Golden State Warriors (foto sports.yahoo.com)

Golden State Warriors (foto sports.yahoo.com)

“L’unico difetto di San Francisco è che non vorresti partire mai”. Quando il famoso poeta britannico Rudyard Kipling si espresse così sulla città della baia, i Golden State Warriors dovevano ancora nascere. Oggi, a quasi un secolo di distanza da quella affermazione, gli amanti del basket, o ci piace pensare addirittura a chi fa del senso estetico e del concetto del “bello” un proprio stile di vita, potrebbero continuare la frase di cui sopra con un “anche perché giocano gli Warriors”. Sì, lo sappiamo, Curry e compagni si esibiscono per la verità ad Oakland, in quell’Oracle Arena forse un po’ vetusta per gli attuali canoni NBA, ma è quasi superfluo sottolineare che erano, restano e saranno sempre la squadra di San Francisco, città nella quale entro tre-quattro anni dovrebbe tra l’altro sorgere la nuova avveniristica Arena. Se fino allo scorso anno, i ragazzi del neo coach Steve Kerr venivano prevalentemente identificati come una squadra prettamente votata allo spettacolo, quest’anno le cose sono cambiate. Alle tante vittorie collezionate la stagione scorsa, si stanno infatti affiancando in questo 2014-2015 anche alcuni aspetti, leggasi record, che fanno dei Warriors una delle principali candidate a giocarsi fino in fondo le chances di vittoria finale. Il campione di riferimento comprensivo di sole 16 partite giocate è ovviamente relativo, ma in una Western Conference a dir poco competitiva, i  numeri dei californiani cominciano ad impressionare.

Miglior inizio di sempre

Secondi ad Ovest e distanziati di sola mezza partita dai sorprendenti Memphis Grizzlies. Alzi la mano chi si aspettava un 14-2 di record che per i californiani vuol dire la migliore partenza ogni epoca. Mai stati così competitivi i Warriors, neanche quando in 6 differenti stagioni toccarono quota 11-4 nel differenziale tra vittorie e sconfitte in 15 partite, l’ultima volta nell’anno di grazia 1974-1975, quello del terzo ed ultimo titolo NBA. Terzi per punti segnati a quota 107.1 punti di media, ottavi per punti concessi (96.5), primi per Pace factor, ovverosia il numero di possessi in 48 minuti, primi per punti concessi agli avversari per 100 possessi (97.9), una miseria, sono tutti indicatori statistici che aiutano a spiegare quanto Golden State sia una squadra certamente votata all’attacco e spettacolare come poche altre, ma è, soprattutto, una squadra difensivamente molto solida, da élite NBA, quasi una contraddizione per chi, come gli Warriors, giocano ad alto ritmo e producono molto, moltissimo nella metà campo offensiva. La sensazione è che le velleità di titolo passino proprio da quanto Golden State saprà fare nella propria metà campo, posto che in attacco, infortuni permettendo, problemi ce ne saranno sempre pochi.

Mal di trasferta a chi?

Se l’Oracle Arena è un fortino (5-1 nel momento in cui scriviamo), Golden State raccoglie proseliti anche, se non soprattutto, lontano dalla baia. Ad avvalorare la nostra tesi contribuisce non tanto lo stupefacente 9-1  attuale, ma anche un record, un altro in questo inizio di stagione, se non straordinario e tutto sommato poco indicativo su quanto succederà in futuro, quantomeno storico. Le 5 vittorie di fila ottenute contro Oklahoma City, Miami, Orlando, Charlotte e Detroit, rappresentano la striscia migliore di successi consecutivi registrati contro avversari geograficamente collocati nella parte Centro-Est della NBA. Non succedeva dal lontano 1978.

Steve Kerr, un predestinato

Fare le percentuali su chi abbia i meriti maggiori al netto di un inizio di stagione così esaltante è riduttivo, oltreché opinabile. E’ evidente che il duo più spettacolare della lega, Stephen Curry e Klay Thompson, abbia enorme voce in capitolo, così come lo scintillante avvio di Bogut o l’ottimo contributo che presunti gregari come Barnes, Iguodala o Green, tanto per fare tre nomi a caso stiano continuando a dare. Crediamo di mettere tutti d’accordo, però, nel sottolineare i meriti di un coach, Steve Kerr, divenuto tale solo lo scorso mese di luglio e che, grazie alla recente vittoria su Charlotte, è diventato  il 7° allenatore a collezionare almeno 13 vittorie e due sconfitte all’esordio sul pino. Se si considera la caratura degli altri 6, da Lawrence Frank a Al Cervi, da Billy Cunningham a Bill Russell per poi proseguire e finire con John Lucas ed Avery Johnson, non ci pare per nulla azzardato predire per il 5 volte campione NBA nei suoi trascorsi da giocatore in maglia Bulls e Spurs, una carriera piena di soddisfazioni. Il natìo di Beirut ha saputo calarsi perfettamente nella nuova realtà dopo una brillante carriera da talent per TNT CBS. Intelligenza e capacità di farsi valere non gli sono d’altronde mai mancate come testimoniano il tiro decisivo in gara 6 di Finali NBA contro gli Utah Jazz che ha permesso ai Bulls di vincere il quinto anello dell’era Jordan ma, soprattutto, lo splendido discorso, foriero di ironia non comune, con il quale si è pronunciato alla parata celebrativa post gara 6 di cui sopra. Queste le sue parole in quel caldo pomeriggio di giugno: “Quando abbiamo chiamato il timeout a 25 secondi dalla fine, Jackson ha chiesto a Michael (Jordan, ndr) di prendere l’ultimo tiro. Michael disse di non sentirsi a suo agio in quella situazione così Scottie (Pippen, ndr) suggerì di chiederlo a me. Così mi sono detto, beh, mi sa che dovrò tirare fuori dai guai Michael un’altra volta. L’ho fatto per tutta la stagione, una volta in più non fa differenza”. Una battuta, una gag capace di suscitare grandi risate tra tifosi e squadra che testimonia l’acume di una persona, di un coach, capace di sdrammatizzare ma allo stesso tempo in grado di saper fare gruppo, aspetto ancora più importante per la sua nuova avventura da allenatore.

Se  tre diversi record (di squadra e personali) di cui sopra non fanno necessariamente una prova, sono quantomeno degli indizi indicativi su quanto il nuovo corso targato Warriors sia pronto per competere con le altre potenze dell’Ovest per arrivare a giocarsi la finale NBA. Comunque vada a finire, però, l’unico difetto di San Francisco dei tempi moderni è che non vorresti partire mai anche perché giocano quegli Warriors che continuano a macinare record su record e paiono non fermarsi più.