Melo: NY da mani nei capelli (foto: nypost.com).

Melo: NY da mani nei capelli (foto: nypost.com).

Dimenticate tutto. Possibilmente in fretta. Cancellate dal vostro album dei ricordi il momento in cui Phil Jackson veniva nominato presidente della franchigia tra l’entusiasmo – più che comprensibile e giustificato all’epoca – di media, tifosi e addetti ai lavori. Dimenticate il giorno in cui Derek Fisher venne scelto proprio da Jackson come nuovo capo allenatore nonostante avesse appena appeso le scarpe al chiodo dopo quasi 20 anni di più che onorata carriera. Dimenticate, infine, il tanto sospirato rinnovo contrattuale di Carmelo Anthony che, in virtù di un quinquennale da 120 milioni di dollari, aveva fatto dei Knicks una delle squadre potenzialmente più forti della non certo irresistibile Eastern Conference. Tre momenti, tre differenti – al momento in cui scriviamo – pietre tombali che stanno affossando, per un motivo o per l’altro, i propositi di successo dei New York Knicks. Il neo Triunvirato, infatti, le pietre angolari della New York versione 2014-2015, non sta mantenendo fede alle promesse. Se Phil Jackson, proprio pochi giorni fa, ha pubblicamente fatto ammenda riguardo le decisioni prese in estate (pur se non ha mai dato colpe al neo allenatore), ci sembra giusto sottolineare come né Derek Fisher né Carmelo Anthony stiano, per motivi diversi, raccogliendo proseliti. Il primo, obiettivamente il meno responsabile di tutti per un avvio che vede i Knicks in fondo alla classifica con sole 5 vittorie a fronte di  35 sconfitte (numeri sui quali torneremo…), ci sembra semplicemente troppo inesperto per non affondare insieme alla sua truppa nell’oceano di difficoltà che avvolge la sua squadra. Il secondo, un Carmelo Anthony continuamente frenato da problemi alla caviglia ma prossimo al rientro nella gara di Londra contro Milwaukee, nelle 30 partite disputate ha sì dato il solito contributo offensivo, ma ha anche mostrato quella naturale (e quasi fisiologica per un grande attaccante come lui) tendenza all’individualismo e quell’idiosincrasia ad essere il leader che per forza di cose non fa necessariamente il bene primo del gruppo. Buttare troppo fango addosso ai tre sarebbe, però, sbagliato. Innanzitutto perché, come dicevano i latini, errare humanum est, e poi perché se è vero che Jackson abbia corso un rischio “assoldando” un debuttante come Fisher, è anche vero che essere allenatori esordienti non sempre è sinonimo di difficoltà, citofonare a Golden State per le conferme del caso. Così come, sarebbe fuorviante oltreché troppo facile adesso, guardare al rinnovo di Anthony come ad una scelta sbagliata. In quanti, la scorsa estate avrebbero trovato minimamente sensata la potenziale scelta dei Knicks di non fare il possibile per trattenere uno dei migliori giocatori palla in mano dell’intera lega? In pochi, quasi nessuno, ne siamo certi. Però, ed è un però metaforicamente grande quanto tutta la Big Apple, ci sono statistiche che fanno riflettere.

chi lo dice che i numeri non dicono tutto? Una stagione da record, ma al contrario. E’ una regular season da incubo per i Knicks, con i numeri che per una volta sono realmente esplicativi dello stato delle cose. E pensare che il già citato record 5-35 sembra quasi l’ultimo dei problemi rispetto a statistiche che certificano come New York sia davvero una squadra allo sbando, con beffa perdipiù. La beffa, infatti, è dovuta al fatto che mai nessuna delle squadre professionistiche cittadine avesse mai registrato un provvisorio record di una  sola vittoria nelle ultime 26 partite, andamento davvero troppo negativo in una metropoli che tende già di suo ad alimentare ed ingigantire i momenti negativi. Ci sono poi altri indicatori statistici che rappresentano la perfetta cartina di tornasole di una stagione ormai compromessa: sono 15 le sconfitte di fila nel momento in cui scriviamo, compresa l’ultimo k.o. casalingo contro Charlotte che a metà gara veleggiava al Garden forte di un clamoroso 62-31. I Knicks sono penultimi per punti realizzati (92. 9), 22esimi per punti subiti (101.8), terzultimi sia per SRS, ovverosia l’indice statistico che tiene conto della media dei punti di scarto registrati e della complessità del calendario (- 8,35), che per Pace Factor (90, 4), quartultimi per punti segnati ogni 100 possessi e terzultimi per quelli concessi, rispettivamente a quota 101.9 e 111.8. Parafrasando la legge di Murphy, se qualcosa può andar male, andrà male.

 

aria di smantellamento – i recenti scambi che abbiamo già analizzato nei giorni scorsi, sono propedeutici ad una chiara presa di posizione del management e dello stesso Jackson in primis. Assodato che con questo roster non si va da nessuna parte, è meglio smembrare definitivamente il gruppo per liberare spazio salariale e chissà, sperare di pescare i pesci grossi (LaMarcus Aldridge, Marc Gasol, Kawhi Leonard?) della prossima stagione. Si spiegano così le rinunce ai vari Smith e Shumpert, così come le sempre più insistenti voci che vedono Bargnani (sempre infortunato e nel complesso deludente in questi ultimi anni) prossimo al taglio, Calderon inserito in qualche scambio e Stoudemire dal quale ci si aspetta semplicemente che scada il suo contratto quinquennale che quest’anno pesa sul salary cap per 23. 410. 988 milioni di mal pagati dollari. Non resta che sperare così in un futuro migliore, perché Fisher ha tutto quello che serve per guidare un gruppo competitivo, perché Anthony potrà giovarsi della presenza di giocatori di talento per fare dei Knicks un nucleo vincente, perché l’entusiasmo mostrato per l’avvento di Phil Jackson, uno che a New York ce l’ha fatta per davvero, non era certo campato in aria viste le indiscusse capacità dell’uomo del Montana. Tutto questo sarà possibile solo se dalle parti del Madison Square Garden si farà davvero tabula rasa, dimenticando così il più in fretta possibile un ‘era iniziata tra rulli di tamburi ma proseguita macinando soltanto record negativi.