto sconvolgere i meccanismi quasi perfetti che la squadra era riuscita a trovare in sua assenza – e che per alcuni ancora persistono, visto che Gay e Randolph hanno sino ad ora condiviso il parquet in pochissime occasioni. Beh, pericolo scampato, almeno per il momento, visto il modo in cui Gay è riuscito a riadattarsi in campo. “Sembra che il nostro pubblico stia percependo l’importanza del momento – ha affermato subito dopo la recente, importante vittoria contro i Clippers – Non abbiamo permesso loro di prendere alcun ritmo, aggredendoli subito. Siamo pronti per un gran finale di stagione”. Ed effettivamente l’atmosfera per tale sfida – definita dallo stesso Gay come uno “statement game” – era già degna di una partita da “win or go home”.

I margini di miglioramento per i Grizzlies sono comunque ancora ampi. Randolph, come già detto, sta partendo dalla panchina (solamente 7 partenze in quintetto nelle 21 partite giocate) e deve ancora raggiungere i livelli dello scorso anno. Una panchina da cui possono uscire altri incisivi elementi come Marreese Speights (non lontano dai 10 punti di media), raccattato dal marciapiede grazie ad uno scambio a tre con Sixers e Hornets, Arenas, inserito in roster a costo zero e potenziale arma letale, nel caso riuscisse a ritrovare un po’ della vena realizzativa ormai da anni perduta, e giocatori semi-sconosciuti come Quincy Pondexter, che si è fatto trovare pronto nel momento in cui l’assenza di Tony Allen lo ha spedito in quintetto. E’ proprio tale profondità, abbinata ad un’arcigna difesa – che trova in Allen il suo miglior esponente – una delle carte vincenti esibite ultimamente dai Grizzlies.

Mike Conley sottolinea poi un altro fattore che sta facendo la differenza, quello psicologico, notato anche grazie all’accresciuta assiduità e concentrazione con cui i compagni assistono alla visione dei video delle avversarie: “Siamo ormai entrati in clima-playoffs – ha affermato l’ex compagno di college e high school di Greg OdenArrivati a questo punto, sappiamo di dover migliorare la circolazione della palla, di difendere in maniera più dura e di non pensare ad elogi o critiche personali. Ed è proprio quello che stiamo riuscendo a fare”.

Una suggestiva immagine del bollente FedEx Forum degli ultimi playoffs (Foto Joe Murphy/NBAE/Getty Images)

Insomma, grazie a questo mix di profondità, difesa ed assenza di ingombranti star, l’impressione è che Memphis stia facendo sul serio, e sia tornata a vestire i panni del classico avversario che nessuna squadra vorrebbe vedersi di fronte in una serie di playoffs. In un momento in cui ad Ovest – alle spalle delle incriticabili dominatrici San Antonio e Oklahoma City – si sta assistendo all’innegabile calo dei Lakers, alla non ancora convincente ascesa dei Clippers, agli stenti post-titolo dei Mavericks e all’inconsistenza di Nuggets e Rockets. Ecco quindi che da questa bagarre potrebbero essere proprio i Grizzlies a spuntarla e ad aggiudicarsi un biglietto per un affascinante re-match contro Spurs e/o Thunder.

Di sicuro, i Grizzlies hanno scelto il periodo ideale per esprimere il loro miglior basket e per riarruolare in formazione tutti i propri giocatori. Il pubblico di casa, al pari dei propri idoli, è ormai entrato in modalità-post-season ed è pronto a ri-sventolare gli asciugamani, nella speranza di potersi poi riversare in festa nelle locande di Beale Street. Mentre in città non è più solamente Graceland – la famosa casa-museo della leggenda locale Elvis Presley – il luogo che fa parlare di se. C’è anche il FedEx Forum. E siamo sicuri che nessuno ci vorrà passare per mettere alla prova le proprie ambizioni tardo-primaverili.