(Photo by CBS Atlanta)

(Photo by CBS Atlanta)

Immaginate una tempesta di quelle violente, tipica di certe zone degli Stati Uniti. Le nuvole che si addensano, il vento che soffia sempre più forte, i lampi che squarciano il cielo illuminando per qualche decimo di secondo appena un panorama tendente sempre più all’oscurità. Immaginate poi, passata la burrasca, quello stesso cielo che torna terso come se nulla o quasi fosse successo, le nuvole che vanno via, il sole che irradia ogni cosa. Quanto accaduto agli Atlanta Hawks in questi ultimi mesi, può essere accostato ad una tempesta di quelle forti, forti davvero, che poi però ha lasciato naturalmente il passo al sereno. Tempesta che per la franchigia della Georgia ha assunto i contorni dell’affaire Levenson, il proprietario di maggioranza che la scorsa estate ha pubblicamente rassegnato le proprie dimissioni in seguito alla fin troppo nota e-mail a contenuto razzista risalente al 2012. Un fatto grave, di quelli che in America non passano inosservati, uno scandalo che ha contribuito a gettare ulteriore benzina sul fuoco su di una squadra mal gestita, troppo forte per provare a ricostruire davvero, troppo debole per competere per il titolo. Una esistenza all’interno della NBA a metà del guado, la condizione peggiore nell’ingranaggio di un sistema che difficilmente premia le mezze misure. Passata la tempesta in seguito alle dimissioni di Levenson e alla fuoriuscita del G.M. Danny Ferry, lui pure coinvolto nello scandalo, è arrivato poi il sereno, grazie alle prodezze di Teague, alla solidità e all’efficacia della coppia di lunghi Millsap-Horford, alla maestria con la quale Korver, ogni volta che si alza per tirare, segna un canestro si e l’altro pure, al magistero tecnico con il quale Mike Budenholzer sta radicalmente cambiando il way of playing di una squadra non certo tra le più armoniche e spettacolari dell’ultima decade. Quando Steve Anderson, lo scorso primo novembre alzava la palla a due di Hawks-Pacers, esordio stagionale di Teague e compagni alla Philips Arena, nessuno avrebbe mai immaginato che quel posto, quell’arena, avrebbe ospitato la squadra migliore della NBA (insieme ai Golden State Warriors), la squadra che a gennaio ha saputo aggiornare i libri dei record.

Un mese da imbattuti

Oh, non è che le cose tra novembre e dicembre andassero male, tutt’altro. Con Bulls, Raptors e Wizards, gli Hawks frequentavano abitualmente le zone nobili della Eastern Conference. Doveva però ancora scoccare quella scintilla che li ha portati poi ad un gennaio da record. Dalla trasferta nello Utah del 2 gennaio (98-92), al successo casalingo contro Philadelphia del 31 (91-85), Atlanta è riuscita nell’impresa di inanellare 17 vittorie su 17 partite giocate, una striscia che ne ha fatto la prima squadra della storia a chiudere un mese di Regualr Season con un simile ruolino di marcia. Più che per gli scalpi di tutto rispetto  registrati a spese, tra le altre, di Blazers, Clippers, Grizzlies, Bulls, Wizards, Raptors e Thunder, tra le migliori franchigie della stagione, ad impressionare davvero sono state la qualità di gioco prodotta e alcune statistiche maturate nel corso del gennaio da record. Vedere giocare Atlanta, infatti, non può che far venire in mente la favolosa macchina da basket creata da Popovich a San Antonio, il cui apice è stato raggiunto durante le scorse Finals vinte contro Miami. Così come i texani, anche gli Hawks giocano un basket di squadra, dove un passaggio in più è sempre preferibile rispetto ad un tiro preso magari buono, ma che in quel particolare momento non rappresenta la decisione più giusta all’interno del tanto amato “flow”, il flusso di gioco. Un basket che esalta il collettivo, uno stile di gioco capace di esaltare i punti di forza dei singoli e di mascherare i punti di debolezza di un nucleo che, se se ne fa una questione di talento puro, non dovrebbe neanche classificarsi tra le prime 10 potenze della lega. E poi ci sono i numeri, come detto, indicatori statistici difficilmente replicabili nei prossimi mesi ma che rendono l’idea di 30 giorni vissuti da invincibili, da iniziati del gioco. Atlanta ha chiuso il primo mese del 2015 al primo posto per:

  • percentuale complessiva al tiro (54.8), ovverosia quella statistica che gli americani indicano con effective shooting percentage;
  • percentuale di tiro reale (58.3);
  • più alta percentuale di canestri realizzati da 20 piedi o più (da circa 6 metri e mezzo o più per intenderci) grazie ad un irreale 43.1% a fronte del 40.8% di Milwaukee e 40.5% di Golden State, rispettivamente seconda e terza in questa particolare graduatoria;
  •  percentuale per canestri assistiti (69.7%), con Teague che ha “assistito” il 41.8% dei canestri segnati dai compagni. Più della metà dei suoi passaggi, inoltre, sono stati indirizzati a Millsap e Horford che, in virtù dei passaggi del loro playmaker, hanno tirato in quelle occasioni con il 56.3% il primo ed il 54.9% il secondo;
  • punti concessi ogni 100 possessi (97.4), sensibilmente meno di un punto a possesso dunque, un dato a cui solo la già citata Golden State si avvicina (98.8). I Clippers, terzi, sono lontanissimi a quota 102.6

E adesso? Road to the Finals?

Mai come in questo caso il futuro è adesso. Per gli Hawks il domani è oggi, un presente iniziato con la sconfitta subita due notti fa contro New Orleans, k.o. che ha interrotto a 19 la striscia di risultati utili consecutivi e che renderà irreplicabile in febbraio quanto di eccelso fatto in gennaio. Atlanta conta, però, sulle proprie certezze. Un allenatore fortemente candidato a Coach of the year, un trio di stelle – Horford, Millsap e Teague – che prenderanno parte al prossimo All Star Game, un tiratore come pochi, forse nessuno all’interno della lega, quel Kyle Korver che sta tirando con il 53,7% da tre. Un sistema che permette a cinque giocatori di stare stabilmente in doppia cifra di punti di media a partita (oltre ai quattro indicati nelle righe di cui sopra, un ottimo contributo lo sta dando anche DeMarr Carrol con i suoi 11.6 punti ad allacciata di scarpe). Solo qualche infortunio di troppo, che ad esempio sta frenando Thabo Sefolosha il cui rientro è previsto entro le prossime 6-8 settimane, potrebbe scalfire le certezze di un gruppo coeso, magistralmente allenato da Budenholzer e dal suo staff e nel quale si pensa prima al NOI e poi solo in un secondo momento all’io. Difficile capire cosa potrà succedere in post season, storicamente una parte di stagione molto diversa da quella che si svolge da fine ottobre a primi 15-20 giorni di aprile. E’ possibile, ma non probabile, che Atlanta pagherà dazio al cospetto di squadre magari “peggio” allenate ma che potranno contare su giocatori abituati a lottare per il titolo come LeBron James a Cleveland o il duo Rose-Gasol a Chicago. Quel che è certo, però, è che dopo la tempesta scoppiata la scorsa estate, in casa Atlanta Hawks è finalmente tornato il sereno. Una condizione temporale che potrebbe durare ancora a lungo. Proprio ad inizio anno, infatti, sono iniziate le procedure di vendita della franchigia che saranno propedeutiche per mettersi alle spalle i periodi bui e per continuare sulla strada solcata durante un mese di gennaio da ricordare, un mese da record.